Lei ha una missione: insegnare a persone, lavoratori, aziende e organizzazioni a essere felici, trasformare la realtà e realizzare imprese straordinarie. Dove, quando e come nasce questo purpose non da poco?
«Nasce, come spesso nascono le cose importanti, da una crisi. Dopo anni passati a cercare la felicità con metriche altrui, mi sono chiesto se stessi vivendo la vita che volevo o quella che altri si aspettavano da me. È lì che ho capito che la felicità non è un lusso, è una competenza che si può allenare e si può imparare. E ho deciso di studiarla con metodo e dedizione, utilizzando le mie capacità: da ingegnere, l’ho misurata; da psicologo, l’ho interpretata; da formatore, ho deciso di insegnarla».
Partiamo dalla felicità. Lei sostiene che per distinguerci dobbiamo far battere il cuore, creare emozioni e generare felicità. Come si fa? E, ancor più, come si può farlo in azienda e al lavoro?
«Facendo esattamente l’opposto di ciò che ci hanno insegnato: smettere di considerare l’emozione come una debolezza e iniziare a trattarla come un moltiplicatore di performance. Un team che si emoziona è un team che si connette, innova, si supera. In azienda, questo si traduce in una leadership empatica, in processi che mettono le persone al centro, e in ambienti dove è lecito sbagliare, ma vietato arrendersi».
Come descriverebbe questa felicità? E da cosa deriva al lavoro e in azienda?
«La felicità non è euforia, ma una scelta. È cercare il perché ci si sveglia al mattino, scegliere che cosa si sta costruendo, con chi e in quale direzione. Deriva da relazioni autentiche, obiettivi chiari e da un contesto che non ti fa sentire una pedina, ma un pezzo essenziale del disegno. Un’azienda felice è un’azienda che ha sinceramente a cuore la felicità dei propri collaboratori, dei propri stakeholder, dei propri clienti, guidata da leader che hanno a cuore la loro e la propria felicità».
Lei sostiene che la felicità è la base per cambiare le regole, trasformare la realtà e realizzare imprese straordinarie. Perché e come?
«Perché una ricerca di Harvard ha dimostrato che non è il successo che porta alla felicità, ma la felicità che porta al successo. Una persona felice è una persona libera. E solo chi è libero può rompere gli schemi e vedere dove gli altri non guardano. La felicità è il motore dell’audacia, e senza audacia nessuna trasformazione è possibile. La felicità in azienda (e nella vita) è una scelta strategica, non un semplice “nice to have”».
Raggiungere la felicità e realizzare l’impossibile: l’una tira l’altra? E come, perché?
«Assolutamente sì. È un meraviglioso percorso ricorsivo che si autoalimenta. Per realizzare l’impossibile bisogna credere di essere in grado di realizzarlo. In psicologia si chiama autoefficacia. Chi è autoefficace è ottimista. Chi è ottimista è felice… chi è felice ha successo, chi ha successo crede di poter vincere ogni sfida e quindi si mette in gioco e ci prova. Mettersi in gioco con coraggio e determinazione è il primo passo per realizzare l’impossibile…».
Da dove dobbiamo partire come singoli per mettere in atto questo percorso virtuoso e direi entusiasmante?
«Dalla consapevolezza. Che deve essere intesa come un verbo, non un sostantivo. Non basta “averla”, bisogna esercitarla. Conoscere sé stessi, riconoscere cosa ci dà energia e cosa ce la toglie. Fare un audit delle proprie giornate e domandarsi: “Sto costruendo qualcosa che mi somiglia?” Solo da lì si può partire con coerenza, avendo la consapevolezza che tutto dipende dalle nostre scelte».
E in tutto questo qual è il ruolo dei manager?
«Fondamentale. Il manager è il primo moltiplicatore o il primo freno. La sua energia si diffonde per osmosi. Un manager che crea fiducia, che sa ascoltare, che sa quando guidare e quando farsi da parte, è il vero motore di un ambiente felice. È più difficile? Certo. Ma è l’unico modo per costruire qualcosa che duri. Avendo ben chiaro che non esistono aziende felici se non ci sono manager felici, e non ci sono manager felici se non ci sono persone felici. Noi siamo un unicum inscindibile, e il nostro approccio impatta su tutto il nostro mondo: privato, personale e lavorativo».
Quali sono tre consigli e/o must dai quali un manager deve partire per costruire un ambiente felice?
«Prenditi cura delle relazioni e delle persone, non solo dei risultati. Sii prevedibile nei valori e imprevedibile nella creatività: le persone hanno bisogno di stabilità emotiva e di stimoli intellettuali. Ascolta con l’intenzione di cambiare opinione, non solo di rispondere. L’ascolto vero è rivoluzionario.
È possibile davvero coinvolgere e portare a bordo tutti o qualcuno può capitare di perderlo per strada?
«Si può coinvolgere chi è disposto a farsi coinvolgere. Ma non si può forzare nessuno. Il ruolo del leader è creare le condizioni per far fiorire chi ha il potenziale. Chi si perde per strada non è “colpa” di nessuno. A volte si tratta solo di momenti diversi, priorità diverse. L’importante è evitare l’accanimento terapeutico. A volte, pur di non perdere una piccola battaglia con un collaboratore, rischiamo di perdere una guerra più grande: l’armonia del gruppo.
Per chiudere, due aspetti importanti. Cos’è per lei la felicità e cos’è la leadership?
«La felicità è uno stile di vita che si fonda sulle nostre scelte. È una strategia, un atto intenzionale. È importante capire che non arriverà mai per caso, ma si costruisce giorno per giorno. La leadership è la capacità di far sentire gli altri migliori in tua presenza… e anche in tua assenza. È trasformare il potere in responsabilità e l’autorevolezza in ispirazione.
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