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Inverno demografico, sempre meno bambini e imprese in crisi


Le dinamiche demografiche del sistema produttivo, in linea con l’inverno demografico in atto, fanno emergere segnali di difficoltà. Anche per le aziende, il tasso di natalità è tra i più contenuti degli ultimi vent’anni, se si elimina dal monitoraggio il periodo della pandemia. Il saldo continua a essere positivo, con 37mila nuove aperture nel 2024, ma in rallentamento rispetto al 2023, quando le inaugurazioni erano state 42mila. Non solo. Nel 2024 i registri anagrafici delle imprese hanno segnato zero aggiunte nei territori di ben 478 Comuni, il 5,9% del totale. Dieci anni prima se ne contavano 374 (4,6%), e ancora meno, 212, nel 2004 (2,6%). Non nascono imprese proprio dove non si mettono al mondo figli. È l’effetto dell’allargarsi del perimetro dei comuni a natalità zero. 

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Del resto, il punto più basso della fecondità italiana è appena stato raggiunto. La quota è adesso di 1,18 figli per donna, ancora sotto l’ormai ex minimo storico del 1995 di 1,19 (dato ISTAT). Allora nacquero 526mila bambini. Nel 2024 sono molti meno, 370mila. È tutta in questi numeri la sintesi dell’Italia che verrà. Sempre più anziani, sempre meno bambini e dunque giovani, in una spirale senza  apparente soluzione di continuità, perché a mancare saranno via via anche le donne in età fertile. La popolazione femminile nell’età convenzionalmente considerata riproduttiva, dai 15 ai 49 anni, è passata da 14,3 milioni di unità del 1995 a 11,4 milioni del 2025. Gli uomini nella stessa fascia di età, pari a 14,5 milioni trenta anni fa, sono oggi circa 11,9 milioni.

A questo dato ne va associato un altro. Accanto alla riduzione della fecondità, nel 2024 continua a crescere l’età media al parto, che si attesta oggi a 32,6 anni (+0,1 in decimi di anno sul 2023). «Più si ritardano le scelte di maternità più si riduce l’arco temporale a disposizione delle potenziali madri per la realizzazione dei progetti familiari» sottolinea il report ISTAT.

A chiudere il quadro sono gli espatri. Nel 2024 sono aumentate di oltre il 20% le emigrazioni per l’estero, passando da 158mila del 2023 a poco meno di 191mila, il valore più elevato osservato dal 2000 a oggi. Un’impennata dovuta alla decisione 156mila cittadini italiani, in aumento del 36,5% rispetto al 2023, di partire per Germania (12,8%), Spagna (12,1%) e Regno Unito (11,9%).

L’allarme dei demografi

«Rimarranno solo gli anziani» scrive in un post su LinkedIn Alessandro Rosina, Professore Ordinario di Demografia e Statistica sociale dell’Università Cattolica. Qualcosa che «sta già accadendo nelle aree interne del Paese, che stanno anticipando quello che rischia di diventare l’Italia nei prossimi decenni se non si inverte la rotta. Finché non porteremo le politiche di investimento sulle nuove generazioni, con accesso stabile al mondo del lavoro, salari adeguati, valorizzazione del capitale umano, politiche abitative, strumenti di conciliazione vita e lavoro almeno ai livelli medi degli altri Paesi europei, continueremo ad avere sempre meno nascite e sempre più giovani che vanno a lavorare e a realizzare i propri progetti di vita altrove».

Quello dell’inverno demografico è un discorso che ha a che fare con l’economia in tutto e per tutto. In assenza di bambini e – allargando lo sguardo – di famiglie che li mettono al mondo, a cadere sarà tutta una filiera, quella dedicata all’infanzia, ma non solo. Nell’Italia delle culle vuote e in via di spopolamento, per chi si produrrà se non c’è più chi ha bisogno di acquistare?

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La crisi Peg Perego

Se si sfoglia sito di una delle più note aziende di produzione di articoli per bambini, la Peg Perego di Arcore, le immagini sono rassicuranti. Si può sfogliare anche il catalogo 2025: passeggini, seggiolini, culle. Anche le previsioni che trapelano dall’azienda sembrano confortare altrettanto. Da qui al 2028, si fa sapere, si prevede una crescita di fatturato del 4,5% nel 2026, dell’8,3% nel 2027 per arrivare al 14% nel 2028 grazie allo sviluppo tecnologico e a un ulteriore potenziamento del portafoglio prodotti. Buone notizie, insomma, per la casa fondata nel 1949 da Giuseppe Perego, disegnatore industriale alla Falk che, lasciato il posto in occasione della nascita di un figlio, lanciò il brand a partire da unaprima carrozzina da passeggio.

Tutto come sempre, insomma? Non esattamente. La crisi è iniziata nel 2018. Quando la Peg Perego era ancora leader di Mercato, fatturava 135 milioni di euro, con guadagni per oltre 5 milioni. Poi il calo: nel 2022 il fatturato scende a 124 milioni e l’utile a 380mila euro; nel 2023 si scende ancora sotto i 105 milioni, con una perdita di oltre 3 milioni. Una contrazione che è la diretta conseguenza del declino delle nascite, e che porta l’azienda a fine luglio 2024 ad annunciare l’esubero del 40% dei dipendenti, ossia 104 lavoratori su 263 complessivi.

L’organico a rischio

Ma l’organico, a partire da questa primavera e con l’esaurimento degli ammortizzatori sociali già applicati, potrebbe diminuire ancora. Uno stabilimento è stato chiuso a Fusignano, in provincia di Ravenna. Restano in piedi gli altri due di Noventa e San Donà, nel veneziano. È in quest’ultima sede che potrebbero verificarsi i prossimi licenziamenti. Andando a colpire un personale composto soprattutto da donne, talvolta titolari dell’unico reddito familiare e difficili da ricollocare anche per ragioni anagrafiche. Sullo sfondo, lo spettro di una possibile dismissione nel giro di qualche anno.

«A marzo 2025» ha spiegato Adriana Geppert della FIOM CGIL Brianza, «si è esaurita tutta la dote possibile di ammortizzatori sociali utilizzabili, perciò l’ipotesi dei licenziamenti si fa più concreta». I dipendenti già oggi lavorano dalle 20 alle 24 ore alla settimana e in alcuni momenti le linee produttive sono ferme.

Il punto è anche un altro, come fa emergere Gloriana Fontana della FIM CISL Monza, Brianza, Lecco. «I prodotti della Peg Perego sono di ottima qualità, ma sono anche piuttosto costosi. In una situazione come l’attuale, con stipendi che non pareggiano nemmeno l’inflazione, le famiglie tendono a risparmiare. E allora se devono comprare un passeggino o un seggiolone, non scelgono il migliore, ma quello con il prezzo più basso. E quelli che arrivano da altri Paesi costano meno».

L’azienda sta ancora investendo. Si fanno avanti nuovi scenari tra cui lo spostamento del business verso articoli per anziani, ma la situazione resta critica. «Il contenimento dei costi portato avanti a Noventa e San Donà, insieme alla decisione di chiudere lo stabilimento di Fusignano, sono parte di una strategia di ampio respiro» è il commento di Cesare Savini, AD di Lafert, azienda che produce motori elettrici e che ha tra i suoi principali clienti la Peg Perego. «Finora il 60% del nostro fatturato è stato realizzato sul Mercato tedesco e italiano, ma i nuovi scenari geopolitici e macroeconomici ci spingono a sviluppare nuovi progetti con i nostri clienti storici, a conquistare nuovi clienti e a guardare a nuovi Mercati, in particolare a quelli dove è richiesta una customizzazione elevata dei motori elettrici».

Le altre vittime

CAM è un’altra big del distretto dell’infanzia. Fondata, come la Peg Perego, all’epoca del baby boom e del suo milione di nati, nel 1969. Ha sedi nella bergamasca, a Grumello del Monte, dove impiega 109 dipendenti, e Telgate, che dispone invece di 30 addetti. Una parte è destinata a convertirsi in esuberi dopo l’annuncio dell’azienda di procedere con un taglio di 50 dipendenti: oltre un terzo della forza lavoro, prevalentemente donne impiegate nella produzione.

Il copione si ripete. Nel 2008 l’azienda contava 320 dipendenti e un fatturato di 60 milioni di euro. Nel 2024 la discesa a 19 milioni e il dimezzamento del numero degli addetti. Perfino l’export ha subito un drastico calo: negli anni più floridi il 70% delle vendite era destinato ai Mercati esteri. Oggi quella quota si è ridotta al 50. Per la sede di Grumello del Monte, la fine della cassa integrazione ordinaria per i suoi 139 dipendenti, che va avanti a singhiozzo da anni, è stata fissata al 6 aprile. L’azienda sta nel frattempo lanciando la proposta di esodi incentivati pari a otto mensilità, allo scopo di contenere i tagli. Un’offerta con scarso consenso tra le operaie, per le quali i sindacati sono ora mobilitati in cerca di una possibile ricollocazione nelle aziende dei dintorni. Dietro l’ennesima crisi industriale, ancora una volta gli stessi nodi: denatalità e perdita di potere d’acquisto. In più, la pressione della concorrenza cinese.

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La riconversione

Anche per CAM si profilava un’ipotesi di una conversione verso il settore del “pet” e quello dei deambulatori per anziani. Un percorso che sembrerebbe naufragato.

Vi è poi il caso Brevi Milano: dichiarata fallita nel 2022 dal Tribunale di Bergamo, è stata da ultimo rilevata dalla Foppapedretti. Il fondo spagnolo Phi Industrial nel giugno 2018 aveva acquisito la società, accompagnandola in un piano di risanamento attraverso lo strumento del concordato preventivo, presentato a settembre 2020 e approvato dai creditori ad aprile 2021. Il tutto con l’obiettivo di rilanciare la società preservandone la continuità aziendale e l’occupazione. Impossibile però risanare i conti. I motivi sono gli stessi che in altri casi, con l’aggiunta delle difficoltà a reperire materie prime registratasi soprattutto nel corso della pandemia.

Un altro tassello, infine, è quello di Artsana, gruppo che ha in pancia marchi come Chicco e Toys. I risultati dei consuntivi parlano di ricavi nel 2023 diminuiti a 1,35 miliardi di euro rispetto al 2022, quando erano 1,42 miliardi. In rosso è anche il bilancio ordinario 2023, con perdite quasi quadruplicate in un annoda 37,3 milioni a 111,2 milioni. Guardando al babycare, a livello di vendite si sono realizzati 592 milioni. Il calo registrato è del 15% rispetto al 2022.          ©

📸 Credits: Canva   

Articolo tratto dal numero del 1° maggio de il Bollettino. Abbonati!      





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