di Stefania Peveraro
direttore di BeBeez
chairman & founder di EdiBeez srl
Cari lettori,
non c’è dubbio che il tema economico-finanziario di discussione del mese di aprile nel mondo siano stati i dazi sulle merci in entrata negli Usa voluti dal presidente Donald Trump. Sebbene già annunciati in precedenza, nel momento in cui sono arrivati davvero i mercati finanziari internazionali hanno accusato pesantemente il colpo, con l’ovvia conseguenza che anche i private markets ne stanno soffrendo l’impatto indiretto sia sul fronte delle prospettive delle aziende in portafoglio agli investitori di private equity e venture capital sia su fronte delle prospettive di fundraising, che, già rese difficili da uno scenario di tassi di interesse che nell’ultimo anno non sono scesi quanto atteso, ora sono ancora più difficili, dato che il calo del valore degli asset quotati in portafoglio agli investitori istituzionali li spingerà a riequilibrare le loro asset allocation effettive rispetto a quelle obiettivo, ridimensionando l’esposizione ai private markets. Il tutto mentre l‘attività di m&a, che si stava riprendendo dopo il calo netto del 2023, ora registrerà probabilmente un nuovo stand-by e i multipli di valutazione delle aziende target degli investitori di private equity, che erano in risalta, a loro volta probabilmente torneranno a scendere. Di tutto questo ci siamo quindi occupati in questo numero di BeBeez Magazine.
In particolare, l’inchiesta di copertina parte dai numeri e mostra dove siamo tema di attività di m&a e di valutazioni aziendali, utilizzando anche i multipli estratti da BeBeez Private Data, il database del private capital di BeBeez, che permettono quindi di individuare dei trend per singoli settori, sebbene i dati di EV disponibili per le operazioni di private equity italiane siano notoriamente molto pochi. La sensazione è che gli investitori ora stiano adottando un approccio simile a quello che avevano adottato nel 2020 allo scoppio della pandemia: concentrazione delle forze sulle aziende in portafoglio e acquisizioni mirate a rafforzarle, mentre le nuove operazioni dirette saranno condotte con molta più attenzione, in settori considerati meno sensibili all’impatto dazi o su aziende considerate leader del proprio mercato.
Sul fronte delle prospettive delle aziende partecipate, i settori economici più colpiti direttamente si dice saranno automotive, beni strumentali, infrastrutture in costruzione, ferrovie e trasporti su gomma, rivenditori e beni di consumo discrezionali. Lo si legge per esempio in questo report di Morningstar DBRS, che fornisce anche un riassunto molto chiaro di quanto è accaduto sul tema in questo mese. Il 2 aprile è stato annunciato un dazio generalizzato del 10% su quasi tutte le merci importate negli Stati Uniti, con effetto dal 5 aprile. Il 9 aprile sono entrati in vigore anche ampi dazi reciproci su partner commerciali con significativi surplus nei confronti degli USA. La Cina, con i 145% di dazi, è il paese più colpito finora. Sempre il 9 aprile, l’Amministrazione ha imposto una pausa di 90 giorni sui dazi reciproci (esclusa la Cina). I dazi di base del 10% restano attivi. I paesi in pausa restano comunque esposti al rischio di futuri dazi significativi. Il 12 aprile è stato annunciato che smartphone, computer e alcuni altri dispositivi elettronici sono temporaneamente esenti dai dazi reciproci. Tuttavia, l’intenzione è comunque di applicare dazi su questi prodotti (in gran parte importati dalla Cina). Altri prodotti temporaneamente esenti includono rame, prodotti farmaceutici, semiconduttori, energia e minerali specifici. Canada e Messico sono temporaneamente esenti dal dazio base del 10% per i beni coperti dall’accordo USMCA. Sono stati imposti inoltre dazi specifici per settore: 25% per veicoli e componenti auto (rispettivamente dal 3 aprile e dal 3 maggio 2025) e per acciaio e alluminio (dal 12 marzo 2025). In risposta, vari partner commerciali degli USA (tra cui Cina, Canada e UE) hanno annunciato o pianificano contromisure, alimentando l’incertezza. Nel 2024, gli USA hanno importato beni per 3.300 miliardi di dollari ed esportato per 2.100 miliardi. Se pienamente implementati, i dazi farebbero salire la media tariffaria statunitense al 25% (contro l’1,7% del periodo 2000–2024). Anche con la pausa sui dazi reciproci, il tasso medio potrebbe comunque salire al 13–14%, considerando i dazi base del 10%, il 145% sulla Cina e il 25% per acciaio, alluminio e settore auto.
In questo quadro ci sono settori che hanno qualche chance in più di altri di uscire indenni o quasi. “Probabilmente i brand con prodotti destinati ai top spender, le cui scelte sono abbastanza insensibili al prezzo, subiranno meno l’effetto dazi”, ha detto a BeBeez Magazine Attila Kiss, ceo del Gruppo Florence, piattaforma di aggregazione di piccole aziende italiane fornitrici dei grandi brand della moda internazionale, che in un’intervista esclusiva ha anche sottolineato i vantaggi rappresentati dal fatto che Florence è un gruppo nel quale sono state centralizzate “diverse funzioni aziendali, penso alla finanza, all’informatica, alla gestione delle risorse umane, con conseguenti risparmi di costo. In condizioni di mercato avverse, queste caratteristiche pongono una piattaforma come la nostra in posizione molto migliore rispetto a un’azienda stand-alone, magari monoprodotto”.
Buona lettura!
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