di Giuseppe Gagliano –
Nel primo trimestre del 2025, l’economia francese ha registrato una crescita del PIL pari allo 0,1%, una cifra che, più che un segnale di ripresa, suona come un respiro affannoso. Dopo la contrazione dello 0,1% osservata nell’ultimo trimestre del 2024, il modesto incremento attuale rappresenta sì un rimbalzo tecnico, ma incapace di fornire una spinta significativa alla seconda economia della zona euro. E soprattutto, ben al di sotto delle attese: gli analisti si aspettavano almeno uno 0,2%.
Questa crescita anemica conferma un dato ormai strutturale: la Francia fatica a generare dinamismo economico in un contesto europeo segnato da crisi prolungate, transizioni energetiche difficili, inflazione ancora troppo elevata per i consumi popolari e un rallentamento globale che penalizza le esportazioni.
L’Insee, l’istituto statistico nazionale, rileva una stabilità dell’occupazione e una tenuta del mercato del lavoro. Ma il dato occupazionale, spesso sbandierato dal governo come segno di tenuta sociale, non si traduce in una crescita reale. Il problema è altrove: la produttività resta bassa, gli investimenti privati stentano a riprendersi, e i consumi interni, pur sostenuti da misure pubbliche, non riescono a trainare il PIL.
Inoltre la competitività delle imprese francesi continua a soffrire la concorrenza tedesca e quella asiatica. Il saldo commerciale rimane negativo, e la debolezza dell’industria manifatturiera, soprattutto nei settori ad alto valore aggiunto, segnala una crisi più profonda, che tocca l’identità stessa del modello economico francese.
Alla fragilità della crescita si aggiunge l’altro grande fardello: il deficit pubblico. Dopo le spese straordinarie degli anni pandemici e le misure di sostegno energetico e sociale contro l’inflazione, la Francia presenta un deficit di bilancio superiore al 5% del PIL e un debito pubblico che sfiora il 112%. La Commissione Europea ha già richiamato Parigi all’ordine, e si profila il ritorno alle regole di Maastricht, con l’eventualità di una procedura per deficit eccessivo.
In questo contesto le possibilità del governo di rilanciare l’economia con nuovi stimoli fiscali si riducono al minimo. La Banca centrale europea, dal canto suo, non offre margini di manovra: i tassi d’interesse restano alti, penalizzando i mutui, gli investimenti e i consumi.
Questa stagnazione economica rischia di trasformarsi in una mina sociale. L’inflazione rallenta, ma resta percepita come troppo alta dai ceti medi e popolari. Il potere d’acquisto non cresce, i servizi pubblici sono sotto pressione, e le disuguaglianze territoriali si allargano. Il governo Macron, già contestato sul piano politico e istituzionale, si trova ora a dover affrontare un rischio ancora più destabilizzante: l’erosione progressiva della fiducia nell’economia e nelle sue promesse di benessere.
La Francia si ritrova così nella scomoda posizione di un gigante economico stanco, stretto tra vincoli europei, debolezze strutturali e una società inquieta. Una miscela che, senza un cambio di rotta deciso, potrebbe rivelarsi esplosiva.
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