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Dopo aver speso tanto per la gestione dei dati li perdiamo con l’AI?


Negli ultimi vent’anni, la trasformazione digitale è stata il motore di investimento e innovazione per imprese, enti pubblici e organizzazioni di ogni dimensione. Un processo lungo e spesso faticoso, in cui abbiamo speso – in tutti i sensi – per recuperare, strutturare, proteggere e valorizzare i dati.

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Dai data warehouse alla business intelligence, dai sistemi ERP alla compliance con normative come il GDPR, abbiamo costruito una vera “cultura della custodia”.

I dati, ci dicevamo, sono il nuovo petrolio. E come il petrolio, andavano estratti, raffinati e messi in sicurezza.

L’intelligenza artificiale cambia il paradigma

Oggi ci troviamo però in una nuova fase. L’Intelligenza Artificiale Generativa ha compiuto in pochi mesi un balzo che ha riscritto le regole del gioco. Gli algoritmi sono capaci di elaborare e produrre contenuti, decisioni e analisi a partire da grandi moli di dati – spesso senza che l’origine, la struttura e la governance di quei dati sia pienamente tracciabile.

E così si apre il paradosso: dopo aver costruito con attenzione architetture di controllo, siamo ora nella posizione di affidarci a modelli opachi che elaborano i nostri dati senza che ne conserviamo il pieno dominio.

In altre parole: abbiamo custodito i dati come un bene strategico, e oggi rischiamo di perderne il controllo proprio nel momento in cui li facciamo fruttare.

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Dove finisce la sovranità dei dati?

La questione è tanto tecnica quanto politica e culturale. Chi “possiede” davvero il valore generato dall’AI? I dati aziendali inseriti in un prompt sono ancora protetti? Gli output generati sono davvero nostri, oppure sono il frutto di un’elaborazione che appartiene a una piattaforma, un provider, un modello esterno?

In molti casi non lo sappiamo. E questo è un problema.

La sovranità digitale, tanto invocata negli anni scorsi, rischia di diventare un concetto formale se non viene accompagnata da una nuova governance dei modelli intelligenti. Un piano strategico per l’AI, sia a livello aziendale che nazionale o europeo, non può prescindere da questi interrogativi.

La responsabilità della trasformazione

La trasformazione digitale non può essere ridotta a un processo tecnologico. È, prima di tutto, una questione di consapevolezza e responsabilità.

Serve un cambio di passo nella governance dei dati, che tenga conto di nuove modalità di trattamento, di trasparenza algoritmica, e soprattutto di etica dell’utilizzo.
Dobbiamo passare da una logica di semplice “adozione” dell’AI a una di integrazione responsabile, che mantenga l’utente – e l’organizzazione – al centro del processo.

Verso un nuovo equilibrio

La sfida oggi non è solo tecnica, ma sistemica. Non si tratta di tornare indietro o di rinunciare all’uso dell’AI, ma di ridefinire un equilibrio tra il potere dei dati, il potenziale degli algoritmi e la responsabilità umana nel loro utilizzo.

In sintesi:

  • Sì, abbiamo speso tanto per recuperare e custodire i dati.
  • Sì, rischiamo ora di perderne il controllo.
  • Ma abbiamo ancora la possibilità – e il dovere – di guidare il cambiamento, non di subirlo.



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