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Rendicontazioni o persecuzioni? Il lato oscuro della burocrazia nei progetti di sviluppo – Telemia


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di Guido Mignolli, Direttore del GAL Terre Locridee

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Ci risiamo. Come un copione già letto, una storia che si ripete, un sogno ricorrente che si trasforma in incubo al risveglio. Chi lavora nel mondo dello sviluppo locale conosce bene quella sensazione: la stretta allo stomaco, il sudore freddo davanti a una PEC che annuncia l’ennesima verifica, la consapevolezza che, ancora una volta, si dovrà difendere l’indifendibile, non per mancanza di requisiti, ma per eccesso di norme. Norme a volte scritte male, più spesso interpretate peggio.

Il giorno della marmotta”, lo definisce con amara ironia il direttore del GAL Terre Locridee, Guido Mignolli, evocando quella sensazione di vivere intrappolati in un eterno ritorno burocratico, dove nulla cambia, se non il peso delle responsabilità e l’intensità del mal di testa. Gli operatori dei GAL, le imprese agricole, i tecnici e i consulenti che li accompagnano in questo percorso a ostacoli, sanno bene cosa significhi parlare di “riconoscibilità della spesa”, “rendicontazione dei fondi”, “inammissibilità dei costi”. Espressioni che, nella loro freddezza formale, nascondono drammi veri, notti insonni, interi progetti a rischio.

In questo teatro dell’assurdo, i controllori spesso assumono sembianze da western: sceriffi inflessibili, pronti a estrarre pistole cariche di codici e circolari, convinti di trovarsi davanti alla “banda dei furbetti dello sviluppo rurale”. E tu, operatore onesto, magari con anni di esperienza e una reputazione costruita sul campo, vieni subito collocato nell’angolo dell’imputato. Colpevole, fino a prova contraria. Immerso in faldoni, fatture, ricevute e dichiarazioni di congruità, osservi il revisore che inumidisce il dito per sfogliare le carte, come Guglielmo da Baskerville alla ricerca dell’errore originale, e intanto ti domandi se tutto questo abbia ancora senso.

Il problema però non è solo tecnico. È culturale. È strutturale. È umano. Mignolli lo dice chiaramente: fare il professionista oggi è diventato un mestiere difficile, sempre più isolato, sempre meno riconosciuto. Le competenze tecniche, pure indispensabili, non bastano più. Anzi, spesso vengono affogate sotto un mare di carte che annullano ogni possibilità di pensiero critico. Servirebbero, invece, consapevolezza, buon senso, misura. Parole antiche, dimenticate. Eppure decisive, oggi più che mai.

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Ma chi ha il coraggio di invocarle, in un sistema che ti giudica sulla base di un timbro fuori posto o una firma non perfettamente allineata al riquadro? Chi osa dire che l’interpretazione delle norme dovrebbe essere al servizio dello sviluppo, non una clava per fermarlo? Che servirebbero controllori capaci di comprendere il contesto, non solo di applicare regolamenti?

C’è una letteratura intera che potrebbe aiutare. Dalla critica cinematografica di George Roy Hill all’approccio epistemologico di Donald Schön, passando per le distopie amare di Alan Parker o i legal thriller di Grisham. Ma chi ha tempo, oggi, per pensare? Chi, nel vortice della burocrazia, può ancora permettersi il lusso della riflessione?

Forse è davvero il momento di fermarsi. Di chiedersi dove stiamo andando. Di ammettere che il sistema si è incartato, ha perso di vista la sua stessa missione. Il rischio è che, a forza di esasperare i controlli, si spenga l’iniziativa, si disincentivino i progetti migliori, si uccida la fiducia. Perché senza fiducia nessuno investe, nessuno sogna, nessuno rischia. E senza sogni non c’è sviluppo.

Mignolli chiude con un’immagine potente: il fermo immagine di Butch Cassidy, un attimo prima della fine, che lentamente svanisce nel nulla. È un invito a riflettere, forse anche a cambiare strada. O, almeno, a recuperare il senso profondo del nostro agire, anche quando è sommerso da pile di documenti. Perché, in fondo, non si tratta solo di fondi da rendicontare. Si tratta di futuro. E di persone.





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