A Washington questa settimana si sono tenuti i Meeting di Primavera di Fondo monetario internazionale e Banca Mondiale, cui ha partecipato anche Domenico Lombardi. A proposito del World economic outlook diffuso martedì in avvio degli incontri, il Professore di politiche economiche e governance dell’Eurozona alla Luiss, di cui dirige il Policy Observatory, ricorda che «la nuova batteria previsionale pubblicata dal Fmi abbassa, per gli Stati Uniti, la crescita prevista per l’anno in corso di circa un punto percentuale rispetto allo scorso gennaio.
Per il Canada, il ridimensionamento è di sei decimi di punto, per il Giappone di mezzo punto, mentre per le principali economie dell’Eurozona il ridimensionamento delle previsioni è compreso fra i due e i tre decimi di punto. Per l’Italia, in particolare, la crescita attesa è scesa allo 0,4% rispetto allo 0,7% previsto solo lo scorso gennaio. Tali revisioni risentono inevitabilmente delle restrizioni introdotte al commercio internazionale e dell’incertezza sulla loro evoluzione».
Cosa pensa dello “scontro” in atto tra Trump e Powell? È vero che il Presidente americano ha chiarito che non intende “licenziare” il Governatore della Fed, ma questo non vuol dire che non voglia una riduzione dei tassi di interesse in tempi brevi…
Non è inusuale che il potere esecutivo entri in conflitto con la Banca centrale. Anche negli Stati Uniti vi sono stati tentativi nella storia recente che si sono risolti, però, sempre a favore della Fed. Nel caso specifico che cita, la Fed ha beneficiato dello scudo protettivo elevato dal segretario al Tesoro Scott Bessent, il quale sta emergendo come il leader dei moderati nell’Amministrazione in contrapposizione ai “massimalisti”, come l’economista Peter Navarro.
In che modo Bessent sta “proteggendo” la Fed?
Forte di essere l’anello di congiunzione tra l’Amministrazione e i mercati, il segretario al Tesoro ha esposto al Presidente Trump le conseguenze per i mercati che un eventuale licenziamento avrebbe generato. Finora è bastato. Del resto, il mandato di Powell scade all’inizio del prossimo anno. Tuttavia, il confronto aspro proseguirà perché la postura prudente della Fed che verosimilmente manterrà, nei prossimi mesi, i tassi di intervento sugli attuali livelli rischia di vanificare l’impatto espansivo delle prossime iniziative di riduzione del carico fiscale e di deregolamentazione che il Presidente Trump annuncerà a breve. Di qui, la natura “strutturale” del conflitto tra Studio Ovale e Autorità monetaria che è destinato e proseguire.
Christine Lagarde ha intanto ribadito che la Bce è dipendente dai dati “all’estremo”. Non corre, però, così il rischio di arrivare in ritardo, dato che i dati mostrano solo dopo un certo lasso di tempo un fenomeno in corso?
Credo che rimarcare la dipendenza dai dati all’estremo serva a prendere tempo e a mitigare l’impatto dell’attuale incertezza. In verità, è difficile nelle attuali circostanze prendere decisioni di politica economica perché il quadro è continuamente mutevole. Nello specifico, per la Bce si tratta di proseguire con l’allentamento della politica monetaria a maggior ragione ora che le previsioni di crescita sono state ridimensionate. Tuttavia, il disallineamento con la Fed, che continuerà a mantenere tassi di intervento più elevati rispetto alle previsioni di qualche mese fa, potrebbe rallentare l’allentamento. Vedremo.
Cosa pensa del fatto che Dombrovskis abbia chiuso le porte alla possibilità di attivare la clausola generale di salvaguardia del Patto di stabilità dal momento che non c’è la recessione? La stagnazione, i rischi di rallentamento dell’economia globale per un’Europa esportatrice non bastano?
Per l’Italia, oltre ai vincoli del Patto, valgono quelli del mercato finanziario che si impongono sulla politica fiscale in modo altrettanto puntuale. Nelle attuali condizioni, in Italia una politica fiscale espansiva risulterebbe problematica. Del resto, questo è stato il messaggio che il Fmi ha formulato per i Paesi che non hanno spazio fiscale. Le economie europee saranno sostenute, in parte, dall’allentamento della politica monetaria e dall’espansione fiscale tedesca. Poi, occorrerebbe essere più audaci sul finanziamento delle spese di difesa. Se rappresentano una priorità europea, allora bisogna riconoscerlo anche nelle modalità di finanziamento.
L’unica apertura che arriva dalla Commissione è quella di attivare la clausola di salvaguardia nazionale, per ora per quel che riguarda le spese per la difesa e in prospettiva per le possibili conseguenze negative dei dazi Usa. Non pensa che ci possa essere il rischio di un effetto-stigma sui mercati per il Paese che per primo presentasse richiesta di attivazione della clausola nazionale?
Esattamente, proprio per evitare l’effetto stigma non credo l’Italia la invocherà. I mercati riconoscono in modo inequivocabile la gestione prudente della finanza pubblica dell’attuale Governo con, da ultimo, il miglioramento del rating deciso da S&P e la stabilizzazione dello spread con il Bund su livelli bassi. La Commissione deve trovare, pertanto, altre soluzioni per finanziare le spese di difesa, perché come Italia non possiamo rinunciare al patrimonio di credibilità fiscale accumulato in questi due anni e mezzo, data l’enorme mole di debito pubblico che abbiamo ereditato.
In questo quadro difficile l’Italia può fare qualcosa in più rispetto al mantenere una postura fiscale improntata alla prudenza?
La cosa da non fare è pensare di espandere il perimetro della politica fiscale perché avrebbe conseguenze tali da annullarne gli effetti. Si tratta, invece, di continuare nell’implementazione del Pnrr, soprattutto nella nuova fase che si apre, maggiormente dipendente dall’esito dei progetti sul campo piuttosto che da riforme a livello di Governo nazionale.
(Lorenzo Torrisi)
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