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1 maggio e Giubileo dei lavoratori break cotto


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C ’è un’impresa italiana che ha servito il caffè ai leader del G7 radunatisi in Umbria lo scorso anno, che è stata invitata al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite per parlare di lavoro e inclusione e che ha cucinato alla mensa dei poveri del Papa. Non è una multinazionale, ma è la BreakCotto, un’impresa sociale in cui lavorano principalmente persone con autismo, nata da un’intuizione coraggiosa di don Andrea Bonsignori, direttore del Cottolengo. Un prete che non si è fermato alla carità ma ha voluto scommettere sulle capacità dei suoi ragazzi, applicate al mondo del lavoro. «In gioco ci sono i diritti e la dignità di chi, da troppo tempo, viene considerato un “peso da gestire”, più che una risorsa da valorizzare. Volevo creare uno spazio» racconta «dove le persone con disabilità potessero ricevere un contratto di lavoro, una busta paga, una prospettiva di futuro». Così è nata la cooperativa sociale Chicco Cotto, oggi diventata l’impresa sociale BreakCotto.



«L’autismo può diventare un vantaggio competitivo» dice con semplicità. E con orgoglio mostra i risultati: 16 dipendenti con disabilità, un centinaio in formazione, clienti importanti, progetti sportivi, grandi eventi. «Ma la nostra è una normalità conquistata. Per ogni traguardo ci sono stati due ostacoli. E spesso il più grande è la mentalità». Ancora oggi alcune aziende «rifiutano di collaborare con noi quando scoprono che siamo composti da lavoratori nello spettro autistico. Ma per fortuna ce ne sono anche tante che si affidano a noi. Non per pietà, ma per la qualità che offriamo. Perché puntiamo tutto su quello che le persone sanno fare, non su quello che gli manca. Cerchiamo di tagliare le barriere e trattarli come chiunque altro, proporzionando il lavoro alle capacità di ciascuno. Non esistono lavori di serie B. L’approccio dev’essere di piena inclusione, altrimenti si crea solo una falsa integrazione, che non regge nel tempo». Per questo, don Andrea precisa: «Il sociale non è un investimento a perdere che le aziende fanno per lavarsi immagine e coscienza, ma un vantaggio produttivo per l’impresa. E anche i colleghi neurotipici, come tu ed io, migliorano».

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Ci sono storie che parlano da sole. «Come quella di Andrea, che ha iniziato il suo percorso nel progetto sportivo della Ju.Co. (Juventus Cottolengo)», dice Bonsignori che ha un passato da calciatore e rugbista di livello «e oggi, grazie al suo stipendio, si è comprato l’auto. O quella di Martina, che sognava di fare la barista e oggi serve caffè nei grandi eventi, con un grembiule e un sorriso che valgono più di mille parole. E ancora, quella di Luca, che non riusciva a sostenere un colloquio di lavoro per l’ansia e ora è caposquadra nei catering. Molti genitori piangono quando vedono i figli firmare il contratto. È come se improvvisamente il buio si illuminasse».



«Non è solo il “dopo di noi” di cui tanto si parla. È il durante. È il presente. È il quotidiano che cambia. A noi non interessa solo far lavorare qualcuno. Vogliamo che quella persona sia parte attiva di un sistema che funziona, che produce valore, che restituisce dignità». Anche per questo BreakCotto è diventata main sponsor delle squadre giovanili della Ju.Co., «sostenendo un modello che integra lavoro, sport e crescita personale. Il lavoro crea autonomia, dignità, possibilità. Affianco a questo lavoro ci sono le grandi imprese: il catering al Vaticano, il caffè al G7, il viaggio alle Nazioni Unite. Non per farci belli, ma per dire: ci siamo. Siamo un’impresa vera. 

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E i nostri dipendenti non sono figuranti, sono professionisti». Alla sede di New York hanno portato la loro testimonianza come esempio virtuoso di integrazione lavorativa. «È stato un doppio traguardo. Sì, ci siamo arrivati noi, ma soprattutto ci sono arrivati loro. E lo abbiamo fatto tutti insieme. Questa è Break Cotto: si parte insieme, si arriva insieme», chiosa don Andrea.

Eppure, nonostante questi successi, restano le difficoltà. «La burocrazia è il primo nemico. Assumere una persona con disabilità può diventare un’impresa nell’impresa. Serve un nulla osta per l’assunzione e rispettare parametri rigidi sull’orario. Con l’articolo 14, ad esempio, il lavoratore disabile deve raggiungere almeno il 50% più un’ora del contratto nazionale. Ma se il medico del lavoro certifica che quella persona può lavorare solo 20 ore a settimana, cosa devo fare? Trasgredire la legge o rinunciare a offrirgli un’opportunità»? Don Andrea scuote la testa. «Dovremmo avere il coraggio di semplificare le norme, di fidarci di chi, da anni, dimostra con i fatti che fare impresa con la disabilità non è solo possibile, è anche giusto e sostenibile».

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Intanto, Break Cotto continua a crescere. E a generare lavoro vero. «Non chiediamo medaglie. Ma almeno, se decidiamo di assumere qualcuno, non vogliamo dover chiedere il permesso». Nei giorni del Primo Maggio, del Giubileo dei lavoratori e degli imprenditori, don Andrea rilancia: «Le nostre battaglie sono solo all’inizio. Perché il lavoro non è solo reddito. È speranza, identità, futuro. E nessuno dovrebbe restarne escluso».





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