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priorità a sicurezza e lavoro


ROMA È dedicata alla necessità di garantire la massima sicurezza sui luoghi di lavoro la giornata di mobilitazione che oggi, primo maggio, vede in testa i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, che hanno scelto, per celebrare la Festa dei Lavoratori, lo slogan “Uniti per un lavoro sicuro”. Tre manifestazioni unitarie, in tre luoghi simbolici, a Roma con Maurizio Landini (Cgil), a Casteldaccia (Palermo) con Daniela Fumarola (Cisl) e a Montemurlo (Prato) con Pierpaolo Bombardieri (Uil).
I tre segretari nazionali, in un’intervista al Corriere della Calabria, parlano dei temi della salute e della sicurezza sul lavoro, delle misure da attuare per fermare una strage che sembra non avere fine. Centrali, inoltre, i temi dei contratti di lavoratrici e lavoratori, della precarietà, delle competenze connesse alle richieste del mercato e del fenomeno dell’emigrazione dei giovani che lasciano l’Italia alla ricerca di maggiori tutele.

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“Uniti per un lavoro sicuro” è lo slogan scelto da Cgil, Cisl, Uil per il Primo maggio di quest’anno. Il numero dei morti sul lavoro continua ad aumentare. Come si può fermare questa strage? Quali sono secondo lei le priorità e le misure necessarie da mettere in campo?

Landini (Cgil): Quando parliamo di salute e sicurezza sul lavoro è utile dare qualche numero, per rendersi conto della gravità della situazione: 1.090 vittime e 589.571 infortuni sul lavoro nel 2024. Una media di tre morti al giorno. Cifre che fanno rabbrividire e rappresentano una vergogna nazionale che deve finire. Finché la salute e la sicurezza verranno considerate solo come un costo per le aziende e non un sacrosanto diritto da garantire alle lavoratrici e i lavoratori, la strage non si fermerà. Si è affermato un modello di fare impresa che uccide, che si basa non sulla qualità del lavoro, sugli investimenti, sull’innovazione ma sulla riduzione dei diritti, dei costi, sulla logica delle gare al massimo ribasso. Negare tutto questo vuol dire non guardare in faccia la realtà e non affrontare realmente il problema. Proprio questa cultura va cambiata, perché buona parte degli infortuni e delle morti sul lavoro colpiscono i precari e avvengono lungo la catena dei subappalti. Per invertire la rotta è necessario cambiare le scelte politiche, investendo maggiormente su salute e sicurezza per garantire condizioni dignitose a tutte e tutti. E cambiare le leggi sbagliate che hanno permesso tutto ciò. Questo si può fare andando a votare l’8 e il 9 giugno per i referendum, che danno la parola alle cittadine e ai cittadini per esprimersi e cambiare questa condizione, abrogando quelle leggi che hanno favorito questo modello.

Fumarola (Cisl): Come ha ricordato proprio alla vigilia del Primo Maggio il Presidente della Repubblica Mattarella che ieri era presente alla nostra iniziativa per i 75 anni della Cisl, la tutela della vita e della dignità delle lavoratrici e dei lavoratori deve diventare una priorità. È fondamentale rafforzare l’impegno per la sicurezza sul lavoro attraverso un maggiore dialogo tra istituzioni, imprese e sindacati per fermare una strage silenziosa che sfregia i valori della Costituzione. Lo diremo oggi a Casteldaccia in Sicilia ed in tutte le nostre manifestazioni. Niente ha più valore del rispetto di ogni persona, di ogni vita umana.
È fondamentale il ruolo dei controlli per garantire la regolarità contrattuale, la correttezza retributiva e il rispetto delle condizioni di lavoro. La prevenzione non può essere praticata a intermittenza, né rincorsa solo dopo eventi drammatici: deve diventare patrimonio comune, gesto quotidiano, parte integrante della cultura del lavoro. È su questo convincimento che la Cisl ha da sempre indicato nella formazione lo strumento di crescita, sviluppo e miglioramento continuo, a partire dalle scuole e lungo tutto il percorso di vita e di lavoro degli individui. Ci sono stati dei provvedimenti importanti che ha fatto il Governo penso alla patente a crediti, all’aumento degli ispettori, ma non basta. Bisogna assolutamente continuare a intervenire, facendo in modo che ci sia una strategia nazionale. Ed è fondamentale veicolare questo messaggio tra i giovani che saranno le lavoratrici ed i lavoratori del domani. È importante che la Premier Meloni abbia annunciato ieri l’apertura di un confronto con il sindacato sulla sicurezza lavoro per costruire una alleanza tra istituzioni e parti sociali, un confronto che noi vogliamo allargare anche agli alti temi a partire dalla tutela dei salari e delle pensioni.

Bombardieri (Uil): Abbiamo deciso di dedicare il Primo Maggio proprio a questo tema perché è assolutamente inaccettabile che recarsi al lavoro significhi, ormai, mettere a repentaglio la propria vita. Oltre mille morti e più di cinquecentomila infortuni, ogni anno, sono numeri da guerra civile e non degni di un Paese progredito come il nostro. Vogliamo, dunque, sensibilizzare l’opinione pubblica sulla gravità di questi eventi e sollecitare la politica ad assumere decisioni drastiche: non ci si può rassegnare a un fenomeno così grave e il nostro obiettivo deve essere quello di “zero morti sul lavoro”. È una questione culturale, da affrontare a tutti i livelli e, magari, sin dalle scuole dell’obbligo. Ed è anche un problema di carenza di investimenti, una lacuna che, peraltro, andrebbe colmata in modo strutturale e non con annunci spot ed episodici. Più prevenzione, quindi, più formazione, più ispezioni e più ispettori sono i fattori su cui agire. Inoltre, abbiamo ripetutamente sottoposto all’attenzione della politica la necessità di istituire, da un lato, una Procura speciale e, dall’altro, il reato di omicidio sul lavoro. In alcune circostanze, infatti, quando vengono messi in campo comportamenti deliberatamente omissivi o si manomettono i dispositivi di protezione o per la sicurezza, non si può parlare di incidenti sul lavoro ma, per l’appunto, di omicidi che, come tali, devono essere trattati.

Oggi quello che entra nelle tasche dei lavoratori vale meno e a ricordarcelo non sono solo i numeri dell’Istat, ma la vita di ogni giorno. Come invertire questo ciclo?

Landini (Cgil): I numeri, però, ci danno la dimensione di ciò di cui parliamo: in Italia ci sono 5,7 milioni di persone povere e circa 11 milioni a rischio di povertà. È inaccettabile. Oggi nel nostro Paese abbiamo più di 4 milioni di persone che lavorano part. Quasi 3 milioni di contratti a termine, fino ad un milione di lavoratori stagionali, circa un milione di lavoratori interinali o somministrati. Il tutto a fronte di un’inflazione che negli ultimi anni è cresciuta a dismisura, anche a causa alla guerra, abbassando il potere d’acquisto degli stipendi. In pratica oggi si è poveri anche lavorando. C’è bisogno di aumentare i salari, a partire dal rinnovo dei contratti collettivi nazionali, immaginandosi anche l’introduzione di un salario orario minimo legale al di sotto del quale non si possa scendere ed una legge sulla rappresentanza. È necessario contrastare radicalmente la precarietà, garantendo lavoro stabile, ed investire sulla qualità del lavoro.

Fumarola (Cisl): Bisogna rinnovare in primo luogo tutti i contratti privati e pubblici, a partire dai metalmeccanici, dalla sanità e dalle funzioni locali. A fronte di risorse stanziate anche per i prossimi rinnovi del pubblico impiego, ci ritroviamo invece alla solita situazione, ovvero uno stop ingiustificato da parte degli altri sindacati. Neghiamo in questo modo alle lavoratrici e ai lavoratori dei miglioramenti economici ma anche normativi. Bisogna rilanciare salari ma anche qualità dell’occupazione, sostenere la contrattazione aziendale e territoriale, sostenere il ceto medio, più investimenti in formazione e innovazione, nuove tutele universali, una nuova politica espansiva dei redditi. Obiettivi raggiungibili solo raffiorando il dialogo sociale proprio come ci indica anche il presidente Mattarella, attraverso un grande patto che metta dalla stessa parte attori sociali e politici riformisti.

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Bombardieri (Uil): Purtroppo, nel nostro Paese, dopo il problema del lavoro insicuro, c’è quello del lavoro povero. Negli ultimi anni, si è ridotto il potere d’acquisto dei salari, a causa di un’inflazione che li ha erosi in modo davvero considerevole. In molti settori non si riescono a rinnovare i contratti in modo dignitoso e adeguato all’accresciuto costo della vita, a causa degli atteggiamenti dilatori o alle disponibilità del tutto insufficienti dei datori di lavoro, nel pubblico come nel privato. I contratti devono essere rinnovati, ovunque, subito e bene. L’altra leva su cui agire per fare crescere i salari, poi, è quella fiscale, a partire dalla necessità di detassare gli aumenti contrattuali di primo e di secondo livello. Ne va anche del futuro della nostra economia, che rallenta anche per la riduzione dei consumi, figlia di questa carenza di risorse a disposizione delle lavoratrici e dei lavoratori. C’è di che essere preoccupati per questo andamento che coinvolge ormai milioni di famiglie, costrette a tirare la cinghia e a fare rinunce su più fronti. Le parti datoriali e il governo ascoltino le nostre rivendicazioni.

C’è poi il tema delle competenze che si intreccia con le scelte dei giovani sui percorsi di studio e formativi, spesso non in linea con le richieste di mercato. Come intervenire su questo?

Landini (Cgil): Ho sempre rifiutato la logica secondo la quale il sistema d’istruzione debba essere asservito alle richieste del mercato e delle imprese. La formazione e la conoscenza delle ragazze e dei ragazzi devono avvenire ed essere garantite a prescindere da quello che si decide di fare dopo la scuola o l’università. È giusto che una ragazza o un ragazzo decidano di studiare e di formarsi secondo quelle che sono le proprie attitudini. Ribaltiamo la logica: c’è bisogno che il nostro paese investa sulla formazione e metta a sistema le competenze acquisite dalle persone. È paradossale che le giovani e i giovani italiani abbiano maggiori opportunità di realizzarsi all’estero che ne proprio Paese. Non c’entra il mercato, ma le condizioni di vita e di lavoro che si garantiscono alle giovani e ai giovani.

Fumarola (Cisl): Parlare oggi di giovani e lavoro significa affrontare la più grande sfida morale, sociale ed economica del Paese. Le transizioni digitali, demografiche, industriali, stanno ridisegnando il modo in cui si lavora e i profili professionali richiesti. Il mercato oggi ha bisogno di competenze nuove, di lavoratori capaci di adattarsi e di aggiornarsi continuamente. La formazione deve essere considerata un driver strategico, non un costo. Servono per questo politiche innovative, con una rete istituzionale e sussidiaria capace di assicurare ad ogni persona apprendimento perpetuo, sostegno al reddito legato a percorsi di riqualificazione, orientamento nel mercato del lavoro. Bisogna affrontare con serietà il tema del lavoro giovanile e della condizione di donne e NEET con strumenti adeguati di inserimento e crescita, rimettendo al centro reddito, formazione e nuove tutele.

Bombardieri (Uil): In premessa, c’è una questione di sistema che riguarda il mondo delle imprese. È a loro che compete la programmazione dei fabbisogni, l’individuazione delle competenze necessarie e la strutturazione di percorsi formativi idonei a rispondere alle esigenze della loro organizzazione del lavoro. Non è solo una questione di mismatch che, comunque, non è imputabile esclusivamente al sistema scolastico e men che meno ai giovani. Certamente, c’è anche un problema di programmi di studio non adeguati, di una scarsa propensione alla scelta delle cosiddette materie stem, di una carente digitalizzazione, di una difficoltà nell’intreccio tra domanda e offerta di lavoro e su tutti questi fattori occorre sicuramente intervenire con riforme utili ed efficaci. Ma le richieste di mercato rispondono, innanzitutto, a logiche economiche e produttive che vanno affrontate e risolte, prioritariamente, all’interno di questo ambito, con prospettive più lungimiranti di organizzazione di impresa.

L’emigrazione dei giovani sembra quasi non suscitare l’interesse del Governo se paragonata alle continue politiche pensate per contrastare gli sbarchi e respingere i migranti.

Landini (Cgil): Nel 2024 sono emigrate dall’Italia 191 mila persone, delle quali 156 mila cittadini italiani. Se consideriamo le persone tra i 18 e 34 anni, l’emigrazione è andata crescendo e tra il 2011 e il 2023 sono espatriati 550 mila giovani italiani. Ma di cosa stiamo parlando? Ci rendiamo conto di quale sia l’emergenza in questo paese o il Governo vuole continuare a fare demagogia e becera propaganda? Invece di millantare chiusure delle frontiere per gli immigrati si cominciasse a lavorare a come poter evitare che i nostri connazionali lascino la nazione e come integrare e accogliere al meglio le persone che emigrano per cercare condizioni di vita migliore.
Le giovani generazioni vanno via dal nostro Paese perché subiscono le condizioni di lavoro precarie e molto spesso mal pagate. Di fronte a questo come può una ragazza o un ragazzo immaginarsi un futuro in Italia? Questi sono i problemi che il Governo dovrebbe risolvere. A queste persone dobbiamo dare una risposta. Anche per questo è importante andare a votare l’8 e il 9 giugno ai referendum su lavoro e cittadinanza: per un lavoro che sia stabile, sicuro, dignitoso. Per dare diritto di cittadinanza alle persone che vivono e lavorano legalmente nel nostro Paese. Per cominciare a cambiare le cose e dare un futuro alle giovani e ai giovani.

Fumarola (Cisl): Bisogna affrontare i due fenomeni, la fuga dei nostri giovani e l’arrivo dei migranti con politiche appropriate, con grande senso di responsabilità, senza populismi ed ostracismi. Bisogna da un lato investire molto di più sulla crescita, sull’innovazione tecnologica, favorire gli investimenti pubblici e privati soprattutto nel Mezzogiorno, realizzare nei tempi prefissati tutti i progetti del Pnrr con una governance partecipata, lanciare un grande piano per costruire le nuove competenze richieste dal mercato per giovani e donne. Dall’altro versante, bisogna avere una politica di accoglienza e di inclusione seria ed equilibrata, anche con il ruolo attivo dell’Europa, perché l’Italia ha bisogno oggi del contributo produttivo dei migranti. Chiudersi nel proprio recinto è una strada sbagliata.

Bombardieri (Uil): Anche in questo caso c’è un punto da chiarire subito. Molti giovani, anche con un livello di scolarizzazione molto alto, vanno via perché le loro competenze non sono valorizzate economicamente. Dunque, si spendono soldi per formarli e poi li regaliamo ad altri Paesi dove, al contrario la loro professionalità è riconosciuta e sono ben pagati: un danno e una beffa per tutti. Contestualmente, poi, si pongono argini all’immigrazione mentre, invece, ci sono molte aziende che assumerebbero volentieri forza lavoro, ma non riescono a trovare personale per alcune mansioni. Non solo, non si capisce perché non si regolarizzino rapidamente gli immigrati che sono già sul nostro territorio, offrendo loro queste opportunità di lavoro e sottraendoli così alle mire e ai ricatti della malavita. Tutte queste sono contraddizioni clamorose e improduttive che dovrebbero essere assolutamente sanate se vogliamo dare al Paese un futuro e una prospettiva di sviluppo. Il problema è sempre lo stesso: il lavoro non è adeguatamente valorizzato ed è al centro dell’attenzione solo in occasione del Primo Maggio. Noi chiediamo, invece, che il lavoro diventi davvero la pietra angolare su cui, come recita l’articolo 1 della nostra Costituzione, possa essere fondata la nostra Repubblica democratica.

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