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per le grandi aziende è l’ora della reindustrializzazione


Per ridurre i rischi legati alle pressioni sulla supply chain e ad altre tensioni, oltre la metà delle aziende in Europa e Usa ha già investito in nearshoring o reshoring nel corso dell’ultimo anno, e si guarda anche al friendshoring

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Da parte delle grandi aziende statunitensi ed europee è in atto un’intensificazione della reindustrializzazione, per mitigare i timori legati alle pressioni sulla supply chain, all’aumento dei dazi e alle controversie commerciali. Lo rileva l’edizione 2025 di un report a cura del Capgemini Research Institute, che spiega come la riconfigurazione a livello globale delle supply chain e della capacità produttiva, che include il reshoring e il nearshoring della produzione, così come la diversificazione, è strategicamente prioritaria rispetto alla redditività a breve termine. Quasi il 60% dei manager è deciso a proseguire gli sforzi nonostante i costi più elevati e la maggior parte delle organizzazioni (65%) sta riducendo la dipendenza dai prodotti cinesi. Nei prossimi tre anni, invece, le aziende intendono investire nel friendshoring, ovvero la pratica in cui le reti della supply chain si concentrano su paesi considerati alleati politici ed economici, per ridurre ulteriormente l’esposizione al rischio.

Secondo l’indagine “The resurgence of manufacturing”, condotta tra il 1° e il 20 gennaio 2025 negli Stati Uniti e in sette Paesi Europei, Italia compresa, le tensioni di mercato stanno spingendo le grandi aziende europee e statunitensi ad accelerare i loro piani di diversificazione delle catene di produzione e di approvvigionamento: due terzi delle aziende hanno infatti già implementato o avviato una strategia di reindustrializzazione, rispetto al 59% del 2024.

Le leve della reindustrializzazione

Le principali motivazioni alla base della reindustrializzazione includono la resilienza della supply chain, le preoccupazioni geopolitiche e l’esigenza di maggiore vicinanza ai clienti. La pressione sulla supply chain è citata dal 95% dei dirigenti, in netto aumento rispetto al 69% del 2024. Per la prima volta, la vicinanza ai clienti emerge come secondo driver (92%).

L’aumento dei dazi, inoltre, sta aggravando le sfide logistiche, con il 93% dei dirigenti che esprime preoccupazione per l’impatto economico. La reindustrializzazione è sempre più considerata una risposta strategica al contesto geopolitico, in particolare nei settori delle batterie/accumulo di energia, dell’automotive e delle telecomunicazioni, con oltre la metà dei dirigenti in tutte le regioni che affermano che i dazi stanno imponendo un’accelerazione ai loro sforzi di reshoring e reindustrializzazione.

La complessità e i costi associati alla reindustrializzazione sono noti ai dirigenti: il 62% circa si aspetta un aumento dei costi di capitale nei prossimi tre anni, mentre circa la metà prevede una riduzione dei costi logistici grazie alla maggiore vicinanza ai clienti. Tuttavia, quasi due terzi ritengono ancora che il divario di competenze domestiche rappresenti una sfida significativa, un problema rimasto invariato rispetto al 2024.

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L’orizzonte a tre anni

Nel corso dell’ultimo anno, i leader aziendali dei diversi settori hanno dichiarato di aver intensificato la propria strategia di delocalizzazione della produzione e della supply chain, con oltre la metà (56%) che ha investito nel nearshoring o in una combinazione di reshoring e nearshoring della propria produzione, rispetto al 42% del 2024. Si prevede che questa tendenza continui: secondo le previsioni, nei prossimi tre anni le operazioni onshore e nearshore aumenteranno fino a rappresentare rispettivamente il 48% (+7 punti percentuali) e il 24% (+2 punti percentuali) della capacità produttiva totale.

Secondo il report, il friendshoring è destinato a diventare una strategia chiave per la maggior parte delle aziende (73%) in termini di approvvigionamento e produzione e, secondo le previsioni, nei prossimi tre anni rappresenterà il 41% della capacità produttiva totale, rispetto al 37% del 2024. Inoltre, l’82% dei dirigenti indica che intende ridurre la dipendenza della supply chain dalla Cina, con un aumento significativo rispetto al 58% del 2024. Le organizzazioni intervistate stanno invece puntando su destinazioni di reindustrializzazione in Nord America, Regno Unito, Messico, Vietnam, India e Nord Africa.



Tecnologie avanzate

La maggior parte delle aziende (62%) si sta concentrando sullo sviluppo degli impianti produttivi per renderli più intelligenti e tecnologicamente avanzati. Oltre la metà di queste ha già ottenuto risparmi superiori al 20% grazie all’adozione di tecnologie digitali nei propri processi di reindustrializzazione, e una larga maggioranza (84%) prevede di investire ulteriormente in tecnologie manifatturiere avanzate per ridurre ulteriormente i costi.

Più di 6 aziende su 10 stanno considerando tecnologie avanzate come dati e analisi e AI/Machine Learning per supportare la reindustrializzazione nei prossimi tre anni. Le organizzazioni stanno inoltre valutando tecnologie emergenti come Gen AI, 5G ed Edge computing, blockchain, digital twin e tecnologie quantistiche.

Inoltre, quasi tre quarti (73%) delle organizzazioni prevedono che la reindustrializzazione contribuirà a favorire un cambiamento verso pratiche di produzione sostenibili ed eco-compatibili, con un aumento significativo rispetto al 56% del 2024.

“La necessità di reindustrializzare è ormai evidente dopo decenni di globalizzazione. Le aziende stanno rafforzando gli sforzi per diversificare e ridurre i rischi avvicinando la produzione ai mercati di riferimento. La riorganizzazione delle supply chain è complessa e onerosa, ma le imprese stanno investendo per affrontare l’incertezza macroeconomica e incrementare la competitività a lungo termine, sfruttando tecnologie avanzate. La collaborazione regionale con fornitori, partner tecnologici e policymaker sarà fondamentale per costruire un ecosistema manifatturiero resiliente e adattabile”, commenta Aiman Ezzat, Chief Executive Officer di Capgemini.

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