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“LIBERARE ROMA”: un Progetto per la “Città Caput Mundi”


“LIBERARE ROMA” – UN PROGETTO PER LA CITTA’

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Da un interessante libro a firma di Francesco Delzio 
ad una approfondita analisi a cura di Pietro Giubilo *

Si è tornati, recentemente, a parlare di Roma per iniziativa del Gruppo Consiliare di F.d’l.  con il capogruppo  Giovanni Quarzo, in un incontro che ha visto la presenza di Francesco Delzio, manager e docente, autore di un libro dal titolo provocatorio “Liberare Roma”, con un sottotitolo ambizioso: “Come ricostruire il ‘sogno’ della Città Eterna. (*1)
E’ un segnale di come la politica e l’intelligenza urbanistica vogliono riprendere il loro posto, rispetto allo spazio lasciato al business e alle ricette economiciste che, dagli anni di Rutelli e Veltroni, hanno occupato lo spazio per progettare la Città con la prassi dell’”urbanistica contrattata”.

La descrizione che Francesco Delzio sviluppa nel suo saggio “Liberare Roma” (Rubettino Editore) è obbiettiva e, quindi, spietata:
Roma presenta diseguaglianze sempre più ampie; si sta impoverendo la sua struttura industriale; permane un dualismo tra Centro e Periferia; la sua “pessima” amministrazione si crogiola nel “gestionismo”. Per rilanciare la Città e riprendere una strada di sviluppo occorre ripartire dalle positività, cioè da quelli che sono i punti di forza, per innestare un percorso virtuoso. Roma, infatti, possiede un impareggiabile patrimonio di conoscenze e di management; nel suo territorio hanno sede un alto numero di università, sedi centrali di Enti e attività economiche; vi operano imprese che sviluppano progetti che puntano sul futuro: dal cyber spazio alla information service; Roma è la Città che più possiede una vocazione universale e, per tale condizione, dovrebbe utilizzare in modo adeguato i grandi eventi.

Anche le possibilità che possono derivarne richiederebbero, per costituire un costante volano di sviluppo, uno status adeguato, cioè un assetto istituzionale speciale, invocato da decenni, ma solo in parte realizzato con la Legge 396 del1990 che prevedeva strumenti nuovi per la realizzazione del ‘Programma di Roma Capitale’.
Anche rispetto a tale normativa, purtroppo, si è tornati indietro, con la sua abrogazione, mentre l’istituzione della Città Metropolitana non ha sortito gli effetti sperati, non innovando realmente le sue possibilità operative e la difficile condizione delle risorse disponibili.

Roma presenta anche un’altra grave carenza per la quale, probabilmente, non basterebbe dotarla di una normativa speciale e di risorse più adeguate, poiché attiene ad una decadenza della capacità di progettare e di governare con idee, programmi, con una visione urbanistica capace di individuare ed affrontare le grandi questioni irrisolte. Negli ultimi anni sono piovute a Roma risorse, come mai la Città ne ha avute a disposizione, per gli interventi per il Giubileo 2025 e per i programmi del Next Generation Eu.
Eppure il tutto, tranne pochi ed episodici interventi strutturali, si è risolto in una manutenzione più di facciata che sostanziale, molto localizzata sul centro della città, ma che ha lasciato irrisolte le questioni strutturali che attengono ai sevizi della Città, la mobilità, i parcheggi, il recupero delle periferie, una rigenerazione urbana che si sarebbe dovuta implementare non solo sulla base di impulsi di carattere imprenditoriale e di dimensione puntuale, ma di spazi urbani più ampi.

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Roma chiede di essere governata con una visione urbanistica più complessiva. Sul piano politico programmatico si deve ancora superare la deformazione che già nacque con la Giunta Petroselli negli anni ’70, quella cioè di affidare alle imprese non solo e giustamente la costruzione e gli interventi in  attuazione delle previsioni urbanistiche, ma la stessa pianificazione della città, attraverso meccanismi normativi nuovi, privi di un quadro legislativo complessivo a tutela reale delle procedure e dell’interesse pubblico.
Questa “privatizzazione” della politica urbanistica, ovvero la sua scomparsa, mostra, ad esempio, una differenza abissale negli effetti devastanti per la qualità degli insediamenti nella attuazione dei programmi di edilizia pubblica che, tra gli anni ’20 e gli anni ’60del secolo scorso, vedevano una qualità progettuale per opera dei migliori Architetti da Luigi Moretti ad Adalberto Libera, da Vittorio Cafiero a Massimo Piacentini, da Innocenzo Sabbatini fino allo stesso Pierluigi Nervi.
Non si criticherà mai a sufficienza la diversa qualità progettuale e le ricadute sociali dell’abitare tra quartieri come Garbatella, Decima, Citta Giardino e Villaggio Olimpico, rispetto a Laurentino’38, Tor Bella Monaca e Castel Giubileo.

Il tema centrale che aveva occupato il dibattito urbanistico sin dalla fine degli anni’50, quando si cominciò a discutere sulle linee e i contenuti del nuovo Piano Regolatore Generale, che poi venne approvato nel 1965, fu la questione del decentramento urbanistico a cominciare dal sistema della direzionalità per individuare un policentrismo che non solo ambiva a migliorare la funzionalità della organizzazione cittadina, ma anche a riordinare gli agglomerati di una periferia che si andava intensificando a motivo della crescita demografica di Roma. Oggi la questione si ripresenta anche perché le polarità individuate dal PRG di Veltroni del 2008 restano complessivamente inattuate.

Soprattutto quando nel 1988 la Giunta Giubilo affidò il progetto direttore del Sistema Direzionale Orientale (SDO) alle capacità professionali di Cassese, Scimemi e Tange; gli elaborati vennero “chiusi nel cassetto” dalla successiva Giunta Rutelli e, di conseguenza, si misero da parte idee, progetti e possibilità per la periferia romana di avere dei poli attrattivi e migliorativi della condizione urbana negli ambiti dove avrebbero immesso funzioni urbanistiche di qualità e di sviluppo.

Ancora oggi urbanisti di fama internazionale come lo spagnolo Salvador Rueda o docenti universitari come NRicci, ritengono che una prospettiva policentrica sia ancora la migliore opportunità per lo sviluppo delle periferie e pe la riqualificazione complessiva della Città. Anche  Francesco Delzio, nel suo studio, afferma la validità e la necessità di Roma “Capitale policentrica” ed elenca gli ambiti ove essa possa essere realizzata: dal Business Park sulla Tiburtina, all’Hub dello Sport al Foro Italico; dal Polo per il Cinema a Torre Spaccata, al Parco per l’Innovazione dell’industria fluviale all’Ostiense.
Una condizione, peraltro, appare necessaria affinché iI policentrismo a Roma possa esercitare una funzione realmente migliorativa per l’assetto della Città, cioè che esso abbia una sufficiente infrastrutturazione, sviluppi una adeguata pluralità di funzioni e che realizzi un decentramento più complessivo dell’attività cittadina. Pur comprendendone la difficile ripetizione, il modello dell’Eur rappresenta l’ideale per una organizzazione urbana che esaudisca tali necessità, per chi risiede nelle periferie, di usufruire delle funzioni urbane anche di qualità, senza dover recarsi nel Centro Storico.

Purtroppo le previsioni urbanistiche e i progetti infrastrutturali per la mobilità pubblica dimostrano che le giunte di sinistra da Rutelli fino a Gualtieri si sono mosse in senso contrario, cioè per una Città accentrata ed una periferia abbandonata a se stessa nella sua unifunzionalità residenziale.
Già il Piano di Veltroni, oltre alla cancellazione dello Sdo, aveva ridotto il numero delle tangenziali nella difficile zona est, la più popolosa, che si vedeva, quindi, obbligata ad una viabilità radiale, accentratrice; poi il progetto della linea C della Metropolitana, anch’esso radiale, allontanava la realizzazione del sistema Metro verso quella “rete”, come precedentemente era stato previsto; oggi si rilancia il progetto della linea D che, attraversando il Centro nella stessa Piazza Venezia, continuerà a duplicare le linee radiali, per la definiva previsione di una Roma accentrata che vedrà convergere nella zona storica la vita cittadina.

La strada per un cambiamento che costruisca una città diversa, meno caotica, dovrebbe essere un’altra. Qualche suggerimento: una variante generale della Direzionalità romana suggerita, tra l’altro, dalle opportunità dello sviluppo dell’home working che modifica la domanda di sedi di lavoro per i settori amministrativi; l’inclusione dei programmi di Rigenerazione in una visione urbanistica complessiva che richiede adeguati strumenti normativi; il ritorno alla programmazione del commercio abbandonata da decenni; una pianificazione dei crediti edificatori al fine di non appesantire i pesi urbanistici in alcune zone ancora vivibili.
Queste ed altre possibilità devono partire dalla riconosciuta esigenza di ritornare alla politica urbanistica, ormai fuori dall’orizzonte culturale della sinistra e delle amministrazioni ove governa, come dimostrano i fatti di Milano.

Infine occorre mettere in evidenza come il più recente provvedimento della Giunta Gualtieri, cioè la Variante delle Norme Tecniche di attuazione del Piano Regolatore – correttamente impugnato dalla Soprintendenza Archeologica, belle arti e paesaggio di Roma – dimostri, ormai, che gli interventi del governo cittadino non abbiano la volontà di migliorare la condizione urbana, ma essi intendano compattare e sfruttare meglio l’esistente.

Ciò vale anche per l’intenzione di trasformare gli ex cinema in centri commerciali, o, altro esempio, l’area dell’ex Fiera di Roma sulla via Colombo, in una banale lottizzazione, sospinta da fondi olandesi.
Nella sostanza, l’uso delle modifiche tecniche degli strumenti urbanistici è stato sempre al servizio di una densificazione della Città, collegata ad una migliore sfruttamento dell’esistente e a operazioni che diano spazio a speculazioni.
Fu la politica urbanistica che, negli anni ’50, in assenza di un nuovo Piano Regolatore, interveniva sulle norme tecniche del PRG del 1931, per favorire l’aumento delle cubature residenziali, che, però, avrebbe dovuto far fronte alla crescente domanda di abitazioni per l’incremento demografico e immigratorio della Città.
Nel dibattito consiliare, opaco e privo di un confronto adeguato, si è aggiunto un emendamento che contempla la possibile realizzazione di grattacieli che, tra l’altro, non trova particolare apprezzamento dallo stesso mercato immobiliare della Città. Roma, non a caso, ha sempre rifiutato modelli edilizi “cosmopoliti”.
Forse si intende seguire la pericolosa strada percorsa a Milano?
“Liberare Roma” dovrebbe intendersi anche rispetto a questa prospettiva che la Città certamente non merita.

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*PIETRO GIUBILO, classe 1942 e Romano “Doc”; 
di stile francescano e spartano, già giovane in Avanguardia Nazionale, 
poi nella D.C. (Area Sbardella) e nel 1985 Consigliere al Comune di Roma,
poi Assessore ai LL. PP e, quindi, SINDACO di ROMA dal 1988 al 1989.
Ispiratore  di circoli ed iniziative culturali e Dirigente della Regione Lazio ed 
insignito nel 2014 con l’onorificenza di Cav. Gran Croce della Repubblica Italiana 

 


NOTE A MARGINE
(*1)
L’incontro si è svolto sabato 5 aprile a Roma, presso il “Teatro Delle Muse” in una “Tavola Rotonda” condotta da Marco Panella ed incentrata principalmente sugli interventi di Francesco Delzio e di Beatrice Scibetta.
Sono da ricordare altresì anche i notevoli contributi di Giovanni Quarzo – Capogruppo di F.d’I al Campidoglio, di Andrea Volpi – Sindaco di Lanuvio e Deputato in Parlamento, di Emanuela Mari e di Marco Bertucci – entrambi Consiglieri Regionali del Lazio e Presidenti rispettivamente delle Comm.ni Affari Europei e Bilancio, nonché le conclusioni finali illustrate da Pietro Giubilo, già Sindaco di Roma e dal Sen. Domenico Gramazio – Presidente C.I.S. ed organizzatore dello stesso incontro.  



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