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Sostenibilità “a intermittenza”: perché i rating ESG ignorano le violazioni dei diritti umani in Palestina?


Due grandi agenzie di rating etico modificano i criteri Esg: esclusi i riferimenti alle violazioni nei territori palestinesi. Un cambio che solleva interrogativi sull’integrità del sistema

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I criteri Esg – acronimo di “Environmental, Social and Governance” – guidano scelte d’investimento e decisioni politiche, indicando la presunta sostenibilità ambientale, sociale e gestionale delle imprese. Ma cosa succede quando questi criteri smettono di raccontare la verità?

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È quanto emerge da un’inchiesta internazionale condotta da Follow The Money, e di cui IrpiMedia è media partner, che rivela un preoccupante cambio di rotta da parte di due colossi della valutazione Esg: Morgan Stanley Capital International (Msci) e Morningstar Sustainalytics. Secondo documenti riservati ottenuti da un consorzio giornalistico europeo, le due agenzie hanno progressivamente escluso dai loro report gli elementi legati alle violazioni dei diritti umani nei territori palestinesi occupati (indicati nei documenti finanziari come Israeli-Palestinian Conflict Area, Ipca).

Il rating etico sotto pressione

In base agli elementi emersi dall’inchiesta, da agosto 2024, Morningstar Sustainalytics ha modificato apertamente la propria metodologia, smettendo di considerare come “controversie” le azioni compiute da aziende coinvolte nel conflitto israelo-palestinese. La motivazione ufficiale è che queste situazioni sarebbero “meno oggettive” e “soggette a visioni geopolitiche divergenti”.

Il problema, però, non è solo tecnico. La scelta è arrivata dopo anni di pressioni da parte di organizzazioni filo-israeliane, tra cui la rete JLens, sostenuta anche dall’Anti-Defamation League (Adl), che ha definito l’approccio Esg “la nuova frontiera nella lotta all’antisemitismo”. Per questi gruppi, le critiche nei confronti delle attività israeliane nei territori occupati – spesso mosse da organizzazioni internazionali – sarebbero una forma mascherata di pregiudizio.

Il caso simbolo

Emblematico è il caso di una nota multinazionale americana, produttrice di macchinari pesanti. Da decenni fornisce bulldozer impiegati dalle forze israeliane per demolizioni nei territori palestinesi. Una delle sue macchine fu coinvolta, nel 2003, nella morte dell’attivista statunitense Rachel Corrie, schiacciata mentre tentava di bloccare la distruzione di una casa a Rafah, nella Striscia di Gaza.

Fino al 2023, questa azienda riceveva punteggi Esg molto bassi proprio per il suo coinvolgimento in queste attività. Ma nell’arco di un solo anno, secondo i report trapelati, tutti i riferimenti alle controversie sono scomparsi. Il punteggio è passato da 3 a 10 su 10. Eppure, le operazioni dell’azienda nei territori palestinesi non solo non si sono interrotte, ma continuano ad essere documentate da fonti autorevoli, come l’Alto Commissariato ONU per i Diritti Umani.

Criteri selettivi e silenzi strategici

Msci, a differenza di Morningstar, non ha ammesso cambiamenti nei suoi criteri. Tuttavia, le discrepanze tra i report del 2023 e del 2025, in cui scompaiono le controversie più gravi, suggeriscono un’evoluzione sostanziale nel modo in cui le informazioni vengono selezionate.

Morningstar, dal canto suo, ha anche smesso di utilizzare come fonte i report di enti come l’ONU o alcune Ong internazionali, considerati non neutrali. Questa scelta riduce drasticamente la possibilità di valutare in modo indipendente le responsabilità delle aziende in aree ad alto rischio di violazioni dei diritti.

Una sostenibilità di facciata?

Il cuore del problema è la discrezionalità con cui le agenzie di rating possono riscrivere la reputazione di un’impresa. Se un’azienda è coinvolta in pratiche lesive dei diritti umani ma queste non vengono conteggiate nei report ufficiali, l’intero sistema Esg perde credibilità.

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Oggi, circa il 74% dei fondi autorizzati in Italia è vincolato ai rating Esg. In Europa, si parla di un mercato da circa 3 mila miliardi di euro. La posta in gioco è quindi altissima: parliamo di una finanza che dovrebbe orientare il futuro verso sostenibilità e responsabilità, ma che rischia di trasformarsi in una macchina di greenwashing e reputazione su misura.

Un impatto globale

Il problema va anche oltre il contesto israelo-palestinese. Le agenzie Msci e Morningstar forniscono circa l’80% dei dati Esg a livello globale. I fondi pensione europei, che rappresentano l’84% degli investimenti sostenibili nel mondo, si affidano quasi esclusivamente ai loro punteggi per stabilire dove e come allocare le risorse. Se le violazioni dei diritti umani vengono ignorate per motivi politici o ideologici, miliardi di euro rischiano di finire nelle casse di aziende che alimentano guerre, occupazioni e repressioni.

Come ha osservato la giurista Tara Van Ho, esperta di diritto internazionale dell’Università dell’Essex, “non si tratta di un dibattito accademico ma di obblighi concreti”. Le linee guida dell’OCSE richiedono una maggiore trasparenza proprio nelle zone di conflitto, e ignorare documenti delle Nazioni Unite o di ong riconosciute equivale a minare l’intero impianto etico della finanza responsabile.

Nel frattempo, negli Stati Uniti, una crescente ondata politica anti-woke mette ulteriormente sotto pressione il concetto stesso di sostenibilità. Il timore di molti osservatori è che ciò possa portare a una neutralizzazione progressiva dei criteri Esg anche in altri contesti, dall’Ucraina all’Amazzonia, con la complicità di un sistema che si proclama etico ma agisce secondo convenienza.

Un sistema da ripensare?

È giusto che criteri pensati per premiare il rispetto dell’ambiente e dei diritti umani siano adattati a pressioni politiche? E quali garanzie hanno oggi cittadini e investitori sull’attendibilità di queste valutazioni?

Nel frattempo, mentre le agenzie rivendicano trasparenza e rigore, le vittime delle occupazioni – civili, attivisti, operatori sanitari – restano invisibili agli occhi della finanza etica. E l’Esg, nato per orientare il mondo verso un futuro più giusto, rischia di diventare complice silenzioso di scelte profondamente ingiuste.

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