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Fisco digitale, ma a senso unico: cittadini sorvegliati, evasori protetti


Il paradosso della semplificazione che non semplifica: tutti i buchi del sistema.

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La narrazione ufficiale è rassicurante: un fisco più digitale sarà un fisco più semplice, più equo, più trasparente. Ma sotto la superficie luccicante della modernizzazione tecnologica, il cittadino scopre una realtà molto più ambigua: da una parte l’occhio del Fisco si fa onnipresente per chi vive alla luce del sole, dall’altra continua a non vedere (o a non voler vedere) chi si muove nell’ombra. Il risultato è un sistema che rischia di punire i contribuenti onesti con la scusa della lotta all’evasione, mentre gli evasori seriali trovano ancora comode vie di fuga.

Nel 2024, il recupero dell’evasione fiscale ha raggiunto la cifra record di 26,3 miliardi di euro, secondo quanto comunicato dal Ministero dell’Economia. Ma – ed è un “ma” enorme – come ha spiegato il viceministro Maurizio Leo in audizione alla Camera, oltre l’80% di quel gettito arriva da attività ordinarie e accertamenti tradizionali, non dalla grande rivoluzione digitale.

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Fattura elettronica e dichiarazione precompilata: la trappola della “semplificazione”

Due sono i pilastri della digitalizzazione fiscale in Italia: la fatturazione elettronica, introdotta nel 2019, e la dichiarazione precompilata, resa obbligatoria per molte categorie di contribuenti. Entrambe le misure, a parole, servono a ridurre gli oneri burocratici e a rendere il sistema più efficiente.

Ma in pratica? La precompilata è una semplificazione solo per l’Agenzia delle Entrate, non per il contribuente”, ha dichiarato il tributarista Gianni De Luca. Gli errori nei dati inseriti automaticamente – da spese sanitarie mancanti ad affitti registrati male – sono frequenti. Chi si fida e invia la dichiarazione così com’è, rischia sanzioni. Chi vuole correggere, si trova invischiato in un labirinto burocratico.

Nel frattempo, la fattura elettronica ha reso ogni operazione perfettamente tracciabile. Ma chi opera nel sommerso – dalle false cooperative alle micro-imprese che lavorano solo in contanti – resta largamente fuori dal radar.

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Il paradosso dell’intelligenza artificiale

Nel 2025 l’Agenzia delle Entrate ha annunciato l’utilizzo dell’intelligenza artificiale per incrociare dati patrimoniali, movimenti bancari, consumi e redditi dichiarati, generando profili di rischio personalizzati. Ma se da un lato l’uso dell’IA può rendere più efficienti i controlli, dall’altro solleva dubbi profondi.

Il Garante per la privacy ha già lanciato un’allerta. “L’automazione non può giustificare la cecità verso i diritti”, ha dichiarato la vicepresidente Ginevra Cerrina Feroni durante il convegno dell’Osservatorio Privacy Fiscale. La criticità maggiore? La mancanza di trasparenza sugli algoritmi utilizzati, spesso vere e proprie “black box” che non permettono al contribuente di capire su quali basi venga classificato come sospetto.

A questo si aggiunge un elemento inquietante: le AI imparano da dati passati, e se i controlli pregressi hanno privilegiato categorie più facilmente raggiungibili – come i lavoratori dipendenti o i piccoli autonomi – allora il sistema rischia di replicare e amplificare le stesse distorsioni.

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Chi evade davvero?

Nel “Rapporto sul tax gap” presentato dal MEF a novembre 2024, si stima che l’evasione fiscale strutturale in Italia si aggiri ancora intorno ai 90 miliardi di euro annui, di cui oltre 30 attribuibili all’IVA non versata. I settori più a rischio? Edilizia, ristorazione, servizi alla persona.

Eppure è proprio in questi ambiti che la digitalizzazione mostra i suoi limiti. Perché, come denuncia Antonio Gigliotti, direttore di Fiscal Focus, “non basta digitalizzare i flussi: serve la volontà politica di colpire i grandi evasori, quelli che usano prestanome, false residenze, trust all’estero”. E invece, spesso, le verifiche più invasive colpiscono l’artigiano che ha dimenticato un bollettino o la famiglia che ha “speso troppo” in base al nuovo redditometro algoritmico.

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Tutto sotto controllo? Non proprio

Un esempio emblematico è la piattaforma “Spesometro integrato” lanciata nel 2023 per incrociare in tempo reale le spese con i redditi dichiarati. I dati ci sono, ma i controlli? Limitati. Il motivo? Carenza di personale e risorse. L’Agenzia delle Entrate ha subito tagli del 17% nell’organico tecnico negli ultimi cinque anni, secondo quanto riportato dalla Corte dei Conti nel referto annuale.

Così, mentre il sistema è potenzialmente in grado di scoprire anomalie sofisticate, nella pratica si concentra su “anomalie semplici”, più facili da contestare, meno costose da perseguire.

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Un sistema sbilanciato

Il risultato è un fisco che vede tutto di chi dichiara ogni euro e quasi nulla di chi si muove nel grigio o nel nero. E che, nel nome della digitalizzazione, chiede al contribuente di essere anche informatizzato, aggiornato, consapevole, paziente. Ma non tutti lo sono. E non tutti possono esserlo.

La digitalizzazione così applicata rischia di diventare un’arma spuntata contro i veri evasori, ma micidiale per chi cade in errore in buona fede.

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Un digitale a doppia velocità

Il fisco italiano sta percorrendo la strada della digitalizzazione con determinazione. Ma deve fare attenzione a non trasformare la semplificazione in un incubo burocratico e il controllo in una sorveglianza a senso unico. Serve più trasparenza, più equità, più coraggio politico per affrontare i nodi strutturali dell’evasione. Perché l’Italia digitale sarà credibile solo se saprà essere anche giusta e bilanciata. Altrimenti resterà il paradosso: i cittadini sorvegliati, gli evasori ancora protetti.



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