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Imprese a controllo estero in Italia 2025


Particolarmente significativo è l’apporto delle imprese estere alla transizione digitale e ai processi di innovazione. Secondo i più recenti dati Istat, il 71,2% delle imprese a controllo estero in Italia ha introdotto innovazioni nel triennio 2020-2022, rispetto a una media nazionale di poco inferiore al 60%.

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Le imprese estere adottano spesso strategie complesse, investendo maggiormente in attività ad alto contenuto creativo come la ricerca e sviluppo. Prediligono l’innovazione di prodotto originale rispetto al semplice adeguamento a innovazioni esistenti, e presentano una più spiccata capacità di sviluppare innovazione internamente. Il loro contributo si estende oltre la dimensione economica: in molti casi, le imprese estere promuovono la diffusione di tecnologie avanzate, la creazione di occupazione qualificata e l’integrazione con il tessuto delle PMI.

La loro presenza rafforza anche il processo di internazionalizzazione, sia per il contributo all’export, sia per l’integrazione dell’Italia nelle catene globali del valore. Questi dati assumono una valenza particolare in uno scenario internazionale  frammentato, segnato da shock geopolitici, riorganizzazione delle filiere e mutamento delle politiche industriali, in particolare negli Stati Uniti e in Cina.

Il contributo delle imprese estere all’export di beni è sostanzialmente stabile, essendo passato dal 33,6% nel 2022 al 33,8% nel 2024, anno in cui risultava pari a 190 miliardi di euro.

Il valore dell’export verso gli Stati Uniti realizzato dalle imprese estere nel 2024 ammonta a 19,3 miliardi di euro, pari al 34,2% dei 56,4 miliardi complessivi. Tra il 2022 e il 2024, la loro incidenza sull’export nazionale verso gli USA è passato dal 30,6% al 34,2%, a conferma di una crescente presenza nel mercato statunitense delle imprese a controllo estero con base in Italia. Le imprese estere in Italia controllate da soggetti statunitensi, generano il 36,7% dell’export verso gli USA.

Dove si localizzano gli investimenti

La presenza delle imprese a controllo estero in Italia è fortemente concentrata nel Centro-Nord: sei regioni – Lombardia, Lazio, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna e Toscana – assorbono da sole oltre l’82% del valore aggiunto generato dalle multinazionali presenti nel Paese. La Lombardia da sola ne rappresenta quasi il 38%.

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Solo Lombardia, Lazio, Piemonte e Toscana mostrano un’intensità di localizzazione positiva (attraggono più investimenti esteri di quanto teoricamente indicato dalla loro dimensione economica – livello competitivo). La presenza di fattori specifici – infrastrutture, capitale umano, contesto normativo, ecosistemi produttivi (distretti industriali) –  rendono queste regioni particolarmente interessanti per l’insediamento di imprese multinazionali.

Il Mezzogiorno, nel suo complesso, raccoglie appena il 10,5% del valore aggiunto nazionale delle imprese estere. In Campania il valore aggiunto delle imprese estere rappresenta l’11,2% del totale regionale, in Sicilia il 10,5%, in Puglia l’8,1%.

Provenienza degli investitori

Le multinazionali estere operanti sul territorio nazionale provengono da oltre 100 Paesi. Al primo posto troviamo la Germania con 2.860 imprese, seguita da Stati Uniti (2.603 imprese), Francia, (2.435 imprese), Regno Unito (2.111 imprese), Svizzera (1.462 imprese), Lussemburgo (1.216 imprese), Paesi Bassi (876 imprese), Spagna (716 imprese), Giappone (440 imprese), Austria (428 imprese).

In termini di fatturato, il Paese estero che ha il peso maggiore come investitore è rappresentato dalla Francia che, con circa 322 mila addetti, realizza il 19,4% del fatturato complessivo delle imprese a controllo estero.  Seguono gli Stati Uniti, che realizzano il 17,9% del fatturato, con 350 mila addetti. Al terzo posto la Germania, che realizza il 13% del fatturato, con 222 mila addetti.

In termini di ricerca e sviluppo, sono i Paesi Bassi (26,6%) e gli Stati Uniti (22,1%) a risultare i maggiori investitori.

La provenienza degli investitori appare differenziata per settore di attività economica.

  • Nella manifattura sono gli Stati Uniti ad avere un ruolo prevalente, segue la Francia (78 mila addetti, 12,6% del fatturato e 13,9% del valore aggiunto) e la Germania (62 mila addetti, 9,3% del fatturato e 10,9% del valore aggiunto).
  • Nell’industria non manifatturiera, caratterizzata da imprese attive nel settore energetico ed estrattivo, è la Francia ad avere un ruolo predominante con il maggior numero di addetti 14 mila, il 55,2% del fatturato e il 42,5% della spesa in ricerca e sviluppo. Segue la Svizzera con il 15% del fatturato e il 33,4% della spesa in ricerca e sviluppo.
  • Nel commercio, al primo posto in termini di fatturato la Germania (21,2% del fatturato e 19,4% del valore aggiunto), seguita dalla Francia con il 14,6% del fatturato, ma con la quota più alta di valore aggiunto, pari al 26,7%. Al terzo posto gli Stati Uniti con il 17,2% del fatturato e il 17,9% del valore aggiunto.
  • Nei servizi non commerciali è il Regno Unito ad assumere la maggiore rilevanza economica e occupazionale, impiegando oltre 181 mila addetti e realizzando il 26,1% del fatturato, il 22,2% del valore aggiunto e il 41,5% della spesa in ricerca e sviluppo. Segue la Francia con circa 153 mila addetti, il 15,5% del fatturato, il 15,2% del valore aggiunto e l’8,2% della spesa in ricerca e sviluppo.

Principali barriere percepite dagli investitori esteri

L’indagine dell’Osservatorio Imprese Estere 2025 conferma che la burocrazia rappresenta la principale barriera percepita dagli investitori esteri, seguita dal contesto socio-ambientale e dalla carenza di personale qualificato.

La difficoltà nel prevedere il quadro regolatorio nel medio-lungo termine compromette la pianificazione degli investimenti, mentre i ritardi nei procedimenti autorizzativi si traducono in costi aggiuntivi e perdita di opportunità operative.

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La frammentazione delle responsabilità riflette la coesistenza di diversi livelli di governo – comunale, regionale, statale – spesso privi di un efficace coordinamento. Tale frammentazione complica i processi decisionali e rende più difficile l’ottenimento delle necessarie autorizzazioni.

Gli ostacoli percepiti come meno rilevanti riguardano invece aspetti come la disponibilità di fornitori, l’accesso al credito, la domanda insufficiente, l’arretratezza tecnologica e la limitata disponibilità di informazioni.

Il Rapporto è stato realizzato dall’Osservatorio Imprese Estere con la collaborazione scientifica di Istat, ICE, Scuola IMT Alti Studi Lucca, LIUC. A cura di Roberto Monducci e Anna Ruocco. Il rapporto è stato chiuso con i dati disponibili al 29 aprile 2025.

Fonte: Osservatorio imprese estere





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