Duplicazione produttiva, dipendenze esterne e frammentazione decisionale frenano il consolidamento industriale e la coesione difensiva dell’UE.
L’intensificarsi dell’impegno dell’Unione Europea nel definire un assetto autonomo in materia di difesa, formalizzato attraverso documenti come la Bussola Strategica (2022), il Libro Bianco sulla sicurezza e le comunicazioni della Commissione relative all’orizzonte 2030, ha reso evidente la necessità di affrontare non solo le criticità interne, ma anche le vulnerabilità sistemiche che limitano l’efficacia complessiva del comparto. L’assenza di strumenti comuni per il procurement, la standardizzazione e la ricerca rende l’Unione esposta agli shock esterni e rafforza le asimmetrie che già caratterizzano il settore, aggravando la distanza tra ambizione politica e capacità industriale concreta [i].
Questo slancio politico è reso necessario dalle fragilità strutturali che tuttora segnano il comparto europeo della difesa, a cominciare dalla persistente frammentazione della sua base produttiva. Grandi conglomerati transnazionali, come Airbus Defence & Space, Leonardo, Thales, Rheinmetall, MBDA e Saab, coesistono con una moltitudine di imprese a vocazione nazionale, spesso prive di strumenti di coordinamento integrato, compromettendo la possibilità di sviluppare capacità comuni. Operando in un contesto competitivo dominato da interessi privati e logiche nazionali, che ostacolano le dinamiche di convergenza e impediscono la costruzione di un autentico mercato europeo della difesa. In assenza di una pianificazione vincolante a livello sovranazionale, proliferano iniziative parallele, si sovrappongono capacità produttive e si disperdono risorse, con effetti negativi sul conseguimento di economie di scala e sulla standardizzazione tecnologica delle piattaforme [ii]. Questa disarticolazione trova un riscontro empirico nei dati forniti dall’European Defence Agency (EDA). Nel 2022, solo il 16% degli appalti per capacità difensive e il 18% della spesa in ricerca e sviluppo sono stati effettuati congiuntamente da più Stati membri, a fronte dell’obiettivo del 35% fissato dallo Strategic Compass [iii]. Il deficit cooperativo si traduce direttamente nella distribuzione dei sistemi d’arma attualmente in uso nei Paesi dell’Unione. In ambito terrestre, ad esempio, si registra la coesistenza di numerosi modelli di main battle tanks(MBT), Leopard 2, Leclerc, Challenger 2, Ariete, PT-91 Twardy, sviluppati su base nazionale e non interoperabili. Un quadro analogo emerge nel settore aeronautico, con piattaforme da combattimento come Eurofighter Typhoon, DassaultRafale, F-16, Saab Gripen, Mirage 2000 e MiG-29, che evidenziano una duplicazione funzionale accompagnata da un’elevata incompatibilità tecnica e logistica [iv].
Il rischio di un’autonomia incompiuta
In assenza di strumenti vincolanti di coordinamento e di un rafforzamento concreto della base industriale europea, il ricorso strutturale a fornitori extraeuropei, in particolare agli Stati Uniti, continua a rappresentare una delle principali aree di vulnerabilità per l’Unione. Secondo i dati del SIPRI Arms Transfers Database, nel periodo 2020–2024 gli Stati Uniti hanno fornito il 64% delle importazioni di armamenti destinate agli Stati europei membri della NATO[v], registrando un incremento significativo rispetto al 52% del quinquennio precedente. Questa dinamica evidenzia una dipendenza sistemica che incide direttamente sulla capacità dell’Unione di sviluppare autonomia nei settori tecnologici e operativi più avanzati[vi]. Il rafforzamento progressivo del complesso industriale statunitense, sostenuto da una spesa per la difesa pari a 895 miliardi di dollari e da ulteriori aumenti già annunciati dalla nuova amministrazione Trump, rischia di accentuare il divario produttivo con l’Europa e di consolidare una relazione di subordinazione di lungo periodo. Questo squilibrio risulta altresì amplificato dall’aumento delle spese militari nelle principali potenze extraeuropee. La Russia ha destinato alla difesa, nel 2023, circa 109 miliardi di dollari, pari al 5,9% del PIL, ma le previsioni per il 2024 indicano un ulteriore incremento fino a 140 miliardi, con una quota pari al 7,1% del PIL. La Cinaha stanziato ufficialmente nel 2023 circa 296 miliardi di dollari, prevedendo per il 2024 un aumento del 7,2%; alcune stime indipendenti suggeriscono che la spesa effettiva potrebbe superare ampiamente tale soglia. L’India ha raggiunto gli 83,6 miliardi nel 2023 (+4,2%). A fronte di un contesto internazionale altamente competitivo, i Paesi europei presentano livelli di investimento ancora disomogenei, seppur in crescita. Secondo i dati NATO del 2024, la Germania ha stanziato circa 90,6 miliardi di euro, la Francia 59,6 miliardi, l’Italia 32,0 miliardi, la Polonia 35,0 miliardi, la Spagna 19,7 miliardi e i Paesi Bassi 19,9 miliardi [vii]. Queste cifre, pur riferendosi per la maggior parte all’anno precedente, testimoniano un’accelerazione della competizione globale nel settore della difesa e mettono in luce il ritardo strutturale dell’Europa nella costruzione di una capacità comparabile.
Verso una difesa comune e interoperabile
Sebbene il sistema continui a mostrare segni evidenti di disfunzionalità, l’aumento delle tensioni internazionali e la crescente consapevolezza del rischio sistemico sembrano esercitare una forza propulsiva verso una possibile revisione strutturale dell’apparato difensivo europeo. Si stanno consolidando segnali concreti di trasformazione, che indicano l’avvio di un percorso di riorganizzazione dell’architettura produttiva. Il piano di attuazione dello Strategic Compass ha previsto l’espansione delle iniziative PESCO da 17 a oltre 60 tra il 2018 e il 2024, mentre la Commissione Europea ha recentemente proposto l’istituzione di un European Defence Industrial Programme (EDIP) per rafforzare la base tecnologica e industriale della difesa continentale[viii]. A ciò si affiancano strumenti finanziari come l’EDIRPA (Instrument for Procurement in Common) e il Fondo Europeo per la Difesa (EDF), che, pur avendo stanziato solo circa 8 miliardi di euro per il periodo 2021–2027, mirano a promuovere la progettazione e la produzione congiunta di capacità militari avanzate. Si aggiunge inoltre il Coordinated Annual Review on Defence (CARD), promosso dall’Agenzia Europea per la Difesa, che svolge una funzione analitica nel rilevare le lacune capacitive, monitorare la duplicazione dei sistemi e stimolare la convergenza tra le priorità politico-industriali degli Stati membri, contribuendo alla costruzione di una visione strategica condivisa nel lungo termine. n quest’ottica di rilancio e razionalizzazione, lo sviluppo di cluster tecnologici sovrani rappresenta una condizione imprescindibile per rafforzare la coerenza del comparto industriale europeo. Tecnologie abilitanti come l’intelligenza artificiale applicata alla difesa, i big data, le architetture cloud militari, i sensori quantistici, la cyberdifesa e le comunicazioni crittografate saranno determinanti per costruire un’autonomia operativa credibile e duratura. In questa direzione si collocano diverse iniziative multinazionali già in corso, da intendersi non solo come programmi industriali complessi, ma come anticipazioni concrete di una difesa europea fondata su piattaforme comuni, architetture modulari e piena interoperabilità tecnologica. Il Future Combat Air System (FCAS) sviluppato da Francia, Germania e Spagna, è concepito come una piattaforma di sesta generazione che integrerà capacità distribuite e sensoristica avanzata in un ecosistema operativo congiunto. Il primo volo dimostrativo è previsto entro il 2027, con entrata in servizio stimata per il 2040, ponendo le basi per una superiorità informativa e decisionale multilivello. L’Eurodrone frutto della cooperazione tra Francia, Germania, Italia e Spagna, sarà impiegato in missioni ISTAR (Intelligence, Surveillance, Target Acquisition and Reconnaissance),perfettamente integrabile nei sistemi europei di comando e controllo. L’European Patrol Corvette, invece, progettata come piattaforma navale flessibile, interoperabile e standardizzata, mira a rafforzare la presenza marittima dell’Unione nei principali teatri operativi. Il Main Ground Combat System (MGCS), co-finanziato da Francia e Germania, sostituirà i carri armati Leopard 2 e Leclerc con una nuova piattaforma terrestre modulare, capace di integrare sensori digitali avanzati e sistemi unmanned.
Queste iniziative, sostenute da una spesa complessiva di circa 340 miliardi di dollari nel 2024, pongono l’Unione Europea, considerata nel suo insieme, al secondo posto nel mondo per investimenti ufficiali in difesa, dopo gli Stati Uniti e davanti a Cina e Russia. Se accompagnate da una visione unitaria e da una reale convergenza politica, esse possono rappresentare il nucleo di un’industria europea competitiva, capace di sostenere un’autonomia decisionale concreta, a condizione che siano affiancate da una strategia comune e da strumenti vincolanti di attuazione.
[i] Una Bussola Strategica per la sicurezza e la difesa – Per un’Unione europea che protegge i suoi cittadini, i suoi valori e i suoi interessi e contribuisce alla pace e alla sicurezza internazionali, Consiglio dell’Unione Europea, Bruxelles, 2022, pp.5-6.
[ii] Industria europea della difesa: il Fondo europeo per la difesa ha dato impulso alla cooperazione, ma permangono ostacoli strutturali, Corte dei conti europea, Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, Lussemburgo, 2025, p.27-28.
[iii] Una Bussola Strategica per la sicurezza e la difesa, op.cit., p.9.
[iv] Ivi, pp.34-35.
[v] Stockholm International Peace Research Institute. Trends in International Arms Transfers, 2024, Fact Sheet, SIPRI, 2025., p.11.
[vi] Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), Trends in International Arms Transfers, 2023, Fact Sheet, SIPRI, 2024, p. 5,
[vii] Defence Expenditure of NATO Countries (2014-2024), Bruxelles, NATO Public Diplomacy Division, 2024, pp. 5–10.
[viii] Coordinated Annual Review on Defence Report, European Defence Agency , Bruxelles, 2022, pp.1–13.
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