Nonostante le tante associazioni (troppe?), gli operatori del mercato hanno una scarsa capacità di farsi sentire dalla politica. In che cosa sbagliano? E come potrebbero migliorare?
Forse bisogna cercare di mettersi nei panni di chi svolge un ruolo politico e capire che cosa potrebbe fargli cambiare idea. Dobbiamo riconoscere che chi fa politica oggi parte con un pregiudizio (l’arte è per benestanti) che nasconde la mancanza di coraggio e la poca comprensione del suo ruolo nella nostra società. Che cosa si deve fare per creare incentivi inserendo l’arte all’interno dell’agenda politica? È necessaria un’analisi approfondita del sistema economico che evidenzi come l’arte rappresenti uno strumento di sviluppo con un forte indotto sul territorio, in grado di offrire vantaggi concreti per la società e anche per la politica. È insomma indispensabile dare vita a una nuova narrazione.
La Francia al contrario dell’Italia, ha compreso da tempo che il mercato ha un forte peso culturale: ha sempre incentivato le grandi collezioni (basti pensare alle agevolazioni offerte a Pinault e Arnault per aprire i loro spazi a Parigi) e favorito l’accesso delle fiere internazionali come Art Basel Paris. Anche Christie’s organizza la sua asta d’arte italiana nella Ville Lumière e ha abbandonato Milano.
In Francia la cultura viene considerata come uno strumento essenziale di sviluppo economico e sociale, soprattutto nel caso di Parigi. Per questo non si teme la collaborazione con i privati. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. L’Italia ha il vantaggio di non avere un tale accentramento economico e culturale, ma ciò richiede un’azione più diffusa, a livello locale. Che in alcuni casi è efficace e in altri meno.
Ci spieghi meglio.
Voglio dire che i risultati migliori si ottengono quando i progetti hanno continuità nel tempo e non vengono intralciati dai continui cambi di amministrazione. Palazzo Strozzi a Firenze è sicuramente un esempio virtuoso: quando ho assunto la presidenza nel 2006 (l’ho mantenuta per 10 anni) era una realtà totalmente inesistente, nota solo per aver ospitato la Biennale degli Antiquari. Ora è una delle istituzioni culturali più floride in Italia.
Il 2024 è stato un annus horribilis per il mercato dell’arte con una flessione complessiva nelle vendite pubbliche superiore al 25%. Che cosa pensa possa accadere nel 2025, con le continue intemperanze di Trump?
Le politiche di Trump creano incertezza che certo gli investitori non apprezzano. L’arte è in parte anche un bene rifugio, ma ciò è vero solo per gli artisti più noti. A soffrirne sono quelli più giovani, che hanno bisogno di sostegno e di un atteggiamento più aperto al rischio da parte dei collezionisti.
Il sistema museale italiano è boccheggiante con i finanziamenti alla cultura scesi negli ultimi dieci anni del 43% passando da 5,5 miliardi a 3,1. Quali sono le riforme necessarie per un rilancio?
Bisogna coinvolgere di più i privati, ad esempio con un uso più esteso dell’ArtBonus con minori vincoli quantitativi e burocratici. Bisogna anche spendere meglio, in modo più prevedibile e coordinato tra livello nazionale e locale. In tal senso, la Toscana ha dato un segnale importante con la Regione che integra i fondi dell’Art Bonus favorendo il mecenatismo privato.
Non crede che l’ibridazione pubblico-privato con le gallerie potenti che talvolta paiono spadroneggiare nei musei sfruttando la loro evidente carenza di fondi, rischi di essere nociva e vada a discapito della ricerca?
Se lo spazio pubblico è autorevole non ha alcuna difficoltà a collaborare con il privato. Altrimenti soccombe. Ci sono opportunità per tutti. Basta avere progetti ambiziosi e persone in grado di portarli avanti. Prendo l’esempio di Firenze e Prato, distanti appena 20 chilometri, dove coesistono Palazzo Strozzi, che sta per compiere vent’anni e prevede un programma di mostre internazionali di grande impatto, e il Centro Pecci, che ha recuperato un ruolo centrale di ricerca e valorizzazione di artisti giovani con la capacità di affrontare tematiche complesse e di «frontiera» nell’ambito dell’arte contemporanea. Va poi considerata tutta la rete del contemporaneo in Toscana con istituzioni pubbliche e private, da Carrara, Livorno fino a Orbetello, passando per Capannori, Pistoia e il Chianti. Il ruolo del settore pubblico è proprio sostenere questa rete favorendo le sinergie e la cooperazione a vantaggio di chi vive nel territorio, ma anche di chi arriva da lontano, non solo per ammirare l’arte classica ma anche per cercare stimoli nuovi.
Nel caso del Centro Pecci di cui lei è presidente come viene gestito il bilancio? Riuscite a far quadrare i conti e quanti sono gli spettatori all’anno?
Il vincolo del bilancio in pareggio è fondamentale per cui abbiamo messo in piedi un sistema di monitoraggio molto preciso nel corso dell’anno per assicurarci di rimanere all’interno del budget. Il che non è facile in quanto il flusso delle entrate è discontinuo e il lavoro di ricerca fondi è legato alle incertezze economiche che ben conosciamo. Abbiamo tuttavia fatto molti progressi in questi anni nel controllo di gestione. Anche in termini di visitatori (daremo i numeri definitivi con la chiusura di bilancio ai primi di maggio) si nota un ritorno oltre i livelli pre Covid-19 nonostante un giorno di chiusura settimanale in più. C’è una grande domanda di cultura e di arte che va intercettata e assecondata, coinvolgendo scuole, università, imprese. È un lavoro che richiede lungimiranza e capacità manageriali.
Il Centro Pecci ha un’importante collezione permanente. Sono previste nuove acquisizioni?
Le opere in collezione sono oltre 1.200, una parte delle quali è esposta in un’ala del museo (attualmente Boetti, Kapoor, Kounellis, Richter, Warhol…). Grazie ai bandi ministeriali come Pac o Strategia Fotografia siamo stati in grado di acquisire importanti opere, per un valore di circa 500mila euro negli ultimi tre anni, che vanno a colmare il «gender gap» e a rendere più specifica la collezione su artisti che hanno avuto forti relazioni con la Toscana, che si confrontano con l’immagine in movimento o con la fotografia. Tra gli esponenti più significativi entrati recentemente in collezione potrei citare Diego Marcon, Adelaide Cioni, Chiara Camoni, Sylvano Bussotti, Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, Hervé Guibert, Lina Pallotta e Armin Linke.
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