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Begalli: «Consegniamo un ateneo vivo, in crescita, proiettato al futuro»


L’Università di Verona negli ultimi sei anni ha vissuto una crescita importante, non solo per numero di studenti ma soprattutto per apertura al territorio, visione progettuale e creazione di nuove reti. A guidare questa trasformazione, insieme al rettore Pierfrancesco Nocini, è stato anche il professor Diego Begalli, prorettore vicario, con delega al trasferimento della conoscenza e ai rapporti con il territorio.

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Ospite di Focus Verona Economia, il prorettore uscente ha raccontato il percorso intrapreso dall’ateneo scaligero, che guarda al futuro con spirito collaborativo, interdisciplinare e imprenditivo, in sintonia con lo spirito del Premio Innovazione 2025 del prossimo 22 maggio.

Professore, negli ultimi anni l’Università di Verona ha registrato una forte crescita. Qual è la visione che ha guidato questa evoluzione?

È stato un obiettivo strategico della governance: puntare a una crescita sia quantitativa sia qualitativa. In sei anni siamo passati da circa 24.000 studenti a oltre 29.000, aprendo ben 31 nuovi corsi di studio in aree diverse, e rafforzando al contempo il nostro legame con il territorio e con altri atenei. Una crescita resa possibile da un lavoro di rete e dalla capacità di costruire alleanze e sinergie.

Tra i corsi inaugurati ci sono anche percorsi innovativi, in collaborazione con altre università. Può farci qualche esempio?

Certo. Il corso in ingegneria dei sistemi biomedicali è stato attivato in interateneo con Trento, Modena e Reggio Emilia, coinvolgendo territori con forte vocazione in ambito tecnologico e biomedicale. Per il corso di farmacia abbiamo collaborato con l’Ospedale Sacro Cuore a Negrar. E ancora: a Vicenza abbiamo aperto una sede dedicata al management dello sport, in collaborazione tra il Dipartimento di Economia e quello di Neuroscienze. Abbiamo anche istituito un nuovo Dipartimento di medicina innovativa, che guarda alle applicazioni più avanzate della chirurgia e della robotica. Tutto questo è frutto di una visione orientata al futuro.

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Anche il corso in osteopatia è partito in tempi record.

Sì, grazie a un decreto ministeriale siamo riusciti, insieme a Firenze, a essere tra i primi atenei accreditati. Avevamo già attivo un corso di perfezionamento, e questo ci ha permesso di muoverci rapidamente. La velocità e la capacità di rispondere alle esigenze normative e sociali sono diventate parte integrante della nostra cultura organizzativa.

Crescita e visione, ma anche attenzione alla sostenibilità sociale.

Assolutamente sì. Abbiamo alzato la soglia ISEE (a 27mila euro) per le esenzioni, così da includere anche le famiglie che non rientrano nei parametri per i benefici ESU, ma che comunque faticano a sostenere i costi universitari. Vogliamo che nessuno sia escluso dalla formazione per motivi economici. Questo è un aspetto fondamentale della nostra idea di università pubblica inclusiva.

Parliamo di innovazione: che ruolo ha oggi l’università nello sviluppo dell’imprenditorialità giovanile?

Un ruolo centrale. Cerchiamo di diffondere la cultura dell’innovazione e dell’imprenditività fin dai primi anni, attraverso il centro TALC, i laboratori sulle soft skill, i contamination lab, le esperienze come Simulathon, e le collaborazioni con imprese e istituzioni. Abbiamo anche modificato i regolamenti sulla proprietà intellettuale e sugli spin-off, permettendo anche agli studenti delle lauree magistrali di creare startup accademiche.

Con quali risultati?

Ottimi. L’Ateneo ha accreditato quasi 40 spin-off, e oggi ne abbiamo circa 25 attivi. Lavoriamo in collaborazione con incubatori certificati e società specializzate per rafforzare l’area business development. Nel 2024 abbiamo vinto con Anastasia il concorso Startup Veneto, e piazzato altre due realtà tra le prime cinque. Alcuni nostri spin-off, come Humatics e Giulia, sono stati acquisiti da grandi gruppi industriali: un segnale che la ricerca universitaria può davvero generare valore economico.

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Guardando al futuro, visto che tra poche settimane verrà nominato un nuovo rettore o una nuova rettrice, cosa auspica per l’ateneo?

Stiamo per chiudere un ciclo importante. Con il rettore condividiamo l’idea che la continuità debba riguardare i progetti, non le persone. L’università è come un albero: le radici solide garantiscono stabilità, ma i rami devono crescere liberamente per raggiungere nuove altezze. Mi auguro che chi guiderà l’ateneo dopo di noi porti avanti lo sviluppo avviato, con spirito aperto, costruttivo, al servizio del territorio.

E Verona? Può davvero diventare una città universitaria a tutti gli effetti?

Verona lo è già nei fatti, ma deve investire di più nei servizi per gli studenti. Se riusciamo a trattenere i laureati e ad attrarre capitali esterni disposti a investire in innovazione, vinceremo tutti: l’università, il sistema produttivo e la città. Il sogno è quello di una Verona attrattiva non solo per i turisti, ma anche per chi vuole costruire qui il proprio futuro professionale.



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