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Mangiare nello spazio: le insalate a gravità zero e i funghi lunari della start up (italiana) che rivoluziona la coltivazione in ambienti estremi


Pensavo che la cosa più sofisticata da mangiare nello spazio fosse un tubetto di cibo liofilizzato o una barretta energetica con il sapore (vago) di pollo al curry, ma ho scoperto che il futuro si preannuncia molto più gustoso. Presto gli astronauti potrebbero addentare un’insalata fresca o dei fughi coltivati direttamente in orbita, a centimetro zero, se così si può dire. Niente male per chi viaggia a 28.000 km/h sopra le nostre teste. E dietro questa rivoluzione c’è un italiano che di spazio ne sa qualcosa: Franco Malerba, il primo astronauta italiano.

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Chi è Franco Malerba?

Nel caso tu non abbia un poster dello Shuttle Atlantis in camera (male!), ecco un ripasso veloce. Franco Malerba è stato il primo italiano a volare nello spazio nel 1992, a bordo dello Shuttle Atlantis, per la missione STS-46. Laureato in ingegneria e fisica, con un passato anche in politica e nella divulgazione scientifica, oggi ha deciso che il suo contributo al cosmo non è finito: sta lavorando per rivoluzionare il modo in cui gli astronauti si nutrono e per futuristiche coltivazioni spaziali permanenti.

L’astronauta Franco Malerba su suolo marziano ricreato in laboratorio

Una startup per il cibo spaziale

Malerba ha fondato Space V, una startup nata dall’incontro tra il know-how aerospaziale e un’idea innovativa: creare serre adattive per coltivare piante nello spazio. L’idea è nata quasi per caso, mentre Malerba lavorava come coach per startup finanziate dalla Commissione Europea. L’incontro con l’ingegnere Marco Ghio, mente dietro il brevetto della serra adattiva, ha fatto il resto. Ghio aveva progettato un sistema per ottimizzare lo spazio nelle serre di basilico genovesi (galeotto fu il pesto), ma Malerba ha visto oltre: “C’è una fame di spazio nello spazio” – ha detto davvero così, e ci ha anche riso su, ma torniamo seri – “Il volume è prezioso e la nostra tecnologia può massimizzarlo”.

Come funziona la serra spaziale?

Dimenticate le serre tradizionali. Il sistema brevettato da Space V raddoppia la resa delle piante rispetto alle strutture convenzionali grazie a ripiani mobili che si adattano alla crescita delle colture. Il vantaggio? Più piante in meno spazio, meno spreco di energia, meno consumo di acqua e nutrienti. Il tutto in un ambiente controllato e ottimizzato.

La tecnologia ha subito catturato l’attenzione di Thales Alenia Space, colosso dell’aerospazio, e dell’ESA Business Incubation Centre, l’incubatore dell’Agenzia Spaziale Europea presso il Politecnico di Torino. “Siamo stati ammessi assieme ad altre sei o sette startup italiane”, racconta Malerba. Poi è arrivato anche un investimento del fondo Galaxia, sostenuto da Cassa Depositi e Prestiti, CDP Venture Capital, che ha permesso di costruire un primo prototipo esposto al recente International Astronautical Congress di Milano.

Un prototipo delle serre adattive di Space V

Un prototipo delle serre adattive di Space V

Dal prototipo al volo spaziale

Il prossimo obiettivo è la Stazione Spaziale Internazionale (ISS). Space V ha già vinto un bando dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) per testare il sistema in orbita. Ma anche se la tecnologia c’è, questo non è un passaggio semplice: lo spazio ha regole rigide e ogni oggetto destinato al volo deve essere certificato per sicurezza e affidabilità. “Il nostro prototipo pesa circa 80 kg, dobbiamo ridurre il peso e garantire che non inquini l’ambiente della stazione”, spiega Malerba. Ma il futuro è chiaro: le serre spaziali diventeranno la norma nelle future stazioni orbitali commerciali, quelle che aziende private come Axiom e Blue Origin stanno già progettando.

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Insalata lunare e menù stellari

E dopo le stazioni orbitali? La Luna. Il programma Artemis della NASA prevede stazioni permanenti sul nostro satellite, e l’Italia sarà protagonista con un modulo abitativo sviluppato dall’ASI. In questo scenario, coltivare cibo fresco non sarà più solo un lusso, ma una necessità per la sopravvivenza degli astronauti.

E poi c’è il turismo spaziale. Tra dieci anni, le future stazioni private potrebbero competere anche sui menù a bordo. “Come oggi gli aerei vantano chef stellati, domani le stazioni spaziali potrebbero distinguersi per il miglior cibo fresco”, scherza Malerba. “Un’ottima insalata potrebbe diventare un lusso irrinunciabile per chi paga milioni di dollari per un viaggio tra le stelle”.



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