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Ecco come i dazi inguaiano le banche cinesi


Tra pochi giorni i principali istituti del Dragone pubblicheranno i loro conti. Ed è abbastanza probabile che si registri una compressione dei margini, riconducibile alla guerra commerciale in corso. Intanto Washington chiede alla Banca asiatica per lo sviluppo di fermare i finanziamenti a Pechino

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26/04/2025

La guerra costa, la pace conviene. E se c’è qualcuno che comincia a pagare il conto dello scontro commerciale tra Cina e Stati Uniti, è proprio la prima. Tra pochi giorni le principali banche del Dragone pubblicheranno i conti relativi al primo trimestre dell’anno. E non ci sono buone notizie all’orizzonte. Industrial & Commercial Bank of China, China Construction Bank Corp, Agricultural Bank of China e Bank of China, sono pronte a pubblicare i propri bilanci.

E, secondo gli analisti di Bloomberg Intelligence, dai conti potrebbe emergere una chiara e netta compressione dei margini, proprio a causa della guerra commerciale in corso tra la prima e la seconda economia globale. D’altronde, se per le imprese del Dragone costa il 145% in più esportare le proprie merci negli Stati Uniti, per le banche stesse è un problema: perché la contrazione del giro d’affari vuol dire meno necessità di credito alle aziende. Per questo, secondo i medesimi analisti, la Cina potrebbe aver bisogno di ulteriori misure di stimolo, inclusi tagli ai tassi di interesse, per contrastare le sfide economiche poste dai dazi e ridare ossigeno ai bilanci degli istituti.

Anche le divisioni cinesi di Hsbc Holdings Plc e Standard Chartered Plc sono a rischio: gli economisti sottolineano che quasi il 40% dei loro ricavi potrebbe essere influenzato dal calo dei volumi commerciali regionali. E proprio mentre cominciano ad aprirsi le prime crepe, direttamente riconducibili ai dazi, nel sistema bancario del Dragone, la geopolitica fa il suo corso. Il segretario al Tesoro Scott Bessent (che ieri ha incontrato, a Washington, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgettiha esortato il presidente della Banca asiatica per lo sviluppo, praticamente l’alter ego della Banca mondiale, Masato Kanda a prendere misure concrete per porre fine ai prestiti alla Cina. Vale a dire a smettere di finanziare Pechino.

Un nuovo colpo per la Cina che arriva a stretto giro dalla decisione, per ora sulla carta ma comunque clamorosa, di Apple, che prevede di spostare in India l’assemblaggio di tutti gli iPhone venduti negli Stati Uniti già a partire dal prossimo anno. L’obiettivo, ha rivelato il Financial Times, sarebbe quello di produrre nel Paese degli elefanti la totalità degli oltre 60 milioni di iPhone venduti ogni anno negli Stati Uniti entro la fine del 2026.

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Tutto questo avviene nei giorni in cui i principali fornitori di Apple in India, Foxconn e Tata, hanno spedito negli Stati Uniti iPhone per un valore di quasi 2 miliardi di dollari nel mese di marzo, un record assoluto, mentre la società americana ha trasportato i dispositivi via aerea per aggirare i dazi imminenti imposti dal presidente Donald Trump. Una sterzata in piena regola, senza dubbio. Perché si tratta di riscrivere 20 anni di forniture, con un nuovo baricentro



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