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EPR tessili sia anche strumento di politica industriale


Parliamo di responsabilità estesa del produttore per i prodotti tessili con Francesco Marini, presidente della sezione Sistema moda di Confindustria Toscana Nord, uno dei protagonisti della filiera tessile nazionale.

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Abbiamo una norma europea – grazie all’aggiornamento della direttiva quadro sui rifiuti – e una bozza di decreto nazionale. Partiamo dall’Europa: vi convince la definizione del perimetro di prodotti da sottoporre a regime EPR?

Per quanto riguarda i prodotti, come era lecito attendersi, sono compresi i capi di abbigliamento nonché i tessili per la casa; questi costituiscono la netta maggioranza dei rifiuti tessili urbani per cui è una scelta logica. Comprensibili anche alcune esclusioni, ad esempio i rifiuti sanitari, che è opportuno seguano altre vie.

Commissione, Parlamento e Consiglio hanno deciso che “i prodotti tessili usati raccolti separatamente sono considerati rifiuti al momento della raccolta”. Condividete la scelta?

Quando si ha a che fare con materiali post-consumo è normale che in via generale si considerino “rifiuto”: ma questo non toglie che con “semplici” operazioni, come ad esempio un controllo visivo, svolte da personale esperto, il prodotto idoneo sia indirizzato al riuso. Sono ipotizzabili deroghe in particolari condizioni sempre nell’ottica di favorire il riuso.

Non sono previste esenzioni per le microimprese: che ne dite?

Il soddisfacimento degli “obblighi” in capo alle imprese classificate come “produttori” può essere garantito con l’adesione a un Consorzio di produttori dettagliando l’immesso al consumo; in linea generale pensiamo possa essere assolto anche da imprese meno strutturate. Certamente sarà necessario monitorare l’applicazione sul campo.

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Nella normativa europea non sono indicati obiettivi vincolanti: secondo voi questo può essere un limite?

Per fissare obiettivi servono dati di partenza certi. Probabilmente si vuole avere il tempo di fare una ricognizione puntuale sul reale immesso al consumo e sui quantitativi delle raccolte differenziate che, a livello europeo, sono diventate obbligatorie dal gennaio di quest’anno. Il nostro auspicio è comunque che si operi sulla base di una sana ambizione di migliorare non solo le quantità di rifiuti tessili raccolti separatamente, ma anche le quantità dei materiali indirizzati poi, in maniera sostenibile e profittevole, al riuso e al riciclo. Gli obiettivi devono essere sfidanti ma accompagnati dai giusti investimenti in ricerca e infrastrutturazione dei processi di selezione e di riciclo e da adeguati incentivi. Solo così si potrà garantire lo sviluppo dell’industria del reimpiego, senza la quale – siamo realistici! – i materiali, per quanto ben selezionati, non troveranno impieghi in processi industriali.

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Vi soddisfano le norme sul coinvolgimento delle piattaforme di e-commerce?

È necessario che le norme si adeguino ai reali canali di vendita: è quindi necessario che, qualunque sia il percorso che segue il prodotto, una volta che questo arriva al consumatore sia “coperto” dal contributo che servirà a gestire le fasi del suo fine vita. In questo senso anche le piattaforme dovrebbero essere coinvolte nella verifica del rispetto delle norme da parte di chi le usa per distribuire i propri prodotti tessili.

E quelle sul fast fashion?

Sappiamo che il fast fashion non è il modello economico più sostenibile dal punto di vista ambientale e che, in generale, è urgente affermare criteri di ecodesign. L’introduzione dell’ecocontributo può essere un incentivo importante a regolare la produzione ma sarà tanto più efficace quanto più sarà modulato tenendo conto ad esempio del contenuto di riciclato e della riciclabilità del prodotto immesso al consumo o della natura della fibra. Finché invece il contributo sarà piatto (uguale per tutti i prodotti), o comunque non penalizzerà i prodotti meno sostenibili, allora non avremo benefici da questo punto di vista.

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L’ecocontributo andrà versato nel Paese “per i prodotti che il produttore mette a disposizione nel territorio di uno Stato membro in cui tali prodotti possono diventare rifiuti”. Che ne pensate?

È una scelta che ha la sua logica: il contributo copre, tra l’altro, i costi di gestione del fine vita del prodotto, quindi è normale che si cerchi di incassarlo là dove si dovrà gestire il rifiuto. L’importante è evitare la duplicazione dei costi e far sì che il contributo vada dove effettivamente si gestisce il rifiuto.

La nuova direttiva riserva grande attenzione alle imprese sociali. Vi convince questo punto di vista?

Le imprese sociali rappresentano una realtà nel mondo della raccolta degli abiti usati e non devono essere penalizzate, come peraltro le altre realtà già consolidate ed efficienti che operano nel settore. Ovviamente laddove operano in concorrenza con imprese di natura commerciale dovranno anche loro adeguarsi al dettato normativo. L’EPR non deve essere applicato in maniera “punitiva” per nessuno, ma deve incentivare gli sforzi di tutti per una maggiore efficacia del sistema nel suo complesso.

L’EPR europeo prevede la possibilità di ‘consorzi’ (Product Responsibility Organization) pubblici. Che idea vi siete fatti di questa possibilità?

È un tema interessante. Pensare che in alcuni paesi europei ci sia un “Consorzio di stato” e negli altri tutto sia lasciato al libero mercato fa nascere qualche perplessità circa l’omogeneità dell’applicazione dell’EPR in Europa. Il rischio che un sistema paese crei condizioni di favore grazie all’impegno pubblico potrebbe concretizzarsi. A nostro modo di vedere dovranno affermarsi delle economie di scala e quindi andrà trovato un equilibrio nell’ambito della libera concorrenza tra sistemi consortili. Detto questo, ci pare tutt’altro che insensato il fatto che un governo nazionale, verificata la consistenza e le caratteristiche strutturali del proprio sistema produttivo tessile, cerchi di declinare l’EPR, nell’ambito della cornice fissata dalla Comunità Europea, in modo da favorire lo sviluppo sostenibile di quelle filiere produttive. Immaginiamo che ciò avvenga con l’opportuna declinazione delle regole piuttosto che con un impegno diretto ed è ciò che auspichiamo avvenga in Italia. Il sistema manifatturiero tessile nazionale rappresenta un unicum a livello europeo: le nostre PMI impegnate nella fabbricazione di prodotti intermedi come filati e tessuti non corrispondono alla definizione di “produttore” che l’Europa si è data. È giusto e auspicabile che il nostro Governo, nel momento in cui legifererà sull’introduzione dell’EPR tessile, tenga conto di questa caratteristica e valorizzi il contributo che queste imprese manifatturiere possono dare al corretto funzionamento del sistema. In caso contrario potrebbero invece crearsi difficoltà per una filiera già abbastanza sotto stress.

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Essendo una direttiva lo strumento legislativo scelto, secondo voi verrà garantita una sufficiente omogeneità tra i Paesi? Oppure si corrono rischi legati a un eventuale diverso recepimento?

Il nostro auspicio è che, nell’ambito della cornice di regole definite a livello europeo, ci sia la capacità del nostro Governo di capire la portata che l’introduzione dell’EPR può avere sulla filiera; di avere la consapevolezza, in sostanza, che sia uno strumento di politica ambientale ma anche di politica industriale. Il fine ultimo di tutti i suggerimenti e le prese di posizione che il distretto tessile pratese ha cercato di affermare da 3 anni a questa parte è, ci sembra, molto chiaro: valorizzare il sistema produttivo nazionale facendo sì che oltre alle storiche capacità di selezione e avvio al riuso, si rafforzino e si sviluppino nuove economie legate al riciclo, un po’ come successo con gli imballaggi. Non dobbiamo quindi temere il fatto che i governi abbiano un minimo di discrezionalità, ma dobbiamo vigilare su come la useranno.

Cosa potrebbe essere migliorato nella direttiva?

A nostro modo di vedere c’è un errore di fondo: non si è valutata con la dovuta attenzione la peculiarità della filiera tessile. Le caratteristiche di sostenibilità di un prodotto tessile dipendono molto, per non dire quasi totalmente, dai suoi componenti e quindi dalle competenze di chi materialmente li fabbrica e prima ancora li progetta. Queste aziende, come spiegavo sopra, non sono necessariamente – anzi, non sono quasi mai – coincidenti con chi appone il proprio nome sul prodotto finito ed è quindi identificato dalla Direttiva come “produttore”. La grave mancanza della direttiva è non avere previsto in maniera esplicita che le imprese che producono semilavorati (filati e tessuti) o che conferiscono loro caratteristiche particolari (come le rifinizioni) possano partecipare attivamene ai Consorzi dei produttori. Eppure queste organizzazioni hanno fra le loro finalità anche quella di intervenire sulle specifiche della selezione, orientare gli investimenti in ricerca e formazione, decidere le modalità di applicazione del contributo sulla base degli impatti del prodotto ecc. A livello nazionale, grazie anche all’impegno di Confindustria Moda e di Confindustria nazionale, riusciremo forse a colmare questa lacuna.

A quali condizioni il combinato disposto di regolamento Ecodesign ed EPR (l’eco contributo verrà modulato in base alle indicazioni per i prodotti tessili che arriveranno dal regolamento) potrà essere efficace dal punto di vista ambientale ed industriale?

Faccio solo un esempio: l’ecodesign molto probabilmente prevederà l’obbligo, ove tecnicamente possibile, di avere la presenza di una certa percentuale di fibre riciclate nel prodotto tessile: l’EPR dovrà favorire le condizioni perché quel materiale riciclato sia rintracciabile sul mercato europeo e quindi incentivare lo sviluppo e l’implementazione di quelle filiere che potranno migliorarne le performance ambientali. Almeno, questo è il nostro auspicio.

Il testo per l’EPR predisposto dal ministero dell’Ambiente vi sembra in linea con le previsioni della direttiva?

Se ci fosse una Direttiva pubblicata sarebbe più facile rispondere: ma quello che è certo è che esiste una procedura di confronto tra Governo nazionale ed europeo che dovrebbe impedire disallineamenti sostanziali.

A differenza della direttiva, il legislatore italiano fissa degli obiettivi. Condividete la scelta?

Come detto, noi auspichiamo il raggiungimento di obiettivi significativi non solo nella raccolta differenziata ma anche nell’invio al riuso e al riciclo. Confidiamo che ci siano prestissimo le condizioni per fissare anche questi obiettivi.

Il decreto stabilisce anche una disciplina di base per le PRO. È secondo voi una scelta corretta?

Anche in questo caso riteniamo giusto che tutti i vari consorzi si misurino sul campo con regole certe ed uguali: pensi che noi avremmo visto con favore un vero Statuto Tipo per i consorzi e non solo una serie di principi come indicato dalla bozza in discussione.

Nel decreto vi sembra sufficientemente chiara la distinzione tra prodotti per il second hand e prodotti per il riciclo/smaltimento?

Non è il decreto che introduce l’EPR tessile a dover definire cosa è destinato al riuso e cosa al riciclo o cosa significa riuso e cosa significa riciclo. La gerarchia dei rifiuti è chiara: la prima opzione è il riuso e a seguire viene il riciclo. L’importante è trovare gli equilibri ambientali ed economici che rendano sostenibile il sistema e soprattutto – voglio essere chiaro su questo – creare le condizioni per sviluppare processi industriali che riescano a usare i prodotti tessili selezionati che non saranno riutilizzati tal quali. La vera sfida è questa, altrimenti una grande parte dei materiali che pure avremo raccolto in modo separato, finirà poi alla termovalorizzazione. Badate bene: non è mia intenzione demonizzare il recupero energetico, tutt’altro; spero però che l’EPR sia uno strumento utile a sviluppare vecchi e nuovi cicli produttivi, così da creare posti di lavoro in un’economia più sostenibile.

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Foto: Canva

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Il ministero chiarisce sufficientemente come dovrà avvenire il coordinamento tra le raccolte previste e gestite dagli schemi collettivi e la raccolta da parte dei gestori del servizio urbano?

È difficile pensare che tutto possa essere stabilito puntualmente dal decreto. Mi pare importante il ruolo che viene dato al Centro di coordinamento: sarà importante dotare quell’istituto delle capacità e delle risorse adeguate a far funzionare il sistema.

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