Per la Germania è finita un’epoca, però per far ripartire l’economia non riparte certo da zero. Tuttavia nessuna economia dei Paesi europei riuscirà a farcela da sola. L’economia di scala è tutto in questa fase di competizione tecnologica, “occorrono enormi investimenti, occorre muoversi in una logica di maggiore centralizzazione seguire la via del finanziamento centralizzato con gli eurobond costituirebbe un ovvio vantaggio”.
Per la Germania è finita un’epoca, però per far ripartire l’economia non riparte certo da zero. Tuttavia nessuna economia dei paesi europei riuscirà a farcela da sola. L’economia di scala è tutto in questa fase di competizione tecnologica, “occorrono enormi investimenti, occorre muoversi in una logica di maggiore centralizzazione seguire la via del finanziamento centralizzato con gli eurobond costituirebbe un ovvio vantaggio”. L’economista americano Michael Spence (Premio Nobel 2001) non è davvero pessimista sulla possibilità per la Germania e per la stessa Unione europea di trovare le giuste soluzioni per superare lo stallo economico e politico in cui si trova. Al Festival dell’economia organizzato dal Gruppo 24 Ore a Trento, Spence da un lato ritiene che da Trump “possiamo aspettarci solo incertezza”, tuttavia invita a non esagerare sull’”impatto catastrofico” delle sue politiche: “ci sarà un rallentamento globale, ma l’economia americana rappresenta il 25% dell’economia mondiale, il resto dell’economia, dai paesi emergenti all’Europa, è resiliente”.
Può sorprendere uno sprazzo di ottimismo sulla capacità europea di far fronte all’incertezza geopolitica ed economica nel momento in cui l’indice Pmi flash di S&P Global rileva che l’attività nel settore privato dell’area euro si è contratta per la prima volta da cinque mesi, e – qualche giorno fa – la Commissione europea certifica una riduzione marcata delle previsioni di crescita (ridotta a 0,9% quest’anno e all’1,4% l’anno prossimo con la Germania a quota 0 dopo due anni di recessione). Tuttavia l’economista americano invita a osservare la situazione con uno sguardo non schiacciato sull’immediato. Dagli Stati Uniti non ci si può che aspettare incertezza nel breve periodo, sostiene Spence: “Ha annunciato il ‘liberation day’ e dopo due giorni ha sospeso alcuni dazi perché il mercato obbligazionario era impazzito diventando quasi illiquido e questa sì che si configurerebbe come una catastrofe per il sistema finanziario. Ora siamo in una fase nella quale si parla di accordi bilaterali”. A Il Sole 24 Ore Radiocor Spence aggiunge: “Trump può ignorare tutto, ma non i mercati finanziari”. Quanto alle discussioni a livello del G7, alle prospettive di un deprezzamento del dollaro per forzare una espansione delle esportazioni, dice di non vedere “possibilità di un accordo globale sul livello del dollaro, semplicemente non ve ne sono le condizioni”.
Come andrà non si sa. La cosa certa è che “agli occhi di molti gli Stati Uniti sono diventati un alleato sempre meno prevedibile e affidabile e la conclusione attualmente è che ciò non cambierà per cui ci saranno tanti cambiamenti nelle politiche che saranno sempre più all’insegna dell’autosufficienza in Europa, per quanto riguarda la difesa è un cambiamento già in atto basta vedere ciò che è stato deciso in Germania”.
Spence si riferisce ai piani di spesa per difesa e sicurezza come a quelli per gli investimenti infrastrutturali, il tutto sostenuto dal superamento del freno al debito interno: “Sono cambiamenti costosi per la Germania all’inizio però il beneficio sarà avvertito nel medio periodo”. Per il Premio Nobel per l’economia (preso con i colleghi Stiglitz e Akerlof per le loro analisi dei mercati con informazione asimmetrica) l’effetto della politica commerciale di Trump “sarà più grande per gli Stati Uniti” tuttavia “non è che Europa e i paesi emergenti smettano di fare scambi commerciali, è possibile che sia gli Usa che gli altri paesi stiano sovrastimando l’impatto delle politiche americane, ci sarà certo un rallentamento nell’economia americana e a livello globale, inevitabile, ma l’effetto generale non sarà catastrofico”.
I rischi non vanno presi sottogamba, però: Spence ritiene il percorso di bilancio americano un fattore da tenere sotto stretta sorveglianza: è “poco sostenibile, il deficit pubblico aumenta e “Trump non migliorerà le cose”, il debito sovrano al 125% del pil “sta arrivando in territorio italiano” (nel 2025 previsto in aumento al 136,7% del pil dalla Commissione europea), i tassi di interesse sono elevati e poi “la perdita di credibilità del dollaro come valuta di riserva che implica meno investimenti in quella valuta: è un cambiamento pericoloso”. Di più: Spence riporta che gli è stato chiesto se tale situazione debba essere presa con serietà: “Secondo me sì, nei mercati finanziari possono verificarsi convulsioni e se sarà così ci saranno correzioni a metà tragitto, la situazione non è favorevole”.
Sulla Germania Spence ritiene che certo l’economia ristagna, tuttavia non deve essere sottovalutato che negli ultimi anni “è riuscita a muoversi in settori innovativi ad alto valore aggiunto dopo aver spostato le attività a basso valore aggiunto nell’Europa orientale: il modello ha funzionato”. Per quanto l’economia tedesca sia alle prese con diversi problemi strutturali, dalla diversificazione delle forniture energetiche per le quali “c’è un grosso problema” all’esposizione pesante all’export, “è sempre una potenza industriale, una locomotiva e, quanto all’evoluzione digitale sono ottimista sulla sua capacità, come della capacità europea, di colmare lo svantaggio competitivo” rispetto a Usa e Cina. “Attualmente ci sono grandi attori che operano nell’open source, proliferano i piccoli modelli che sono meno costosi, sono disponibili e sono convinto che l’Europa riuscirà a migliorare la sua presenza, servirà per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, serviranno data center, cloud pubblici”.
Spence ritiene necessario lasciare alle spalle l’illusione che si tratti di processi in cui ogni paese pensa a sé: “Agire individualmente, paese per paese è un errore, la Ue è un’economia enorme, ha bisogno di un mercato dei capitali favorevole all’investimento (venture capital), bisogna far leva sulla dimensione di scala che l’Europa offre ed è una illusione pensare che la Germania da sola possa risolvere il problema. La direzione è quella indicata da Draghi e Letta nei loro rapporti e ora dipende solo dagli europei sapendo che le necessità di capitale sono molto grandi, che prima di avere un buon ritorno dall’investimento passa del tempo e che all’inizio occorre avere a disposizione molto denaro. L’economia di scala è tutto in questa fase di competizione tecnologica”.
In Europa, questa la conclusione dell’economista americano, “occorre muoversi in una logica di maggiore centralizzazione, un quadro in cui gli eurobond costituirebbero un ovvio vantaggio”. Che questo porti a una “difesa centralizzata” non è realistico pensarlo, dice Spence, “siamo in una fase in cui l’obiettivo è un coordinamento efficace”. Il finanziamento, tuttavia, “deve essere centrale perché meno costoso, trasformerebbe l’euro in una valuta di riserva” perché questa può esistere solo se c’è un mercato del debito corrispondente e “a quel punto può essere forte abbastanza per affrontare qualsiasi difficoltà nel sistema finanziario e questa è una scelta politica”.
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