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L’Italia riuscirà davvero a chiudere le centrali a carbone nel 2025?


Ieri Il vicepremier e ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, ha affermato che, “alla luce delle necessità odierne, chiudere le quattro centrali a carbone non è nell’interesse del Paese, perché significa rinunciare ad una parte del nostro futuro”

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In Italia il carbone non ha mai avuto un ruolo di grande rilievo, non superando mai il 10% del mix energetico nazionale. Inoltre, nel nostro Paese, così come in molti altri, la generazione elettrica da carbone è in calo: nel 2024 il combustibile fossile più “sporco” ha generato solo 3.500 GWh di energia elettrica, il 71% in meno rispetto all’anno precedente.

Questa riduzione è in linea con l’impegno dell’Italia a dismettere, entro il 2025, le centrali a carbone ancora attive (Brindisi, Civitavecchia, e Monfalcone), mentre quelle ubicate in Sardegna (Portovesme e Fiume Santo) verranno chiuse definitivamente nel 2028. Per queste ultime infatti si dovranno attendere alcuni importanti interventi infrastrutturali, su tutti il completamento del Tyrrhenian Link, il doppio collegamento sottomarino che consentirà gli scambi energetici tra Sicilia, Sardegna e il resto d’Italia.

LA LEGA VUOLE RINVIARE LA CHIUSURA DELLE CENTRALI A CARBONE

Ieri però, al convegno “Il nucleare sostenibile: l’Italia riparte” organizzato dalla Lega a Milano, è riemersa l’ipotesi di rinviare la chiusura delle centrali a carbone. Il vicepremier e ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, ha affermato infatti che, “alla luce delle necessità odierne, chiudere le quattro centrali a carbone non è nell’interesse del Paese, perché significa rinunciare ad una parte del nostro futuro”.

LA POSIZIONE DELLE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE

Com’era prevedibile, le principali associazioni ambientaliste italiane – Wwf, Greenpeace, Legambiente e Kyoto Club – sono invece fortemente contrarie alla proposta. “A valle del PNIEC del 2019 – spiegano gli ambientalisti -, sono stati fatti molti regali per sostenere e aprire le centrali a gas attraverso il mercato della capacità e con i soldi delle bollette elettriche. I lobbisti del carbone, però, non hanno perso le speranze e hanno approfittato di qualche sfarfallamento dei prezzi del gas per tornare alla carica, forti di un’analisi quantomeno discutibile e, soprattutto, stuzzicando l’interesse di Eni ed Enel che, per ragioni diverse, ora propongono il rinvio. Questo può succedere solo quando non c’è un governo e dei tecnici che attuano davvero le politiche scritte su carta”.

Per le associazioni ambientaliste “è inaccettabile che nel 2025 si proponga ancora il carbone all’interno del mix energetico. Per il nostro governo tornare indietro sulla decisione assunta sarebbe davvero una pessima figura, e lo è già per le aziende che hanno avanzato la proposta”.

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LE CENTRALI A CARBONE IN TOSCANA E A BRINDISI

Mentre si avvicina il phase-out, le centrali a carbone cambiano vita e, se in alcuni casi il nuovo corso è già iniziato, in altri il percorso è ancora nella fase iniziale. La miniera di Santa Barbara a Cavriglia, in Toscana, è la più grande area mineraria a cielo aperto d’Italia. Oggi l’area è entrata nella sua nuova era: laddove, dal secondo dopoguerra sino alla fine degli anni 90, è stata estratta lignite a cielo aperto, oggi sorgono percorsi ambienti e impianti forestali.

Un futuro tutto da scrivere è invece quello dell’ex centrale a carbone del porto di Brindisi. Al Mimit sono arrivate 50 manifestazioni di interesse, con progetti che riguardano le energie rinnovabili, l’economia circolare, l’agroalimentare, il turismo, la logistica, il settore navale, l’aeronautica e i datacenter. “L’iniziativa – ha spiegato il Ministero delle Imprese e del Made in Italy – introduce un nuovo modello di attuazione basato su una strategia condivisa tra istituzioni e attori locali. L’obiettivo è definire un piano di sviluppo per l’area di Brindisi, con investimenti strategici per la riconversione e la crescita economica e sociale, da formalizzare in un accordo di programma”.

L’IMPIANTO DI CIVITAVECCHIA E QUELLO DI MONTALTO DI CASTRO

Per la centrale di Civitavecchia è stata avviata la procedura per le manifestazioni di interesse volte a definire un piano complessivo per l’intera area, “con investimenti strategici capaci di assicurare la riconversione e lo sviluppo economico e sociale a lungo termine, da formalizzare attraverso un accordo di programma”.

C’è infine la centrale “Alessandro Volta” di Montalto di Castro. In origine avrebbe dovuto ospitare un impianto nucleare, mai ultimato, poi ha visto lo sviluppo di centrali a olio e a gas, mentre oggi è al centro di un progetto di sviluppo volto a sfruttare le opportunità create dalla transizione energetica. Nel sito sono in corso le demolizioni dei gruppi ad olio già dismessi ed è in fase di sviluppo un impianto fotovoltaico, mentre altre aree ospiteranno sistemi di accumulo di energia. All’interno dell’impianto resteranno attivi gli impianti a turbogas, che verranno rinnovati per renderli più efficienti.



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