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Bioeconomia circolare, il Trentino guida la sfida della sostenibilità


Il Trentino si conferma protagonista della transizione ecologica grazie a un ecosistema territoriale che ha puntato con decisione sulla bioeconomia circolare. Durante il Festival dell’Economia di Trento, la Fondazione Edmund Mach (FEM) ha organizzato un incontro per analizzare opportunità e criticità di questo paradigma produttivo, sempre più strategico a livello nazionale e internazionale. Al centro del dibattito, la sinergia tra enti pubblici, mondo accademico e settore agroindustriale, ma anche le sfide strutturali da affrontare per rendere il modello sostenibile e replicabile.

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L’economia circolare applicata alla bioeconomia rappresenta un sistema virtuoso capace di trasformare scarti e sottoprodotti in risorse. In Trentino, questa filosofia è già realtà grazie al lavoro di FEM, che da anni promuove progetti di ricerca su scala locale, e al coinvolgimento attivo di consorzi e imprese del comparto agricolo, agroalimentare e forestale. Tuttavia, è necessario migliorare l’interconnessione tra filiere, coinvolgendo anche le piccole realtà montane, spesso escluse da processi innovativi per mancanza di risorse.

Durante l’incontro alla Fondazione Caritro, moderato da Antonio Larizza de Il Sole 24 Ore, sono intervenuti esperti del settore come Mario Bonaccorso (Cluster SPRING), Diana Lenzi (Farming for Future Foundation), Raffaele Farella (MEF) e Silvia Silvestri (FEM). Ciascuno ha portato un contributo tecnico e istituzionale, delineando i contorni di un ecosistema economico e sociale resiliente, fondato sull’uso di risorse biologiche rinnovabili e sul recupero dei residui di lavorazione.

Bonaccorso ha ricordato come la bioeconomia abbia raggiunto in Italia nel 2023 un valore di 437,5 miliardi di euro, con circa 2 milioni di occupati, e ha sottolineato l’importanza di un quadro normativo stabile e coerente per sostenere gli investimenti in questo ambito. “La bioeconomia – ha spiegato – non è solo uno strumento di sviluppo, ma anche un presidio strategico contro il cambiamento climatico e per l’autonomia energetica nazionale”.

Diana Lenzi ha evidenziato le difficoltà per le imprese agricole nel sostenere gli investimenti necessari a implementare un modello circolare moderno, mentre Farella ha rimarcato come la bioeconomia non sia ancora pienamente riconosciuta come ambito di policy specifica. I suoi strumenti, infatti, sono ancora dispersi in molteplici programmi di sostegno allo sviluppo sostenibile, senza un’adeguata valorizzazione economica.

Dal punto di vista operativo, FEM sta lavorando su un modello di bioeconomia locale integrato, che unisce la produzione di energia rinnovabile al recupero di sostanze organiche per mantenere la fertilità dei suoli, ridurre l’uso di fertilizzanti chimici e valorizzare gli ecosistemi. Silvia Silvestri ha illustrato come la fondazione stia mappando le aziende agricole e della trasformazione, stimando il potenziale delle biomasse residuali, le loro capacità energetiche e il contenuto di nutrienti riutilizzabili come l’azoto e il fosforo, con l’obiettivo di ridurre l’impatto ambientale e proteggere suolo e risorse idriche.

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La bioeconomia circolare si configura così come un’opportunità concreta di sviluppo territoriale, una leva per accrescere la competitività dei territori attraverso l’innovazione e la sostenibilità, che richiede però una governance più integrata e investimenti strutturati nella formazione. Solo così si potrà garantire una vera transizione verde, inclusiva e replicabile anche nei contesti più marginali.





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