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Al Family Business Forum: “Raccogliamo il testimone”


di Gaia Papi

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Si è chiusa ad la due giorni del Family Business Forum, il più importante evento nazionale dedicato alle imprese familiari. Un appuntamento che ha saputo raccontare, attraverso numeri, storie e testimonianze, la forza e le sfide di un modello imprenditoriale che continua a rappresentare l’ossatura del tessuto economico italiano. “La scelta non è casuale” ha spiegato Maria Silvia Sacchi, giornalista e curatrice dell’evento. “Questo territorio si distingue per l’altissima concentrazione di aziende familiari, molte ancora guidate dai fondatori, solide e pronte ad affrontare con consapevolezza il passaggio generazionale“. Lo confermano i dati presentati da Fabio Quarato, Managing Director della Cattedra Aidaf-EY dell’Università Bocconi: nella provincia l’86,8% delle imprese ha una struttura familiare, una quota ben superiore alla media nazionale del 67,2%. Ma dietro le cifre ci sono le persone. È proprio questo che ha reso il forum un’occasione unica di confronto: mostrare come, pur tra difficoltà e conflitti, lavorare insieme in famiglia – tra padri e figli, fratelli e sorelle, coniugi – possa diventare una risorsa preziosa per la crescita e la coesione dell’impresa.

Lo sa bene Matteo Guerra, manager che da 25 anni lavora accanto alle famiglie imprenditoriali. La sua carriera lo ha portato dentro gruppi storici come Merloni e Zoppas, oggi amministratore delegato di Prada Group; sempre a stretto contatto con fondatori e dinastie imprenditoriali. “Io sono nato per lavorare con le famiglie imprenditoriali. Non famiglie chiuse, ma aperte. Ho sempre cercato aziende capaci di accogliere visioni nuove, pur restando legate alle proprie radici.” Un equilibrio delicato, quello tra manager e fondatori. “Sono persone straordinarie, ma particolari. Serve rispetto, ascolto, quella che chiamo ‘serenità morale’”.

Il passaggio generazionale è il cuore della sua esperienza: “Ogni transizione richiede tempo, pazienza, chiarezza. Non si può lavorare dove regna l’opacità. Serve trasparenza, realismo. Un manager deve capire subito la cultura dell’impresa, come si relaziona con mercato, banche, collaboratori. Solo così si costruisce fiducia”. Accanto ai manager, ci sono i giovani imprenditori che raccolgono il testimone. Come Chiara, figlia di Fabrizio Bernini, presidente di Zucchetti. “Quando è nata, pensavo che avrebbe fatto il medico, lontana dalle responsabilità di un imprenditore” racconta il padre. Invece, cinque anni fa, Chiara ha deciso di entrare in azienda, lasciando alle spalle una carriera nella finanza. “Era un momento di trasformazione: da piccola realtà provinciale a impresa con quasi mille dipendenti, progetti di intelligenza artificiale, software, robotica”.

Chiara non si è limitata a osservare. “Ha creato un ufficio di controllo, ha guidato acquisizioni, ha imparato sul campo. Un giorno mi ha detto: ‘Babbo, posso fare da sola?’ E io l’ho lasciata fare. Ha costruito una rete di imprese autonome ma integrate. Una sfida non da poco”. Oggi l’impresa di famiglia è un laboratorio di innovazione: ricerca, software, robot tagliaerba di nuova generazione, sistemi di accumulo per energie rinnovabili. “Abbiamo capito che il valore è nei cervelli, non solo nei macchinari” riflette Bernini. “La tecnologia evolve così in fretta che non basta inseguirla: bisogna anticiparla”.

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