Produzione industriale in lieve rialzo a marzo rispetto al mese precedente ma ancora, in calo per il 26° mese consecutivo, su base annua, mentre emergono rischi di nuovi choc per le imprese più vulnerabili all’export a causa dei dazi. Una debolezza quella del sistema industriale che preoccupa sia i sindacati che i consumatori che parlano di «disastro», mentre Confcommercio mette in guardia sulla “riduzione nei beni di consumo».
A soffrire ancora sono gli stessi comparti già in difficoltà: tessile e mezzi di trasporto
In dettaglio, secondo i dati diffusi dall’Istat, la produzione industriale è salita a marzo dello 0,1% rispetto a febbraio. Nella media del primo trimestre è aumentata dello 0,4% rispetto ai tre mesi precedenti, ma è scesa dell’1,8% rispetto a marzo 2024. A soffrire ancora sono gli stessi comparti già in difficoltà: tessile e mezzi di trasporto. Su base annua si registra un aumento esclusivamente per l’energia (+4,5%), mentre calano i beni intermedi (-1,7%), i beni strumentali (-2,7%) e i beni di consumo (-2,9%). Più nel dettaglio le flessioni maggiori si registrano nella fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-17,2%), nelle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-12,0%) e nella fabbricazione di mezzi di trasporto (-8,3%), con l’automotive che continua in profondo rosso con un calo di quasi il 15%. A livello mensile invece è aumentata la produzione per i beni strumentali (+2,2%) e intermedi (+1,1%), mentre flettono i beni di consumo (-1,3%) e l’energia (-1,9%).
La vulnerabilità alla domanda estera
Rispetto a possibili choc come i dazi, la combinazione di una vulnerabilità all’export e di una fragilità nelle condizioni di redditività potrebbe pertanto rappresentare «un ulteriore fattore specifico di criticità», sottolinea l’Istat
L’Istat inoltre in un focus sulla vulnerabilità alla domanda estera e la solidità economico-finanziaria delle imprese esportatrici italiane, avverte che tra quelle più vulnerabili all’export molte si caratterizzano anche per maggiori problemi di redditività, e quindi per una più elevata precarietà economico-finanziaria. Rispetto a possibili choc come i dazi, la combinazione di una vulnerabilità all’export e di una fragilità nelle condizioni di redditività potrebbe pertanto rappresentare «un ulteriore fattore specifico di criticità», sottolinea l’Istat, ricordando che le imprese vulnerabili all’export sono in Italia poco più di 23 mila, di cui quasi 3.300 alla domanda Usa (dati 2022). Di queste, valutando liquidità, redditività e struttura patrimoniale, è considerato a rischio il 10,8% e fortemente a rischio il 9,2%, per un totale di un’impresa vulnerabile su 5, cioè 4.600.
La debolezza del sistema industriale preoccupa sia i sindacati che i consumatori
«Un vero e proprio disastro. La crisi della produzione industriale, iniziata ormai da 26 mesi, prosegue senza sosta e si configura come un tunnel senza uscita visibile», attacca il segretario confederale della Cgil, Pino Gesmundo, sollecitando la premier Meloni a «fare qualcosa». I dati Istat «alla luce dell’attuale situazione economica globale e della grande incertezza legata alle misure protezionistiche degli Usa, rischiano di peggiorare ulteriormente nei prossimi mesi», avverte il Codacons. «Un disastro. Prosegue lo tsunami che si è abbattuto sulle nostre industrie a partire dal febbraio 2023. Un tunnel dal quale non si vede ancora la via d’uscita,» afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori. Per Confcommercio il «marginalissimo» miglioramento rilevato dalla produzione a marzo «conferma il permanere di difficoltà nel manifatturiero». Ma a preoccupare la confederazione è soprattutto il «negativo andamento della produzione di beni di consumo, in progressiva diminuzione» e che «si colloca ai minimi delle serie storiche».
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