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Industrie chimiche europee in fuga verso mercati con energia più economica per contenere i costi


Negli ultimi anni il settore chimico europeo ha affrontato una pressione crescente legata all’aumento dei costi energetici, spingendo molte aziende a cercare soluzioni al di fuori dell’Unione europea. La situazione ha assunto un’accelerazione dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina, con tariffe del gas superiori rispetto ad altre grandi economie mondiali come Cina e Stati Uniti. Le industrie più energivore, come quelle chimiche, stanno valutando strategie per alleggerire il peso dei costi produttivi, anche attraverso la vendita o delocalizzazione di stabilimenti. In questo contesto, il Financial Times ha raccolto dati che mostrano un progressivo spostamento di queste imprese verso paesi dove il prezzo dell’energia rimane più accessibile.

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Aumentano le chiusure e le riduzioni di capacità nelle industrie chimiche europee

L’industria chimica si distingue per consumare enormi quantità di energia, paragonabile a quella richiesta da altri comparti come la lavorazione dei metalli e l’automotive. Nel gennaio scorso il Consiglio europeo dell’industria chimica ha segnalato che a causa degli elevati costi energetici la produzione europea ha subito cali significativi, con oltre 11 milioni di tonnellate di capacità persa in due anni. Per la stessa ragione, almeno 21 impianti hanno ridotto o interrotto le proprie attività. Questo dato fotografa uno scenario in cui il prezzo del gas nel continente risulta circa quattro volte superiore rispetto agli Stati Uniti, e ben più elevato della media raggiunta dalla Cina.

L’impatto sui costi produttivi e occupazionali

La maggior parte delle aziende non ha potuto che limitare la produzione o cercare alternative meno onerose. Il rincaro dell’energia si traduce infatti in un aumento diretto dei costi industriali, condizionando l’intero ciclo produttivo. L’impatto non si ferma soltanto ai bilanci delle imprese: anche il tessuto occupazionale e produttivo europeo ne risente, riducendo le prospettive di crescita e competitività in un settore strategico per l’economia continentale.

Dismissioni e delocalizzazioni di gruppi chimici chiave puntano a mercati emergenti

Il colpo più recente alle attività europee arriva da grandi nomi del settore come Dow e LyondellBasell. Già in autunno 2024, LyondellBasell ha chiuso differenti stabilimenti nel Vecchio Continente, motivando la decisione con una revisione strategica mirata a migrare verso aree con condizioni produttive meno costose. Anche la Ineos, altro protagonista della chimica europea, ha venduto una parte consistente delle sue attività relative ai compositi plastici per 1,7 miliardi di euro a KPS Capital Partners e ha siglato un accordo per rifornimenti di gas con l’americana Covestro.

Strategie verso l’estero

La strategia delineata da queste multinazionali punta a spostare le produzioni soprattutto in Cina e Medio Oriente, mercati in cui l’energia costa meno della metà rispetto all’Europa. Sabic, gigante con ricavi attorno ai 3 miliardi di dollari l’anno, è tra chi sta valutando uno spostamento consistente di attività, coinvolgendo gruppi bancari come Lazard e Goldman Sachs per gestire questa transizione. Questi movimenti segnalano una tendenza ampia in cui la pressione sui costi energetici sta rimodellando il quadro produttivo.

Il confronto con altri paesi alimenta la crisi competitiva europea

La differenza sostanziale nei prezzi energetici tra Europa e altre grandi economie pesa enormemente sulle scelte industriali. Negli Usa, per esempio, il costo del gas è molto più contenuto grazie a risorse locali abbondanti e infrastrutture sviluppate. In Cina, si combinano prezzi più bassi con una politica industriale che sostiene il settore chimico attraverso agevolazioni e investimenti. Questo rende difficile per i produttori europei mantenere operazioni sostenibili sul lungo termine.

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Il risultato è che molte imprese preferiscono spostare le risorse produttive verso paesi con energia a costi più moderati, lasciando spazi vuoti o chiusure in Europa. Il settore chimico, così vitale per il tessuto industriale, rischia di indebolirsi proprio al momento in cui la competitività globale richiede investimenti e continuità. La perdita di capacità produttiva e know-how può avere effetti duraturi sulla posizione dell’Europa nei mercati mondiali, compromettendo la capacità di rispondere alle esigenze future.

Le ripercussioni sul mercato del lavoro e sull’economia locale

La chiusura o riduzione degli stabilimenti chimici comporta ripercussioni immediate sulle comunità interessate. Sono migliaia i lavoratori coinvolti, spesso specializzati, che si trovano senza alternative in prossimità dei siti produttivi. Questi eventi hanno un impatto sociale non trascurabile anche nei territori tradizionalmente legati all’industria chimica, generando tensioni e richieste di interventi da parte delle istituzioni.

Parallelamente, la riduzione della produzione europea limita la possibilità di crescita del fatturato e delle esportazioni, incidendo sui bilanci nazionali. Se le attività si spostano, si riducono anche le opportunità per la filiera locale e il tessuto di piccole e medie imprese collegate. Le istituzioni europee e nazionali si trovano quindi a dover affrontare una crisi strutturale che richiede soluzioni reali per recuperare competitività senza ignorare l’impatto sociale di questi cambiamenti drastici.



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