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Adeguati assetti e piccole imprese, la riforma spiegata dal commercialista Castello


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L’introduzione degli obblighi relativi agli “adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili” rappresenta una delle novità più significative nel panorama normativo italiano degli ultimi anni, soprattutto in tema di prevenzione delle crisi aziendali. Una riforma che coinvolge tutte le imprese, dalle grandi società fino alle microrealtà imprenditoriali, che costituiscono l’ossatura dell’economia palermitana. Ad approfondire l’impatto di questa normativa sulle Pmi locali, Nicola Castello, commercialista di Palermo e membro dell’associazione Nazionale Commercialisti di Palermo.

Si parte dal senso profondo dell’introduzione degli obblighi relativi agli adeguati assetti per le imprese italiane. “I numeri parlano chiaro – spiega Castello -. Un’indagine statistica condotta da Unioncamere ha rilevato che, a sei anni dall’introduzione della normativa, solo il 3,5% delle società di capitali ha dichiarato di aver adottato gli adeguati assetti previsti dalla legge. Questo dato mostra una realtà preoccupante: la stragrande maggioranza delle aziende italiane non si è ancora adeguata all’obbligo normativo. Ed è su questo che bisognerebbe interrogarsi: perché così tante imprese hanno ignorato o sottovalutato questa disposizione?

Poi il commercialista entra nel dettaglio per capire come si applicano questi obblighi alle micro e piccole imprese che rappresentano la spina dorsale dell’economia palermitana. “È importante chiarire subito un punto – precisa ancora Castello – e cioè che non esiste un modello unico valido per tutte le imprese. Il legislatore ha previsto che ogni imprenditore, sia in forma individuale che societaria, adotti presidi organizzativi, amministrativi e contabili proporzionati alla natura e alla dimensione dell’impresa. Quindi no, non si applicano gli stessi standard richiesti a una multinazionale anche al piccolo minimarket di quartiere. Nelle microimprese, per esempio, è possibile attuare forme semplificate di pianificazione finanziaria e controllo di gestione. Anche chi è in regime di contabilità semplificata può adeguarsi senza particolari appesantimenti. Il problema, dunque, non è l’applicabilità della norma, ma la consapevolezza e la volontà di metterla in atto.

Ma il tessuto imprenditoriale locale è strutturalmente e culturalmente pronto ad accogliere questi obblighi? “A mio avviso, no – risponde deciso Castello -. L’imprenditore, per come lo conoscevamo prima del 2019, non esiste più nella visione del legislatore. Oggi si richiede un imprenditore con competenze manageriali evolute. Lo dice anche una sentenza del Tribunale di Milano del 2019 riferita a un semplice chiosco di fiori: l’imprenditore deve valutare le proprie scelte gestionali ex ante, utilizzando le best practice, la letteratura accademica e la giurisprudenza. Questo standard è molto elevato, e purtroppo l’imprenditoria italiana, nel complesso, non è ancora allineata a questi livelli. Ma il problema non riguarda solo gli imprenditori: anche i professionisti devono evolversi.

Dunque ci si concentra sulle difficoltà principal sia per le imprese che per i professionisti. “Dal punto di vista del professionista – dice Castello – la sfida più grande è la trasversalità delle competenze richieste. Serve conoscere la normativa, ma anche padroneggiare la contabilità, la redazione di bilanci, la programmazione aziendale, la finanza e il controllo di gestione. È una materia complessa, che richiede aggiornamento continuo. Anche le imprese, naturalmente, si trovano in difficoltà quando non hanno una struttura interna preparata o personale formato adeguatamente. Invece da un punto di vista economico, secondo una stima elaborata da Cerved nel 2019, l’adeguamento può costare a una microimpresa qualche migliaio di euro, cifra che aumenta progressivamente per imprese di dimensioni maggiori. Tuttavia, molto dipende dalla struttura organizzativa interna. Un’impresa che già ha un’amministrazione interna efficiente e personale formato può contenere significativamente i costi, sfruttando al meglio le risorse già presenti”.

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Ma quali sono i rischi concreti per chi ignora o sottovaluta gli obblighi legati agli adeguati assetti? “I rischi sono seri e concreti – avvisa Castello – perché oltre ai noti problemi legati alla mancata compliance fiscale, oggi esiste anche il rischio, meno conosciuto ma molto più insidioso, di revoca dell’amministratore, nomina di un amministratore giudiziario e richieste di risarcimento danni personali agli amministratori. Non stiamo parlando di ipotesi remote: ci sono già stati moltissimi casi in Italia, con sentenze che hanno colpito anche amministratori di aziende formalmente sane, ma che non avevano adottato i presidi organizzativi richiesti. Il rischio non riguarda solo le aziende in crisi: riguarda tutte le imprese, soprattutto quelle in attività”.

E molti imprenditori temono che questi obblighi rappresentino l’ennesimo appesantimento burocratico. “È comprensibile la diffidenza – ammette Castello – ma in realtà gli effetti positivi esistono e sono misurabili. Uno studio dell’Ordine dei Commercialisti di Milano ha evidenziato che il 60% delle aziende italiane presenta almeno una patologia organizzativa o finanziaria. Questo significa che sei imprese su dieci potrebbero, potenzialmente, trascinare con sé l’intero sistema economico in caso di crisi.

Di fronte a questi numeri, è evidente che serviva un cambio di passo. I presidi richiesti dalla normativa sono una forma di prevenzione necessaria, esattamente come lo sono la sicurezza sul lavoro o quella alimentare. Inoltre, da studi condotti con diverse università italiane, è emerso che le imprese che hanno adottato gli adeguati assetti hanno migliorato sensibilmente le proprie performance già dopo il primo anno. Quindi sì, funzionano. Non sono solo burocrazia, sono strumenti di crescita e resilienza”.

Infine un ultimo consiglio pratico. “Capisco – conclude Castello – che molti imprenditori siano abituati a gestire l’azienda sull’intuizione, ma oggi non basta più. Serve consapevolezza. Bisogna monitorare costantemente gli ‘indici vitali’ dell’impresa, per guidarla con maggiore lucidità e preparazione. Il mio consiglio è di conformarsi alle norme, non solo per evitare sanzioni e rischi legali, ma per proteggere il proprio lavoro e garantire stabilità nel tempo. E attenzione: il rischio non grava solo sulle imprese in difficoltà, ma anche su quelle sane, che proprio per questo motivo devono adottare gli adeguati assetti per prevenire qualunque crisi futura. È un cambiamento culturale prima ancora che normativo. Ed è un passaggio ormai indispensabile”.



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