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Il petrolio va giù. E Putin s’inventa “l’oro alla patria” in salsa russa


Nonostante i venti provenienti dagli Usa, che lasciano intravedere una burrasca di sanzioni, ovviamente in tandem con l’Europa, se non si dovesse raggiungere una pace con l’Ucraina, Vladimir Putin, invece di preoccuparsi dell’andamento sempre più negativo della propria economia, si limita ad esortare i giovani di Mosca e dintorni a diventare latori della sua “buona novella”, ovvero ripetitori di quella propaganda (basata sul subliminale messaggio che la Russia è il paese buono che combatte le nazioni cattive, e che ovviamente vince sempre), che è l’unico strumento per mantenere in vita un regime, che difficilmente poteva fare peggio per il proprio paese.

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Certo è che la propaganda, sarà pure utile per convincere i sudditi ad ubbidire al sommo capo, Vladimir I, ma non certo ad aggiustare i conti pubblici, che vanno decisamente male, tanto da costringere il governo di Mishustin ad avviare un irrituale processo di aggiustamento delle misure di bilancio, come emerge dalla lettura di un articolo del quotidiano economico russo Kommersant, pubblicato il 30 aprile, a firma di Vadim Visloguzov, il cui titolo la dice lunga sulla situazione delle finanze pubbliche russe: “Il deficit previsto del Tesoro statale per il 2025 è aumentato drasticamente”.

Il motivo del degrado della situazione dei conti pubblici di Putinlandia si rintraccia nel calo dei prezzi del petrolio, e nel rafforzamento del rublo (oggi a 93 rubli per euro, mentre in passato si aggirava sui 100), “che hanno costretto il governo a tagliare del 4,5% le entrate previste dal bilancio federale per il 2025 e a più che triplicare l’entità prevista del deficit, dallo 0,5% all’1,7% del Pil, pari a 3,8 trilioni di rubli (ossia 41 mld di euro, ndr)”.

Se alle nostre latitudini si aprono bottiglie di spumante per questi limitati deficit pubblici, in Russia sono invece percentuali allarmanti, visto che sono molto pochi coloro che investono i risparmi in titoli di Stato, e quindi un grande deficit rischia di non poter essere coperto con la vendita di Ofz (i Btp russi), e quindi potrebbe bloccare l’intera macchina statale, compresa quella militare.

In soldoni le autorità russe prevedono che nel corso del 2025 le entrate nell’erario russo derivanti dalla vendita di petrolio e gas si ridurranno di 2,6 trilioni di rubli (28 mld di euro), un importo solo in parte compensato dall’aumento della pressione fiscale su cittadini ed imprese russe, che dovrebbe generare un incremento degli incassi per 0,8 trilioni di rubli (meno di 9 mld di euro).

Questo peggioramento delle aspettative è dovuto all’aggiornamento delle previsioni dell’evoluzione dell’economia, ma non sul versante del Pil (previsto crescere del 2,5% nel 2025), bensì su quello dell’inflazione, che dovrebbe essere del 7,6%, e non più del 4,5% (valori comunque inferiori rispetto all’attuale tasso del 10,3%, ndr), e su quello del prezzo del petrolio russo, che si attende essere ormai di 56$ al barile, e non più di 70$.

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Pertanto il 30 aprile il Ministero delle Finanze ha emanato una proposta di legge sulle modifiche al bilancio per il 2025, fermo restando che il titolare del dicastero, Anton Siluanov, ha assicurato che “le priorità di bilancio restano invariate”, ossia che la guerra continuerà a poter essere finanziata.

Nessuna sorpresa dunque se il Ministero delle Finanze, insieme alla Banca centrale russa, stia pensando a misure di incentivo per i risparmiatori russi, come risulta da un articolo di Izvestia del 2 maggio, scritto da Valentina Averyanova.

Infatti, visto che dall’estero, vuoi per le sanzioni, vuoi per l’elevato rischio come emittente di titoli della Russia, soldi non ne possono venire per finanziare lo Stato guidato da Vladimir, allora non resta che creare risparmio domestico, a cui attingere, più o meno come fece Mussolini, che chiese agli italiani di donare gli anelli di matrimonio allo Stato Fascista, con l’operazione “Oro alla Patria” del dicembre 1935, trovandosi in una situazione analoga a quella della Russia, ossia in guerra (in Etiopia) e sotto sanzioni internazionali.

Come ha fatto capire il viceministro delle finanze russo, Ivan Chebeskov, con la scusa di “creare le condizioni e gli strumenti che renderanno interessante per i cittadini investire e risparmiare a lungo termine”, e specificando che i risparmi saranno “a beneficio dei figli”, si punta a raggiungere l’obiettivo che “entro il 2030 il 40% dei risparmi dei russi diventi a lungo termine”.

E dove altro potranno andare i soldi investiti a lungo termine, se non in fondi di investimento (di banche e assicurazioni), che a loro volta potranno investirli negli unici titoli a lungo termine esistenti nel mercato finanziario russo, che sono quelli statali?

Ecco dunque che i cervelloni del Cremlino stanno preparando il terreno per garantire sopravvivenza finanziaria alla Federazione russa negli anni a venire.

A questo scopo sono previsti incentivi fiscali e garanzia pubblica in caso di default dei fondi di investimento privati.

Come tutti i giornali, anche Izvestia ha voluto vederci più chiaro, come si legge nell’articolo (“la redazione ha inviato richieste di informazioni al Ministero delle Finanze e alla Banca Centrale della Federazione Russa), ma ovviamente la risposta è stata il silenzio (“al momento della pubblicazione non era ancora pervenuta alcuna risposta), circostanza tipica quando si ha a che fare con chi fa propaganda (il quale vuole evitare i dettagli).

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L’iniziativa potrà comunque essere benefica anche per il mondo delle imprese, come spiega Alexander Safonov, professore presso l’Università finanziaria del governo della Federazione Russa: “è proprio il denaro a lungo termine che può stimolare una nuova industrializzazione in Russia, il che è estremamente importante per la creazione di nuovi posti di lavoro di qualità, altamente qualificati e ben retribuiti, con condizioni di lavoro sane”.

A proposito di imprese, sempre Izvestia, con un altro articolo del 2 maggio, questa volta di Maria Stroiteleva, ha richiamato l’attenzione sul problema dei prestiti esteri ottenuti dalle aziende russe, che hanno una dimensione enorme: 209 miliardi di dollari (20 trilioni di rubli), che è più della metà del debito totale delle imprese della Federazione russa (pari a 36 trilioni di rubli).

Infatti, nonostante l’approccio autarchico del Cremlino, pare che, nonostante le sanzioni, le aziende russe continuino a contrarre nuovi prestiti in dollari, euro, yuan, dirham, soprattutto negli Emirati Arabi Uniti, in Bielorussia e a Cipro, dove il tasso di interesse è più basso (rispettivamente del 4%, 9% e 3,6%), rispetto a quello che si paga in Russia (21%).

Tutto questo è possibile perché le imprese russe possono rivolgersi, per prestiti in valuta estera, alle filiali in Russia di banche straniere (come l’OTP ungherese), alla Banca asiatica di sviluppo, oppure alle filiali in Bielorussia di banche russe, come Sberbank.

Questa situazione non è però priva di rischi, come spiega Mikhail Khachaturyan, professore dell’Università finanziaria del governo della Federazione Russa: “i rischi valutari potrebbero essere inaccettabili. E poi, a causa delle sanzioni, alcune banche straniere potrebbero rifiutarsi di accettare pagamenti da aziende russe, il che complicherebbe l’ottenimento e il rimborso dei prestiti. Inoltre, a causa dell’aumento del rischio di sanzioni, i creditori potrebbero aumentare i tassi di interesse, rendendo i prestiti meno redditizi… Infine, se le aziende russe fossero teoricamente tagliate fuori del tutto dalle transazioni in valuta estera, è possibile che si trovino ad affrontare un default tecnico su tali prestiti”.

Certo è che l’economia russa continua a trovarsi in condizioni di elevato rischio, e non sono pochi i comparti in evidente difficoltà.

Uno di questi è quello immobiliare, il quale sembra destinato a entrare presto in crisi, come annuncia Kommersant, con la sua redattrice Sofia Meshkova, che ha pubblicato un pezzo il 30 aprile proprio su questo tema.

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Infatti, secondo la società di consulenza russa CMWP, “entro la fine del 2026 il volume di costruzione di uffici a Mosca diminuirà del 51% su base annua, i magazzini del 29% e i centri commerciali del 71%. Il motivo è l’elevato costo dei finanziamenti ottenuti tramite prestiti e l’aumento dei costi di costruzione”.

Ma tutto questo verrà nascosto sotto il tappeto da Putin, che si appresta a celebrare la liturgia del giorno della vittoria, il 9 maggio prossimo, con il suo solito approccio messianico, ispirato all’irreale e irrealistica idea di una Grande Russia, promotrice di una civiltà e di un nuovo ordine mondiale, dimenticando che per questa impossibile aspirazione ha distrutto un paese, l’Ucraina, ha ucciso centinaia di migliaia di persone, russi compresi, e tanti civili ucraini, inclusi i bambini, che prima o poi, con la Storia, gli presenteranno il conto di quello che ha fatto.



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