Assistenza per i sovraindebitati

Saldo e stralcio

 

Giorgio Mulè: «Serve una visione per l’Italia che vuole crescere e innovare»


(Intervista di Ilaria Donatio pubblicata su L’Economista, inserto de Il Riformista)

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 

Giorgio Mulè – vicepresidente della Camera, deputato di Forza Italia e giornalista – osserva da una posizione privilegiata i cambiamenti profondi che stanno attraversando l’economia, la politica industriale e la comunicazione italiana. In questa lunga conversazione con L’Economista, affronta temi cruciali: transizione digitale ed energetica, produttività, intelligenza artificiale, ruolo dello Stato e futuro dei media. Ne emerge una visione netta: «Servono meno ideologie e più pragmatismo». E una linea guida: modernizzare, non improvvisare.

L’economia italiana ha mostrato segnali di tenuta. Dove vede oggi le vere priorità della politica economica?

«La priorità è la capacità di trasformarsi e adattarsi ai tempi. Ogni rivoluzione industriale porta con sé un cambiamento di approccio, e quella in corso non fa eccezione. Siamo nel pieno della quarta, forse quinta rivoluzione industriale. Prendiamo l’automotive: la transizione ecologica e quella digitale stanno cambiando tutto. Il modello fordista non regge più. Serve un riadattamento continuo, come avviene in Germania, dove le competenze dell’automotive sono state convertite anche per la sicurezza e la difesa. Dall’altra parte, una politica economica moderna deve puntare sulla digitalizzazione dei servizi pubblici, sulla connessione dei territori e sulla capacità di formare nuove competenze. Serve un Paese che sappia guardare oltre i settori tradizionali, pur valorizzandoli: turismo, manifattura, agricoltura. Il turismo, per esempio, vale oltre l’11% del nostro Pil e deve essere rilanciato attraverso una modernizzazione diffusa delle infrastrutture fisiche e digitali, nelle città come nei borghi. Bisogna investire anche nella bellezza, nella cultura e nell’accoglienza, rendendo l’Italia sempre più attrattiva per un turismo globale che cambia».

L’inflazione cala ma i tassi restano alti. Crede che la BCE debba muoversi con più decisione per sostenere la ripresa

«Chi si ferma sul calo dei tassi è perduto. Un taglio deciso è un volano per l’economia: sblocca investimenti immobiliari e dà ossigeno alle PMI. La cautela della BCE è stata penalizzante, ora rischia di diventare atrofizzante. Serve una politica monetaria coraggiosa, per stimolare i consumi e contrastare eventuali fiammate inflazionistiche future. E serve farlo in fretta: se l’Europa resta indietro rispetto a Stati Uniti e Regno Unito, il rischio è che le imprese si dislochino dove il credito è più favorevole».

Investi nel futuro

scopri le aste immobiliari

 

Pnrr: occasione irripetibile, ma anche corsa contro il tempo. Ce la faremo?

«Il Pnrr ha una scadenza inderogabile: 2026. Non ci saranno tempi supplementari. Finora l’Italia ha rispettato tutte le scadenze, ma il problema vero è il contesto. La transizione energetica, così come impostata dall’Europa, è stata troppo affrettata. Il Green Deal, per tempi e modalità, è stato mortificante per le nostre imprese. Serve più tempo per adeguarsi, altrimenti si rischia di uccidere settori vitali della nostra economia. Ecco perché è necessario non solo spendere bene e in fretta le risorse del PNRR, ma anche negoziare in Europa una maggiore flessibilità sugli obiettivi legati alla transizione energetica. L’Italia può fare da apripista, ma non può farlo sola e in corsa, senza paracadute».

L’occupazione cresce, ma la produttività resta ferma. Come si colma questo gap?

«Con incentivi alla produttività, non con misure ideologiche. Forza Italia da sempre sostiene la partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa. Parliamo di salari più alti legati ai risultati. Le proposte di riduzione dell’orario di lavoro – 32, 30, perfino 26 ore – sono utopie dannose. E il salario minimo? È una falsa soluzione: abbassa l’asticella, mortifica i contratti collettivi e blocca il merito. Il nostro sistema, con oltre 1000 contratti e il 95% dei lavoratori coperti, è tra i migliori in Europa. Incentivare la produttività significa anche intervenire sul cuneo fiscale, premiando chi investe sul capitale umano. E significa aiutare le imprese a digitalizzarsi, con una strategia organica e accessibile, senza ostacoli burocratici».

Il governo ha rilanciato la politica industriale. Ma c’è davvero una visione?

«Una politica industriale che si limiti a incentivi settoriali è drogata e miope. Gli incentivi vanno usati solo per crisi gravi o per stimolare consumi mirati. La visione strategica vera guarda a un’Italia hub energetico del Mediterraneo e del Nord Europa, snodo logistico e portuale avanzato, e polo tecnologico avanzato. Tutto deve ruotare attorno alla digitalizzazione e alla transizione ecologica, ma con pragmatismo e senso della realtà. Serve una politica industriale che non corregga solo gli squilibri, ma li prevenga. Che favorisca i distretti produttivi, l’internazionalizzazione, le filiere strategiche. E che ascolti le imprese, invece di soffocarle con norme e cambi continui».

Dal Superbonus agli extraprofitti: come giudica il rapporto tra Stato e impresa oggi?

«Il superbonus è stato un disastro gestionale che ha aperto una voragine nei conti pubblici. Pagheremo il conto per i prossimi dodici anni. Gli extraprofitti, invece, sono un concetto vecchio, da economia di inizio Novecento. Il profitto non va punito: è il risultato della capacità produttiva, già tassata. Mettere un tetto al profitto è illiberale e controproducente. Bisogna semplificare, non zavorrare le imprese. Forza Italia propone di tagliare ogni anno il 20-30% delle normative che ostacolano la competitività. E serve anche un nuovo patto fiscale, basato sulla fiducia e sulla trasparenza. Lo Stato deve essere un facilitatore, non un antagonista. Serve meno burocrazia, più digitalizzazione, un fisco moderno e meno invasivo».

Sconto crediti fiscali

Finanziamenti e contributi

 

Il settore agricolo è sempre più esposto a eventi estremi. Che ruolo può avere linnovazione – anche spaziale – nella sua protezione e modernizzazione?

«Un ruolo fondamentale. Le tecnologie spaziali servono già oggi all’agricoltura, con strumenti che monitorano la produttività e le condizioni climatiche. Ma servono anche per la sicurezza nazionale, per la velocità di comunicazione, per colmare i divari infrastrutturali interni. Chi non investe nello spazio si condanna all’arretratezza. Ecco perché serve una strategia nazionale sull’aerospazio, che metta insieme imprese, università, istituzioni e territori».

Quanto è strategico sviluppare capacità autonome europee di monitoraggio spaziale?

«Occorre innanzitutto sovranità tecnologica. L’Italia deve dotarsi di sistemi autonomi di controllo e backup. Ma è auspicabile anche una condivisione a livello europeo: come con i vaccini, l’unione fa la forza e abbatte i costi. Satelli comuni per una difesa comune. Un progetto europeo che consolidi i nostri valori. La difesa passa anche da qui: da una capacità di osservare, prevenire, rispondere. E farlo con strumenti propri».

Da giornalista, ex direttore di Panorama, come vede il futuro dei media?

«La TV generalista deve cambiare pelle. Le piattaforme digitali stanno trasformando le abitudini dei cittadini e l’informazione va ripensata. I talk show autoreferenziali sono al tramonto. Il pubblico vuole partecipare, interagire. Bisogna trovare nuovi modelli che uniscano autorevolezza e coinvolgimento. L’intelligenza artificiale è la prossima svolta, come lo fu Internet. Chi non si adatta sparisce. I media devono investire nella credibilità, nella formazione dei giornalisti, nella verifica dei fatti. Ma anche nella creatività, perché l’informazione non è solo contenuto: è anche forma, linguaggio, accessibilità. Bisogna comunicare dove sta il pubblico, e nel modo in cui il pubblico si aspetta».

Il giornalismo può ancora costruire l’opinione pubblica?

Vuoi bloccare la procedura esecutiva?

richiedi il saldo e stralcio

 

«Solo se è indipendente e innovativo. Il giornalismo non deve essere riconoscibile per le opinioni, ma per la qualità delle notizie. Deve essere fondato sul dubbio, non sulla militanza. Oggi troppe figure televisive sono megafoni politici. Così si perde credibilità e si allontana il pubblico. Serve un giornalismo che informi, non che confermi. Solo così si resta indispensabili alla democrazia. Un Paese senza giornalismo libero è un Paese più debole. E il giornalismo sarà forte solo se saprà essere rigoroso, curioso, aperto. Solo se saprà tornare a fare domande, anche scomode. Perché l’informazione è il primo presidio contro ogni autoritarismo».







Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link

Dilazioni debiti fiscali

Assistenza fiscale