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Il maxi pacchetto di tagli fiscali (cruciale per Trump) dietro il taglio del rating Usa e i rendimenti dei Treasury alle stelle


C’è il maxi pacchetto fiscale e di sicurezza dei confini in discussione al Congresso – e prioritario per Donald Trump – dietro il declassamento del debito statunitense arrivato venerdì da Moody’s, che lunedì mattina ha innescato una fiammata dei rendimenti dei Treasury. Il “Big, Beautiful Bill” che punta a rifinanziare e ampliare gli sgravi a favore di aziende e fasce abbienti contenuti nel Tax cuts and jobs act del 2017 ma anche mantenere promesse elettorali come lo stop alle tasse sulle mance e l’aumento delle spese per il contrasto all’immigrazione, comporterà infatti secondo osservatori indipendenti un’impennata dell’indebitamento federale di almeno 3.300 miliardi solo nel prossimo decennio. Che si sommeranno ai 36mila miliardi già accumulati. Un livello finora sostenibile solo grazie al cosiddetto “privilegio esorbitante” goduto da Washington, cioè la possibilità di prendere soldi a prestito quasi senza limiti a costi relativamente bassi e senza intaccare la fiducia degli investitori. Le politiche commerciali e di bilancio trumpiane hanno rapidamente eroso quel vantaggio storico e messo in discussione il ruolo del dollaro come valuta di riserva globale, portando al taglio del rating dopo il quale per la prima volta nella storia nessuna delle grandi agenzia assegna agli Usa la tripla A.

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Diversi analisti fanno notare come lo scetticismo sulla capacità degli Usa di mantenere una politica fiscale sostenibile nel lungo termine sia il frutto di molti anni di gestione allegra da parte della Casa Bianca e del Congresso. Il pacchetto legislativo promosso dai Repubblicani è insomma solo l’ultimo passo e soprattutto arriva insieme al piano, insensato secondo la stragrande maggioranza degli economisti, che punta a “riequilibrare” la bilancia commerciale attraverso i dazi. Cosa che determinerebbe un effetto boomerang sulla bilancia dei movimenti di capitale, riducendo l’afflusso di capitali investiti nell’acquisto di attività statunitensi. Al momento, il segnale che arriva dai mercati è la richiesta di tassi di interesse più alti per finanziare un deficit che promette di allargarsi.

Il costo netto del disegno di legge fa tremare i polsi. A fare i conti ci hanno pensato la Tax Foundation e il non-partisan Committee for a responsible budget, di cui fanno parte ex presidenti delle commissioni Bilancio della Camera e del Senato e del Congressional Budget Office. La prima ha calcolato che le disposizioni fiscali passate alla Camera, mirate a non far scadere tra il resto il taglio di cinque aliquote fiscali sui redditi su sette, la deduzione del 20% per i redditi che i proprietari di alcuni tipi di società inseriscono nella propria dichiarazione, la riduzione dell’addizionale pagata dai contribuenti ad alto reddito e il raddoppio della soglia di esenzione sotto la quale non si applica l’imposta sulle successioni e donazioni, ridurrebbero le entrate fiscali federali di 4,1 trilioni di dollari al 2034. Tenendo conto della piccola spinta alla crescita, il “buco” si ridimensiona a 3.300 miliardi, ma al netto degli oneri connessi all’aumento degli interessi sul debito.

L’obiettivo dello speaker della Camera Mike Johnson è arrivare entro fine maggio all’approvazione del pacchetto di “riconciliazione” del testo della Camera con quello del Senato, che prevede come compensazione riduzioni del deficit molto più contenute. Stando ai calcoli del Committee for a responsible budget, questa seconda versione farebbe salire il deficit addirittura di 5.800 miliardi in un decennio, che salgono a 6.900 considerando il maggior esborso per interessi. Cifre che mettono in difficoltà anche l’ala conservatrice dei repubblicani, che venerdì scorso ha votato contro l’avanzamento del pacchetto in cui sono stati inseriti anche finanziamenti per l’applicazione delle leggi sull’immigrazione e altre priorità legislative di Trump. Domenica, con una maggioranza risicata, si è arrivati a un compromesso. Ma il nodo resta. Per compensare le maggiori spese sono stati ipotizzati pesanti tagli a Medicaid, al programma Snap, quello che fornisce alle famiglie indigenti buoni alimentari per l’acquisto di cibo, e ai crediti di imposta per l’energia pulita. Secondo i “falchi” i risparmi dovrebbero essere ben più corposi, mentre per i repubblicani provenienti da Stati in cui una fetta importante di popolazione programma sanitario federale le sforbiciate sono indigeribili.

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In questo quadro, dal mercato dei bond sta arrivando un avvertimento chiaro: senza interventi che mettano la spesa su un sentiero sostenibile gli investitori continueranno a scaricare titoli di Stato statunitensi. C’è chi vede un parallelo con il 1993, all’inizio della prima presidenza Clinton, quando il timore delle mosse dei cosiddetti “bond vigilantes” costrinse l’amministrazione a rivedere l’agenda economica e ridurre la spesa per contenere il deficit. All’epoca peraltro il rapporto debito/pil statunitense era al 50%, oggi ha superato il 120%, il che rende la pressione sulla Casa Bianca e sul Congresso assai più convincente.



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