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Circular Economy, Italia seconda in Europa


  • Circular Economy Network ha diffuso il Rapporto 2025 sull’economia circolare;
  • L’Italia conferma il primato in Europa in materia di riciclo ed economia circolare;
  • Pesano i costi da importazione dei materiali, serve un cambio di passo in questo senso.

L’Italia si conferma tra i Paesi più virtuosi d’Europa in materia di economia circolare. Ma dietro al primato ci sono ancora alcune fragilità strutturali, a partire dalla dipendenza dalle importazioni di materie prime. È quanto emerge dal Rapporto 2025 sull’economia circolare1, documento realizzato dal Circular Economy Network, promosso dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile in collaborazione con Enea.

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È stato presentato il 15 maggio a Roma, durante la VII Conferenza nazionale sull’economia circolare, alla presenza del ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin.

Secondo posto

Nel ranking europeo che misura la circolarità dei 27 Stati membri, l’Italia si piazza al secondo posto con 65,2 punti dopo i Paesi Bassi (70,6). Terzo posto per la Germania (60,6), quarta la Francia (58,7) e quinta la Spagna (56,9).

Ranking Paese Indice di circolarità
Paesi Bassi 70,6
Italia 65,2
Germania 60,6
Belgio 59,6
Francia 58,7
Austria 58,7
Spagna 56,9
Slovacchia 56,4
Slovenia 55,5
10° Repubblica Ceca 54,7
11° Lettonia 54,6
12° Croazia 53,7
13° Estonia 52,9
14° Lituania 52,2
15° Svezia 52,0
16° Polonia 51,0
17° Ungheria 50,2
18° Portogallo 48,5
19° Irlanda 47,1
20° Lussemburgo 46,0
21° Malta 44,8
22° Bulgaria 43,8
23° Finlandia 42,0
24° Romania 41,8
25° Danimarca 39,1
26° Cipro 36,8
27° Grecia 34,5

L’indice di circolarità considera diversi parametri: produzione e consumo, gestione dei rifiuti, uso di materie riciclate, innovazione, competitività, sostenibilità e resilienza.

Vediamo meglio i numeri. La produttività delle risorse italiane ha raggiunto i 4,3 euro per chilogrammo nel 2023, con un incremento del 20% rispetto al 2019. Anche il tasso di utilizzo circolare dei materiali è in crescita: 20,8% contro il 18,7% dell’anno precedente.

Dipendenza dall’estero costosa

A frenare lo slancio resta però un dato pesante: il 48% del fabbisogno nazionale di materiali è coperto da importazioni, un valore più che doppio rispetto alla media dell’Unione europea (22%). Il costo di queste importazioni è salito in modo significativo: dai 424,2 miliardi di euro del 2019 si è passati ai 568,7 miliardi del 2024, con un balzo del 34%.

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Saldo e stralcio

 

Materiali 2020 2021 2022 2023 2024
Minerali 6,4 8,6 10,7 9,4 9,2
Metalli 156,8 201,3 245,7 240,2 232,8
Fossili* 67,1 109,7 198,9 142,3 126,9
Biomasse 59,1 68,3 89,2 87,7 91,3
Altri materiali 84,0 92,5 115,7 112,4 108,6
TOTALE 373,4 480,4 660,2 591,9 568,7
*Nota: Per i fossili si tiene conto anche di prodotti chimici organici, materie plastiche, gomma, fibre sintetiche.
Fonte: Elaborazioni Circular Economy Network su dati Istat – Coeweb.

Uno scenario che impone la necessità di rendere più efficiente l’uso delle risorse e aumentare la quota di materie prime seconde, non solo per ragioni ambientali ma anche per migliorare la competitività delle imprese e rafforzare il made in Italy.

«In un contesto di crisi globali, in cui anche le materie prime diventano leva strategica, dobbiamo decidere se rafforzare la nostra leadership o lasciarcela scappare», osserva Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile.

Cambiare prospettiva

Oggi, sottolinea Ronchi, si presta troppa attenzione sulla gestione dei rifiuti e troppo poca sulla progettazione di prodotti più durevoli, riparabili e riutilizzabili. Il mercato delle materie seconde è ancora debole: manca una rete solida di strumenti per monitorare davvero i progressi. Servono incentivi, leva fiscale, scelte pubbliche più coraggiose. Anche gli acquisti della Pubblica Amministrazione dovrebbero rispettare criteri di circolarità.

Ronchi cita anche alcune misure europee in arrivo: regolamenti su ecodesign, imballaggi, materie prime critiche, prodotti da costruzione. Direttive su greenwashing e acque reflue urbane. E il Clean Industrial Act, che tenta di raddoppiare il tasso di circolarità entro il 2030.

Un punto su cui insiste anche Claudia Brunori, direttrice del dipartimento Enea dedicato a sostenibilità e circolarità nei sistemi produttivi e territoriali. Secondo Brunori l’Italia primeggia su produttività delle risorse, riciclo dei rifiuti e tasso di utilizzo dei materiali riciclati, ma è ancora indietro negli investimenti privati legati alla circolarità delle attività produttive.

I settori più promettenti in questo senso potrebbero essere le biotecnologie circolari e i biomateriali ottenuti da scarti organici.



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