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l’impatto su Terzo Settore e filantropia in Italia • Secondo Welfare


Una delle prime decisioni prese da Donald Trump all’inizio del suo secondo mandato come presidente USA è stata quella di tagliare fortemente gli aiuti internazionali. USAID, l’agenzia federale che da decenni fornisce aiuti umanitari e assistenza per lo sviluppo in decine di Paesi in tutto il mondo, è stata smantellata.

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A fine marzo, il segretario di Stato Marco Rubio ha annunciato che sono stati cancellati 5.200 dei 6.200 programmi finanziati da USAID, ossia l’83% delle iniziative. E questo, nonostante il bilancio dell’agenzia corrispondesse a meno dell’1% del budget federale statunitense.

Questi tagli enormi e repentini hanno toccato la vita di milioni di persone in tutto il mondo che beneficiavano direttamente dei programmi. Ma il loro impatto si sta facendo sentire anche sull’intero sistema internazionale di aiuto umanitario e cooperazione allo sviluppo, che dava concretezza a quei programmi.

 “Gli Stati Uniti hanno fornito il 40% di tutti gli aiuti umanitari monitorati dalle Nazioni Unite lo scorso anno. Le organizzazioni umanitarie di tutto il mondo stanno attraversando un periodo di difficoltà”, ha scritto ad inizio maggio il Washington Post. Una situazione che riguarda anche il nostro Paese.

L’impatto sulle ONG italiane

Ad essere toccate – direttamente e indirettamente – sono infatti anche le Organizzazioni non governative (ONG) italiane: progetti interrotti, personale rimasto senza lavoro, bilanci da ripensare. E tanta incertezza sul futuro. Per quanto Percorsi di secondo welfare non si occupi direttamente del lavoro all’estero delle ONG, anch’esse sono enti del Terzo Settore e, quindi, ci siamo chiesti se il momento difficile che stanno attraversando queste realtà abbia conseguenze più ampie sul Terzo Settore nel suo complesso. E ne abbiamo discusso con esperti ed esperte.

“La crisi innescata dalle decisioni di Trump, per il momento, ha un peso molto forte nell’area della cooperazione e dell’aiuto umanitario e meno nel contesto più ampio del Terzo Settore italiano”, mette in chiaro subito Luca De Fraia, segretario generale aggiunto di ActionAid Italia e coordinatore della Consulta relazioni e cooperazione internazionale del Forum Terzo Settore.

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Inoltre la situazione è variegata. Alcune ONG sono state colpite direttamente, avendo dei progetti finanziati da USAID che sono stati bloccati. Altre potranno esserlo nel breve e medio termine perché i tagli USA hanno colpito anche le organizzazioni multilaterali, come le agenzie ONU, che a loro volta lavorano con le organizzazioni non governative italiane. “Non siamo immuni, soprattutto da questi ultimi effetti indiretti”, prosegue De Fraia che spiega anche come al momento sia ancora difficile avere dati precisi e complessivi sui fondi tagliati, sui beneficiari dei progetti rimasti esclusi, ma anche sui posti di lavoro persi o a rischio.

Le conseguenze sull’occupazione

“In molti stanno ragionando su chiusure di uffici all’estero”, dice Paolo Ferrara, direttore generale di Terre des Hommes Italia. La sua organizzazione ha dovuto interrompere solo un numero limitato di interventi, ma il suo ragionamento è più ampio. “Nel nostro settore, il personale, che sia composto da operatori locali o espatriati, si ritroverà in uno scenario con meno opportunità”.

I tagli statunitensi, infatti, per quanto i più clamorosi e drastici, sono solo gli ultimi di una lunga serie di annunci simili da parte di altri Paesi occidentali, come il Regno Unito, la Germania, la Svezia e la Francia. Secondo i dati OCSE, nel 2024 l’aiuto pubblico allo sviluppo da parte dei Paesi ricchi è calato del 7,1%, con un taglio di oltre 11 miliardi di dollari e, per l’anno in corso, le prime stime parlano di un ulteriore declino.

Sono dati che, secondo Ferrara, porteranno a “un rimescolamento delle carte”. “Per molti operatori sarà difficile “riciclarsi” all’interno del nostro campo perché il nuovo mondo è un mondo con meno risorse di aiuto pubblico allo sviluppo e inevitabilmente ci sarà posto per molte meno professionalità”, ragiona, con realismo, ma senza pessimismo. A suo parere, infatti, nelle ONG lavorano “persone che hanno maturato competenze che sono spendibili anche in altri settori: penso a chi fa il manager, il logista, l’agronomo, a chi si occupa di comunicazione o compliance, che è sempre più richiesta dalle imprese”.

Ma il direttore generale di Terre des Hommes Italia non pensa solo al profit. “Oggi, in Italia, c’è tutto un mondo di fondazioni filantropiche, fondazioni d’impresa, cooperative e imprese sociali che lavorano sul nostro territorio: sicuramente, per una parte dei colleghi e delle colleghe che faranno fatica a ricollocarsi all’interno della cooperazione internazionale, questo mondo offre delle potenzialità”.

Come cambierà la raccolta fondi

I cambiamenti che stanno toccando il mondo delle ONG avranno molto probabilmente ripercussioni anche sulle modalità di finanziamento delle organizzazioni del Terzo Settore. Se i fondi pubblici diminuiscono, dovranno trovare alternative per fare quadrare i bilanci e continuare a rispondere ai bisogni, in Italia e nel mondo. “Servono sicuramente nuovi mercati e nuovi donatori, riflette Ferrara, che è stato per anni a capo della comunicazione e del fundraising di Terre des Hommes Italia.

Per De Fraia di ActionAid, “la raccolta fondi portata avanti dal Terzo Settore nel suo complesso non è direttamente impattata” dai tagli agli aiuti internazionali. Però potrebbero esserci delle conseguenze indirette. “Se la competizione aumenta, avere una donazione di 1 euro ‘costerà’ in proporzione molto di più che in passato. E poi comunque stiamo parlando di cifre che non sono in grado di sostituire i fondi pubblici tagliati”, sostiene Ferrara.

La coperta, insomma, è corta. Ma viene comunque tirata al massimo, soprattutto in due direzioni. Lo spiega ancora De Fraia: “la risposta che a livello internazionale si sta in questo momento per affrontare la mancanza di aiuto pubblico sviluppo è un coinvolgimento maggiore del settore privato e un ruolo più forte dei grandi attori filantropici. “Però credo – prosegue l’esperto di ActionAid Italia – che questa ‘ricetta’ non abbia tantissimo spazio in Italia”.

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Su questo punto concorda anche Carola Carazzone.

Il ruolo della filantropia

Carazzone è dal 2014 segretaria generale di  Assifero, l’associazione italiana delle fondazioni ed enti filantropici e, dal 2022, vicepresidente di Philea – Philanthropy Europe Association. Osserva quindi la crisi innescata dalla chiusura di USAID con uno sguardo sia italiano sia internazionale.

“La stragrande maggioranza dei 181 enti filantropici di Assifero lavora in Italia. Dei nostri associati, solo il 4 o 5 % ha interventi all’estero”, chiarisce. “Queste fondazioni vivono il momento con preoccupazione e hanno ricevuto tante richieste di sostegno da parte dei loro partner sul campo, ma rimangono una piccola percentuale rispetto allo scenario filantropico italiano”, aggiunge.

Carazzone spiega che la situazione italiana è, quindi, molto diversa rispetto all’estero. “In altri contesti, la filantropia sta cercando in ogni modo di sostenere le ONG per far sì che non licenzino il personale e possano portare avanti le loro attività essenziali. Si danno proroghe, si semplificano procedure, si offrono garanzie magari per dei prestiti. Philea ha fatto già molto in tal senso e tutte le fondazioni internazionali anche. Le fondazioni italiane invece sono piccole, sono focalizzate sull’Italia”. Anche per il nostro sistema filantropico, dunque, l’impatto dei tagli USAID non dovrebbe avere conseguenze evidenti. Almeno nel breve periodo.

Nuovi scenari?

Insomma, vista dall’Italia, l’emergenza innescata da Trump sembra lontana. Ma, secondo Carazzone, questo non deve distogliere gli enti filantropici del nostro Paese da quella “trasformazione culturale profonda” che lei ritiene necessaria già da tempo, a maggior ragione dopo le scelte dell’amministrazione statunitense.

“Il passaggio da un paradigma di finanziamenti vincolati a bandi e progetti di breve periodo a finanziamenti orientati a processi per il raggiungimento di missioni è determinante. E la fiducia è un elemento chiave per questo cambio di paradigma”, ha scritto proprio in un contributo per Secondo Welfare, parte del nostro Focus su filantropia e fiducia.

Anche Ferrara pensa che questa crisi porterà a dei cambiamenti: “in futuro, non è detto che le nostre organizzazioni rimangano quello che sono oggi. Ci sono sperimentazioni relative a forme di investimento verso nuove imprenditorialità sociali capaci di soddisfare bisogni e risolvere problemi”. Anche lui, come Carazzone, crede la filantropia muterà. “Probabilmente – riflette – cambierà il suo ruolo. Potrebbero esserci una serie di sviluppi che porteranno le nostre organizzazioni, che fondamentalmente i soldi li spendono, a ibridarsi maggiormente con quegli enti che, invece, i soldi li mettono a disposizione”. 

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Ferrara racconta che, pur essendo nel mondo del non profit da molti anni, non ha mai ricevuto così tanti inviti come in queste ultime settimane per incontrare altre persone del proprio settore. Vogliono confrontarsi, ragionare, reagire e collaborare. Lo shock innescato da Trump sembra avere un forte impatto sulla percezione degli enti. Ecco perché, conclude Ferrara, “questa situazione potrebbe aprire degli scenari nuovi”.

Foto di copertina: Profilo Instagram “usaidsavelives”





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