L’affermazione dell’AI come tecnologia sempre più adottata da aziende e cittadini sta ridefinendo il presente e il futuro del mondo del lavoro.
Nel settore industriale, in particolare, l’adozione crescente di sistemi basati sull’AI sta innescando una trasformazione strutturale che va ben oltre la semplice automazione dei processi. A cambiare sono le professioni, i ruoli, le mansioni e la composizione stessa forza lavoro.
Questi cambiamenti sono molto complessi e richiedono strategie strutturate di preparazione e riqualificazione della forza lavoro nonché un approccio etico all’adozione della tecnologia.
AI e futuro del lavoro: un dibattito polarizzato
Il tema dell’impatto dell’AI sul futuro del lavoro è da tempo al centro di una grande attenzione da parte di economisti, accademici, ricercatori, esperti di etica dell’AI e politici.
Il dibattito, soprattutto nel recente passato, è stato spesso caratterizzato da posizioni contrapposte e polarizzate.
Da un lato, non mancano posizioni eccessivamente ottimiste riguardo l’adattabilità del mercato del lavoro e delle società a questi trend di cambiamento. Ad esempio c’è chi ha immaginato un futuro dove grazie all’automazione avanzata l’uomo sarà libero dal lavoro e da compiti come fare la spesa o le pulizie domestiche.
Dall’altro, il dibattito è spesso caratterizzato da visioni quasi distopiche e allarmistiche – al limite della tecnofobia – che non prendono i considerazione come questo cambiamento si relaziona rispetto ad altre tendenze “disruptive” del mercato del lavoro.
Perché il mercato del lavoro non può fare a meno dell’AI
Indubbiamente l’AI può rappresentare una risposta a trend demografici che caratterizzano alcune economie. Come spiega il rapporto “Future of Jobs 2025” del World Economic Forum (WEF), nelle economie considerate “ad alto reddito”, tra cui vi è anche l’Italia, si sta registrando un progressivo calo della popolazione in età lavorativa.
L’Italia, nello specifico, rientra tra quei Paesi definiti “super aging”, che significa che circa il 20% della popolazione ha un’età uguale o superiore ai 65 anni.
Secondo uno studio di Prometeia pubblicato nell’estate del 2024, fino al 2030 l’Italia perderà in media circa 150.000 lavoratori l’anno. Una dinamica frutto dell’invecchiamento della popolazione, e quindi l’aumento della popolazione in uscita dal mercato del lavoro, che non sarà sostituita dai lavoratori in entrata.
Le tecnologie di automazione, come l’AI, possono aiutare a colmare (almeno in parte) questo divario.
Come l’AI sta trasformando il lavoro nell’industria
Il tema del ricambio generazionale è particolarmente pressante per settori, come l’industria, dove si fatica ad attirare le nuove generazioni. Ed è proprio questa difficoltà, combinata con il mismatch di competenze, a trainare l’aumento della richiesta di automazione.
L’impiego di tecnologie di automazione basate sull’AI (tradizionale e generativa) ha permesso infatti di automatizzare diversi aspetti dei processi industriali. Si pensi, ad esempio, ad applicazioni come:
- l’impiego di robot collaborativi in sostituzione dell’uomo per compiti ripetitivi e a basso valore aggiunto
- l’adozione di robot mobili autonomi (AMR) o veicoli a guida autonoma (AGV) nei processi dell’intralogistica e della logistica o in attività di manutenzione in zone remote o pericolose degli impianti
- il condition monitoring e la manutenzione predittiva
- l’ottimizzazione dei processi e dei layout negli ambienti produttivi e nei magazzini grazie all’integrazione di tecnologie come l’AI e i Digital Twin
L’impatto della Generative AI nell’industria: l’organizzazione della conoscenza aziendale
L’avvento dell’AI Generativa (o GenAI) ha aperto permesso di portare l’automazione in nuovi processi industriali facilitando ancora di più le interazioni uomo-macchina.
Il supporto fornito alla programmazione di robot e macchinari, ad esempio, offre una risposta alla carenza di personale qualificato, oltre a velocizzare i processi.
L’adozione dell’AI generativa sta inoltre permettendo di gestire il know-how aziendale in modo più strutturato e democratico. Grazie a soluzioni di che integrano l’AI, le aziende possono creare un archivi di conoscenza che rende disponibile a tutti i lavoratori i documenti rilevanti relativi, ad esempio, a clienti, meeting aziendali, informazioni sui macchinari, etc.
Attraverso l’uso di chatbot di AI generativa è possibile “interrogare” il sistema e ricevere risposte precise e contestualizzate, riassunti di documenti complessi o anche generare nuovi contenuti basati sulle informazioni presenti nell’archivio.
L’ulteriore sviluppo di applicazioni basate sull’AI permetterà di automatizzare altri compiti e mansioni favorendo, secondo alcuni esperti, la nascita di team di lavoro ibridi dove i lavoratori sono affiancati e supportati da agenti di AI.
AI e futuro del lavoro: come cambiano professioni e competenze
Secondo il report del World Economic Forum sopra citato, l’intelligenza artificiale genererà un impatto significativo sul mercato del lavoro tra il 2025 e il 2030, influenzando il 22% delle professioni attuali.
Si stima che nel periodo analizzato AI e Machine Learning favoriranno la creazione di 170 milioni di nuovi posti di lavoro (14% dell’occupazione odierna) e la perdita di 92 milioni di posti (8%).
Il saldo netto indicherà una crescita occupazionale del 7%, pari a 78 milioni di nuovi posti.
Si prevede una crescita nei ruoli in prima linea, nel settore delle cure, nell’istruzione, nelle professioni tecnologiche legate all’AI e nella transizione verde, mentre si assisterà a un declino nelle mansioni impiegatizie e segretariali.
Chi sono i lavoratori più esposti: l’identikit della ricerca di Randstad Research
Una recente ricerca di Randstad Research ha analizzato quali sono i profili professionali e i lavoratori più esposti all’impatto dell’intelligenza artificiale.
Dall’indagine emerge che impiegati, operai e conducenti di vetture sono i profili più esposti agli effetti dell’automazione in Italia, tra sostituzione o complementarità nelle attività.
La ricerca fornisce anche un identikit dei lavoratori maggiormente esposti agli impatti dell’automazione, dell’AI e del Machine Learning, evidenziando che:
- i giovani impiegati, maschi, di età compresa tra i 15 e i 24 anni, con basso titolo di studio (scuola dell’obbligo), che operano in settori ad alta manualità come costruzioni, turismo e logistica sono i lavoratori più esposti agli effetti dell’automazione che, secondo le stime, avrà un impatto su 10,5 milioni di lavoratori
- le donne, laureate, che lavorano nel Nord e Centro Italia come analiste dei dati o specialiste nella finanza sono più esposte agli effetti dell’intelligenza artificiale che, si stima, impatterà 8,6 milioni di lavoratori
- sempre le donne del Nord e Centro Italia, con età compresa tra i 15 e i 24 anni, in possesso di diploma di scuola superiore e che lavorano in smart working nel commercio e finanza sono le lavoratrici più esposte all’impatto del Machine Learning. Questa tecnologia, si stima, impatterà 8,4 milioni di lavoratori
Come cambieranno le competenze
L’AI ha avuto, e continuerà ad avere, anche un forte impatto sulle competenze di cui le imprese hanno bisogno. Secondo il rapporto del WEF, due quinti (39%) delle competenze attuali dei lavoratori italiani saranno trasformate o diventeranno obsolete nel periodo 2025-2030.
In particolare, aumenterà il bisogno di competenze legate all’utilizzo dei nuovi strumenti, ma anche di quelle competenze considerate “soft” legate al ragionamento umano.
Tra le skill “tecniche” che saranno più ricercate dalle imprese si annoverano:
- competenze relative a intelligenza artificiale e big data
- competenze in reti e cyber security
- competenze relative all’alfabetizzazione tecnologica
Tra le soft skill più richieste e che diventeranno sempre più importanti per le imprese ci sono:
- pensiero analitico
- resilienza
- flessibilità
- agilità
- leadership e influenza sociale
Politiche industriali e del lavoro nell’era dell’AI
Rispetto alle trasformazioni sopra citate il rapporto del WEF sottolinea un dato importante: la riduzione dell’instabilità di competenze generate dall’adozione delle tecnologie digitali e dall’AI rispetto alle precedenti edizioni del rapporto.
Il dato è infatti diminuito dal 57% registrato nel 2020 al 44% del 2023. Un calo legato, suggerisce l’analisi, all’adozione di strategie e programmi di formazione da parte delle imprese.
L’aggiornamento delle competenze professionali della forza lavoro attuale è un elemento cruciale per la competitività delle imprese in un’economia sempre più digitale. Non si tratta di una formazione “una tantum” ma di un processo continuo (long-life learning o continuous learning) che permette di mantenere aggiornate le competenze in possesso ai lavoratori attraverso percorsi di:
- percorsi di reskilling finalizzati all’apprendimento di nuove competenze
- percorsi di upskilling finalizzati al miglioramento e all’ampliamento delle competenze esistenti
Formazione scolastica, ma non solo: la costruzione delle competenze digitali per mitigare gli impatti dell’AI sul futuro del lavoro e i cittadini
La formazione e riqualificazione della forza lavoro deve essere accompagnata da strategie di formazione della popolazione (per garantire l’accesso ai servizi) e dei lavoratori di domani.
Obiettivo perseguibile attraverso programmi di alfabetizzazione digitale rivolti a gruppi sociali particolarmente esposti alla transizione o attualmente non in possesso di competenze digitali di base (si pensi, ad esempio, alla popolazione anziana, ma anche ai lavoratori attualmente non occupati).
Altrettanto cruciale è la revisione e l’aggiornamento dei curricula scolastici, rafforzando l’insegnamento delle discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica) fin dalle scuole primarie, promuovendo l’alfabetizzazione digitale a tutti i livelli e integrando corsi su AI, data science e robotica nei percorsi universitari e professionali.
Le politiche europee per la costruzione delle competenze digitali
La gestione delle conoscenze e delle competenze in economie sempre più digitali è uno dei temi più rilevanti quando si parla di sostenibilità della transizione. L’Unione Europea, ad esempio, ha inserito politiche mirate a rafforzare le competenze nei diversi programmi volti ad accelerare la transizione digitale e sostenibile dell’industria, come ad esempio il programma “Europa Digitale”.
Nel 2020 l’UE ha adottato la European Skill Agenda (Agenda europea per le competenze), una strategia europea per sviluppare le competenze necessarie a una crescita incentrata sui principi della competitività sostenibile, dell’equità sociale e della resilienza.
Nell’ambito di questa strategia, nel 2021 l’UE ha reso disponibile ai cittadini europei una piattaforma per le competenze e le occupazioni digitali che offre accesso aperto a un archivio di opportunità di apprendimento, percorsi di apprendimento, orientamento professionale, mappatura delle competenze e tendenze occupazionali, nonché opportunità di finanziamento e best practise.
Nel 2022 è stato lanciato il partenariato per le competenze dell’ecosistema digitale. Siglato da associazioni, aziende, organizzazioni, sindacati, università, enti di formazione e federazioni nazionali dell’UE, il partenariato ha il compito di aiutare le persone e le imprese ad acquisire le competenze digitali necessarie allo sviluppo dell’ecosistema digitale europeo.
Negli ultimi anni l’UE ha adottato diverse altre iniziative rivolte alla formazione delle competenze in altrettanti settori strategici, tra cui figurano le iniziative nell’ambito del Piano coordinato sull’intelligenza artificiale.
Resta però ancora molto da fare per raggiungere gli obiettivi 2030 in materia di competenze digitali: solo il 55,6 % della popolazione dell’UE possiede almeno competenze digitali di base e, al ritmo attuale, il numero di specialisti in TIC raggiungerà solo i 12 milioni entro il 2030.
AI e futuro del lavoro, la necessità di un approccio etico
La regolamentazione dell’AI è un altro aspetto cruciale. È infatti necessario sviluppare quadri normativi che promuovano l’innovazione responsabile, garantiscano la privacy dei dati, prevengano la discriminazione algoritmica e tutelino i diritti dei lavoratori.
Il regolamento europeo sull’intelligenza artificiale (AI Act) è senza dubbio un buon punto di inizio per la regolamentazione. Attraverso un approccio basato sul rischio questo regolamento disciplina l’adozione dei sistemi di AI: più alto è il rischi posto ai diritti dei cittadini e maggiori sono i vincoli normativi. L’AI Act, inoltre, esclude dai sistemi di AI che possono essere introdotti all’interno del mercato unico quei sistemi che pongono un rischio non accettabile per i diritti umani dei cittadini secondo i principi democratici europei.
Tuttavia, parlare di come l’AI influenzerà il futuro del lavoro richiede una considerazione anche dell’uso che le aziende possono fare di questi strumenti.
Sappiamo infatti che gli algoritmi non sono esenti da pregiudizi (bias algoritmici) e che non sempre vi è piena trasparenza nella logica utilizzata per prendere decisioni.
L’applicazione dell’AI a processi che coinvolgono i lavoratori richiede quindi una supervisione umana attenta, soprattutto in processi critici e sensibili come la formazione del personale e la revisione delle performance di un lavoratore.
Oltre a prevenire le discriminazioni, altrettanto importante è assicurare la protezione contro l’uso improprio di strumenti basati sull’AI, come nel caso delle tecnologie di sorveglianza sul posto di lavoro.
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