Il lavoro povero (e più in generale i bassi salari) e uno dei principali problemi italiani nonché un tema molto controverso nel dibattito politico, economico e sindacale del nostro Paese, in particolare sulle soluzioni da adottare. La povertà lavorativa e un fenomeno complesso – che può variare in base alla definizione e alla soglia adottata (solitamente il 60% della mediana nazionale) – ma che e comunque fondamentale esplorare nelle sue molteplici dimensioni, soprattutto nel caso italiano dove la sua incidenza e più alta rispetto alla media dell’Unione europea.
Le ricerche sul lavoro povero tendono ad analizzare le varie cause, a partire da quelle strutturali, che determinano un maggior rischio di ricadere tra i lavoratori poveri, evidenziando in particolare quelle legate alla tipologia contrattuale, al tempo di lavoro, all’inquadramento professionale, alla dimensione d’impresa, al livello di istruzione e di competenze e, infine, al territorio.
Oltre a queste, tra le cause dei bassi salari si può annoverare anche la bassa retribuzione oraria (a livello europeo si identifica con una retribuzione oraria uguale o inferiore ai due terzi della mediana nazionale) che rappresenta uno dei fattori fondamentali nella formazione del salario annuale di un lavoratore. Infatti, il salario annuale di un dipendente e il risultato della combinazione di almeno tre componenti: la retribuzione oraria, l’intensità occupazionale mensile e la durata contrattuale nell’arco dell’anno.
In continuità con una nostra precedente analisi in cui abbiamo mostrato come tra le cause dei bassi salari medi in Italia ci sia anche il ricorso al part-time, la precarietà contrattuale e la discontinuità lavorativa, l’obiettivo di questo studio e analizzare la questione salariale italiana nel 2023 (ultimo anno per il quale sono disponibili dati consolidati e comparabili a livello nazionale ed europeo), verificando l’incidenza delle basse retribuzioni orarie e valutando il ruolo del salario minimo orario.
Le cause dei bassi salari in Italia
In questo paragrafo esaminiamo i salari lordi annuali medi nel 2023 in Italia tramite un’elaborazione dei dati più recenti dell’Osservatorio INPS sui lavoratori dipendenti del settore privato, esclusi il settore agricolo e domestico (INPS, 2024a).
Si specifica che i dati INPS si riferiscono ai dipendenti con almeno una giornata retribuita nell’anno e che il lavoratore con più di ùn rapporto di lavoro viene considerato una sola volta e classificato in base al suo ultimo rapporto. Invece, il salario si riferisce alla somma di tutti i suoi rapporti di lavoro nell’anno e corrisponde all’imponibile previdenziale. Per questi motivi, il salario medio ricavato dai dati INPS non si riferisce al tempo pieno equivalente bensì rispecchia tutte le peculiarità del mercato del lavoro italiano.
Nel 2023 il salario lordo annuale medio nel settore privato, esclusi il settore agricolo e domestico, si e attestato a 23.662 euro. Si e trattato di un aumento salariale nominale medio del +3,5% rispetto al 2022, nettamente inferiore rispetto all’inflazione registrata nel 2023 (+5,9%).
Osservando il salario medio disaggregato per tipologia contrattuale (tempo indeterminato, a termine) e tempo di lavoro (full-time, part-time) emergono profonde differenze. Dalla tabella 1 si osserva come nel settore privato i lavoratori a termine e quelli a part-time abbiano guadagnato nel 2023 salari lordi annuali medi rispettivamente di 10,3 mila e 11,8 mila euro, nettamente inferiori alla media generale (23,7 mila euro).
Tabella 1 – Salario lordo annuale medio (in euro) nel settore privato (esclusi settore agricolo e domestico) per tipologia contrattuale e tempo di lavoro, 2023
Salario lordo annuale medio (in euro) |
|
Tipologia contrattuale: | |
tempo indeterminato | 28.540 |
a termine | 10.302 |
Tempo di lavoro: | |
full-time | 29.508 |
part-time | 11.785 |
Media generale | 23.662 |
Fonte: elaborazione Ufficio Economia CGIL su dati INPS
Si segnala, inoltre, che i lavoratori che cumulano le due condizioni (a termine e part-time) subiscono una doppia penalizzazione che ne abbassa ulteriormente il salario lordo annuale medio (7,1 mila euro). Quindi, il part-time e i contratti a termine, unitamente alla forte discontinuità lavorativa, determinano un complessivo abbassamento del salario lordo annuale medio.
Esaminando la distribuzione per classi di importo della retribuzione annuale si nota come nel 2023 circa 10,9 milioni di lavoratori dipendenti del settore privato (62,7%) ricada nelle classi inferiori a 25 mila euro lordi annuali (la miglior approssimazione al salario medio di 23,7 mila euro), di cùi oltre 6,2 milioni (35,7%) sotto i 15 mila euro lordi annuali.
Tabella 2 – Numero di lavoratori dipendenti del settore privato (esclusi settore agricolo e domestico) e incidenza percentuale per classe di importo del salario lordo annuale (in euro), 2023
N. lavoratori | Incidenza % | |
Fino a 5.000 euro | 2.365.869 | 13,6% |
5.000 – 9.999 euro | 1.854.854 | 10,7% |
10.000 – 14.999 euro | 1.983.830 | 11,4% |
15.000 – 19.999 euro | 2.112.080 | 12,2% |
20.000 – 24.999 euro | 2.580.758 | 14,8% |
25.000 – 29.999 euro | 2.200.327 | 12,7% |
30.000 – 34.999 euro | 1.339.561 | 7,7% |
35.000 – 39.999 euro | 815.677 | 4,7% |
40.000 – 44.999 euro | 542.666 | 3,1% |
45.000 – 49.999 euro | 372.476 | 2,1% |
50.000 – 59.999 euro | 471.548 | 2,7% |
60.000 – 79.999 euro | 402.131 | 2,3% |
80.000 euro ed oltre | 340.824 | 2,0% |
Totale | 17.382.601 | 100,0% |
Fonte: elaborazione Ufficio Economia CGIL su dati INPS
Nel 2023 l’Italia ha registrato un tasso di part-time involontario del 54,8%, il più alto dell’Eurozona ed il secondo dell’Unione europea (EUROSTAT, 2025b), e una forte discontinuità lavorativa come si evince dai dati delle Comunicazioni Obbligatorie: l’83,5% di tutti i rapporti di lavoro cessati hanno avuto una durata inferiore all’anno, di cui il 51,0% fino a 90 giorni (Ministero del Lavoro, 2024). Nel 2023 gli occupati a tempo determinato nell’intera economia hanno registrato un aumento di oltre un milione di unita rispetto al 2004 (primo anno della serie storica, v. ISTAT 2025a).
Agli elementi principali appena evidenziati che spingono in basso il salario lordo annuale medio bisogna aggiungere i pesanti ritardi nei rinnovi contrattuali, in particolare con alcune controparti datori ali, e anche ùn altro elemento che nel dibattito sulla questione salariale non e tenuto sufficientemente nella giusta considerazione: l’alta incidenza delle qualifiche più basse nel mercato del lavoro italiano.
Infatti, i dati EUROSTAT (2025c) mostrano come nel 2023 nell’ambito dell’occupazione dipendente, l’Italia abbia registrato una percentuale di dirigenti e delle professioni intellettuali e scientifiche pari al 15,8%, una quota marcatamente più bassa rispetto alla media dell’UE (26,6%). Inoltre, in Italia si osserva una quota delle professioni non qualificate del 12,4% (pari ad oltre 2,2 milioni di lavoratori dipendenti), nettamente più alta di quella registrata a livello europeo (9,3%).
Questa diversa distribuzione dell’occupazione dipendente nel mercato del lavoro italiano rappresenta una parziale spiegazione del differenziale salariale con altri Paesi europei comparabili al nostro, ma soprattutto si tratta di ùn meccanismo che dura da molto tempo e che e sempre più penalizzante, sia per i lavoratori che per l’economia italiana.
Infatti, questa maggior incidenza delle professioni più basse e lo specchio di ùn sistema produttivo fondato sulla micro e piccola impresa e su un modello di sviluppo basato sui settori a basso valore aggiunto in cui le imprese tendono a competere prevalentemente sui costi, in particolare contenendo gli inquadramenti e quindi anche i salari, anziché puntare sulla qualità della produzione.
La retribuzione oraria
Risulta evidente da quanto appena descritto, in particolare per l’anomalia degli addensamenti professionali, che per comprendere le diverse cause dei bassi salari in Italia e necessario approfondire anche la retribuzione oraria. Infatti, per inquadrare la questione salariale nella sua interezza, bisogna tener presenti tutti gli elementi più penalizzanti (contratti a termine, lavoro part-time e bassa retribuzione oraria) che spesso si combinano tra loro, determinando così salari annuali ancora più bassi.
Da una stima dell’INPS (2024b) sulle retribuzioni orarie del settore privato (esclusi settore agricolo e domestico) del mese di ottobre 2023 emerge come nei primi due decili della distribuzione si trovino circa 2,8 milioni di lavoratori dipendenti con una retribuzione oraria inferiore a 9,5 euro. Quindi, escludendo i circa 400 mila lavoratori e lavoratrici che nel mese preso in considerazione erano in maternità, malattia, cassa integrazione (cd. “eventi tutelati”) e per i quali le basse retribuzioni sono determinate da queste condizioni, ci sono circa 2,4 milioni di dipendenti con una condizione strutturale di retribuzione oraria inferiore ai 9,5 euro.
Secondo l’INPS, questo aggregato e costituito da lavoratori con caratteristiche quali apprendisti, contratti a termine, occupati nelle piccole imprese. Inoltre, i lavoratori a tempo parziale e gli stranieri hanno un’incidenza nettamente maggiore nei primi due decili rispetto al totale dei dipendenti.
L’elemento segnalato dall’INPS relativo alle piccole imprese e uno dei fattori principali ma non esaustivo. Infatti, dal rapporto ISTAT (2025b) sulla struttura delle retribuzioni in Italia – la cui popolazione di riferimento e costituita dai lavoratori dipendenti retribuiti nell’intero mese di ottobre 2022 nelle unità economiche (imprese e istituzioni pubbliche) con almeno dieci dipendenti relative ai settori del totale industria e servizi (ATECO B-S) – emerge come il 10,7% dei dipendenti (pari ad oltre 1,2 milioni) abbia una bassa retribuzione oraria, cioè uguale o inferiore ai due terzi del valore mediano nazionale (nel 2022 tale soglia corrisponde a 8,9 euro/ora). Questo rapporto dell’ISTAT e particolarmente interessante perché evidenzia come anche nelle imprese con almeno 10 dipendenti siano comunque presenti basse retribuzioni orarie e come l’incidenza dei dipendenti a bassa retribuzione oraria sia decisamente più elevata proprio tra chi esercita professioni non qualificate (33,3%).
Considerazioni conclusive
Silla base di quanto esposto, si conferma la necessita di intervenire su tutti gli elementi che concorrono all’abbassamento dei salari annuali e risulta particolarmente evidente l’importanza di una risposta rapida sul salario minimo orario che sulla base, ad esempio, della proposta presentata in Parlamento comporterebbe un immediato miglioramento della condizione economica di oltre due milioni di lavoratori dipendenti.
Con l’entrata in vigore di un provvedimento con queste caratteristiche, questi lavoratori e lavoratrici dipendenti avrebbero un immediato aumento salariale (parametrato in base alla propria condizione di partenza) che contribuirebbe, da un lato, ad un salario dignitoso e a un progressivo superamento dei bassi salari e del rischio di povertà lavorativa e, dall’altro, disincentiverebbe le imprese a continuare a competere tramite i bassi salari.
Nicolò Giangrande, Economista e Responsabile Ufficio Economia CGIL Nazionale
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