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Ricciardelli: ‘La locomotiva tedesca è ripartita’. E la nostra?


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Ha fatto notizia in questi giorni, quanto di nuovo pubblicato dall’ingegner Ricciardelli in merito alla recente fiera di Hannover in Germania, meglio conosciuta tra gli operatori internazionali come l’Hannover Messe.

Infatti, nel pieno di una crisi internazionale con contorni imprevedibili, innescata dai dazi americani su un preesistente rallentamento  dell’economia tedesca, che sta preoccupando anche le nostre aziende, ad Hannover per una settimana intera si è avuta l’evidenza di un grande dinamismo dell’industria europea, trainata dalla “locomotiva” tedesca, che da un lato ci ha fatto vedere un sistema di imprese molto dinamico – che si sa muovere secondo i tempi e le prospettive delle trasformazioni aziendali che stanno avvenendo – e dall’altro ci ha indotto a chiederci se in quel nuovo dinamismo industriale ci sono ancora le condizioni per il nostro Paese per essere protagonista, rimanendo la seconda manifattura in Europa.

È la ragione per cui abbiamo di nuovo interpellato per un parere l’ingegner Valerio Ricciardelli, esperto di politiche scolastiche legate ai cambiamenti economici e sociali, che di quei mondi ha grande familiarità, autore di un importante saggio sull’istruzione tecnica, qui la nostra recensione).

Ing. Ricciardelli, quale è la novità, se c’è, per il nostro Paese, e quali le riflessioni sulle politiche scolastiche dell’istruzione tecnica e professionale che ci riguardano?

“Bisogna spiegare innanzitutto ai nostri lettori cos’è l’Hannover Messe. Detto sinteticamente, Hannover Messe è l’osservatorio privilegiato di ciò che succede nel mondo industriale e del manufacturing avanzato, e quindi utile per scoprire come sta evolvendo la ‘fabbrica del futuro’. Qui convergono ogni anno per una settimana circa 4mila aziende espositrici da tutto il mondo, le più innovatrici, e sono presentati più di 10mila prodotti e soluzioni all’avanguardia nei loro rispettivi settori. Numeroso è il pubblico qualificato, con 130mila visitatori da 150 Paesi, di cui il 70% appartenenti alla categoria dei decison maker. Interessante che nell’ultima edizione sono state presenti più di 300 startup, oltre 2mila trade show premier e più di 1.000 progetti di ricerca e sviluppo, 150 istituti di ricerca, 300 delegazioni politiche ed economiche, 1.600 opinion leader e 1.500 giornalisti.
In aggiunta è importante osservare che nell’ultima edizione (31 marzo-4 aprile 2025) oltre il 40% dei visitatori proveniva dall’estero: I Paesi con il maggior numero di presenze, dopo la Germania, sono stati: Cina, Paesi Bassi, Canada, Polonia, Corea del Sud, Giappone ed altri paesi asiatici. La presenza asiatica è sempre un segnale importantissimo, da non trascurare, che si accompagna a quanto siano avanzate le loro competenze; e ciò è stato confermato anche alle ultime Olimpiadi delle professioni tecniche del 2024″.

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Ma perché è un osservatorio privilegiato?

“Per tante ragioni che poggiano su un ragionevole ottimismo, frutto di una sapiente preparazione e organizzazione. Certamente per il grande dinamismo mostrato, che è conseguenza di una chiara visione del sapere dove andare, accompagnata da coerenti strategie, già tradotte in portfolii di nuovi prodotti, innovazioni, applicazioni. Ad Hannover Messe, in migliaia di esempi concreti, si è visto chiaramente come il mondo ‘analogico’ delle macchine è già integrato con l’intelligenza digitale, osservando come la digitalizzazione e l’Intelligenza Artificiale rendano possibile il progresso industriale.

Le aziende espositrici, per la più parte le top di  Industry 4.0, hanno dimostrato che, dal punto di vista tecnologico, hanno già tutte le carte in regola per continuare a proporre una produzione competitiva, sostenibile e innovativa in Germania, in Europa e nel mondo. La “fiera” con tutti i suoi eventi, ha fornito orientamento e impulso al settore manifatturiero in tempi davvero difficili, ma gli espositori hanno segnalato ancora una crescente fiducia che poggia su basi sicuramente più solide dello scarso ottimismo delle nostre imprese. Queste ultime trovano la loro primaria preoccupazione nelle prossime competizioni che si creeranno con nuovi Paesi per la ricomposizione delle nuove filiere, a seguito delle fibrillazioni economiche che si sono scatenate. È rispetto a questa circostanza che si giocherà il mantenimento del secondo posto in Europa della nostra manifattura”.

E in Italia?

“Siamo ancora all’elenco dei problemi, registrando per il 25° mese consecutivo il calo della produzione industriale di cui ci accontentiamo di addebitare la causa anche al rallentamento dell’economia tedesca.  Questo è vero, ma per quello che abbiamo visto ad Hannover i tedeschi stanno prendendo le contromisure. Poi c’è la mancanza di una politica industriale, cosa che in Germania non manca. Era stata annunciata con grande enfasi nel 2024 con la pubblicazione del ‘libro verde’ del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, che avrebbe poi dovuto essere trasformato, dopo una consultazione pubblica e gli Stati Generali, in un ‘libro bianco’ definitivo, previsto per febbraio 2025, ma siamo ancora in alto mare. E senza una linea strategica su dove dovrà andare l’economia industriale, e su come dovrebbe essere definito il nuovo ruolo di Stato stratega, è anche abbastanza difficile promuovere una politica scolastica di tipo “push”, ossia anticipatrice e non solo reattiva, finalizzata alle professioni tecniche e ai saperi che si dovranno costruire”.

Ma cosa possiamo imparare dalla Germania e da Hannover, e di cosa dovremmo preoccuparci?

“Credo che questa sia una domanda molto importante. Innanzitutto, il dinamismo tedesco è l’applicazione di un chiaro pragmatismo che origina nella cultura della visione, della pianificazione, della programmazione, del controllo, della correzione, della rendicontazione e non nell’improvvisazione. Tutto fatto con metodi, grammatiche, sintassi e altri strumenti adeguati. È l’armamentario tedesco per far funzionare l’economia e i servizi del Paese. Poi dobbiamo approfondire il ruolo dei visitatori stranieri di Hannover, soprattutto gli asiatici. La Germania è sì la locomotiva di Europa e continuerà ad esserlo, ma l’economia industriale tedesca è composta da una flotta di locomotive che trascinano vagoni che sono le diverse aziende appartenenti alle complesse filiere. Tra queste, talune sono italiane e di successo, ma abbiamo un grande bisogno che continuino a stare in quei convogli con ruoli importanti senza farsi scalzare da altri. Ma per essere tranquilli che qualcuno non ci sostituisca, bisogna essere dei “vagoni produttivi”, ossia competitivi rispetto ad altri, nell’essere generatori di valore a vantaggio di tutta la filiera.
Quei Paesi che si stanno affacciando ad Hannover per trovare nuove filiere dove inserirsi, hanno già imparato ad essere produttori di manufacturing avanzato e devono solo competere con quelli che da tempo sono già sul mercato. L’evidenza della loro strategia è che sono già dotati di sistemi scolastici di eccellenza, soprattutto per quanto riguarda l’istruzione tecnica e professionale. Ciò indurrebbe a chiederci per quale ragione  Paesi che hanno ancora una manifattura non avanzata si siano già dotato di una istruzione tecnica per professioni e competenze richieste solo da un manufacturing avanzato, se non quello di aspirare ad entrare in nuovi e più complessi mercati?”.

Ma di fronte ad una strategia del genere quale dovrebbero essere le contromisure da prendere con le politiche scolastiche?

“Innanzitutto, bisognerebbe imparare ad osservare le strategie altrui. Ed è la ragione per cui, per la sfida che attende l’Italia, certamente bisognosa di una istruzione tecnica di eccellenza sovranazionale che deve andare anche oltre le riforme attuali, potrebbe essere una buona idea insediare, almeno nella  Technology Academy di Hannover Messe, partner della politica industriale tedesca e dell’internazionalizzazione un osservatorio permanente su questi eventi. Si coglierebbero così, in tempo reale, le tendenze, le trasformazioni, le innovazioni tecnologiche e organizzative, i mutamenti delle professioni e della loro employability. Tutto potrebbe essere finalizzato ad avere utili elementi necessari per costruire una politica scolastica trasversale, centrata sullo stretto legame tra l’economia, il mercato del lavoro, la cultura delle Stem e una nuova e eccellente istruzione tecnica. Aggiungo però una importante osservazione che nel mio libro sull’istruzione tecnica  è definita come questione push-pull. Noi commettiamo, e abbiamo sempre commesso, un grave errore: indirizziamo le nostre politiche scolastiche ai bisogni delle imprese, che sono quasi sempre di oggi, rispondendo con una strategia “pull”, ossia reattiva. Sarebbe sufficiente invece osservare che laddove c’è il bisogno o l’opportunità di investire, o dove ci sono di mezzo importanti trasformazioni aziendali, serve invece che sia adottata una politica scolastica di tipo “push”, proattiva, che abbia già preparato i saperi e le competenze con largo anticipo. È quello che hanno già fatto molti paesi visitatori di Hannover, programmando i loro nuovi scenari economici del futuro”. 

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