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Risparmi, l’esperto: «Troppi soldi nei conti correnti? Non sono le ricette dell’Ue a convogliarli verso le imprese»


di
Claudio Trabona

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Il docente dell’università di Padova Francesco Zen: le famiglie hanno beneficiato del rimbalzo dei mercati

I risparmi dei veneti possono trovare nuove vie, e magari assecondare il piano della Commissione europea? «Saving and Investment Union» mira a spingere le famiglie dell’Unione a investire di più in capitale di rischio e investimenti a beneficio del sistema delle imprese europee.

Professore Francesco Zen, i dati ci raccontano che 103 miliardi dei veneti giacciono nei conti correnti. Siamo pigri e poco informati sulla buona gestione dei risparmi?
«Va detto innanzitutto che stiamo parlando di dati che si limitano al sistema bancario, ma c’è molto altro. I soldi delle famiglie stanno in tanti altri posti e quindi non è facile azzardare analisi senza un quadro completo. Quello che ho potuto osservare in questi ultimi anni è un aumento anche considerevole degli investimenti, ma sostanzialmente perché sono cresciuti i valori grazie all’ascesa dei mercati. Le performance tra 2022 e 2024 sono state nel complesso molto positive. Sicuramente c’è stato anche un certo spostamento dalla liquidità nei conti correnti alla sottoscrizione di strumenti finanziari, ma non si tratta di movimenti epocali».




















































Resta la solidità dei patrimoni privati dei veneti. Cosa ci dice, per esempio, il primato regionale dei bellunesi con 48 mila euro?
«Forse che la propensione al risparmio cresce con certe abitudini locali e una presenza relativamente maggiore di anziani. Ma il dato potrebbe essere diverso comprendendo, come le ho detto, tutti gli altri soldi che sfuggono a questa rilevazione. Possiamo ipotizzare che nel Bellunese le famiglie tendano a utilizzare di più il canale tradizionale delle banche».

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I veneti appaiono in ogni caso più prudenti.
«Non è detto che la propensione al rischio sia prerogativa di chi è più ricco. Al contrario, chi ha più solidità patrimoniale tende ad essere più conservativo: se ho tanti soldi, magari tendo ad accontentarmi di un rendimento al 3% annuale, lasciando perdere strumenti con performance più attrattive ma più esposti alla volatilità».

Come giudica lo sforzo della Commissione europea che vuole spostare i «soldi dormienti» dei cittadini nei conti correnti verso investimenti a beneficio del sistema delle imprese dell’Unione?
«Mi pare la solita velleità dirigista in Europa. Non si capisce come si dovrebbe fare questa cosa senza tener conto, tanto per dirne una, del regolamento Mifid che obbliga ad adeguare le classi di rischio degli investimenti al profilo del risparmiatore».

Cioè è difficile dirottare i soldi di un privato cittadino verso bond aziendali o certi fondi di investimento…
«Ma poi non si tiene conto di una semplice verità: che in ogni caso sarebbero le banche a dover intermediare questo ipotetico spostamento di risorse da parte dei risparmiatori. E le banche dove spingono il cliente? Verso i propri prodotti. Senza contare che il mercato finanziario cerca naturalmente le migliori opportunità di rendimento. Se i soldi degli veneti, degli italiani e degli europei finiscono in buona parte in America, c’è un perché. Insomma questo piano europeo mi pare una stupidaggine e assomiglia al vecchio dibattito sulla scarsa presenza delle imprese quotate».

Tema antico, ma sempre in auge. Soprattutto in Veneto.
«Se le società non si quotano o fuggono dalla Borsa, lo sappiamo, è perché il nostro sistema economico è fondato su piccole e medie aziende che non hanno le dovute caratteristiche e trovano nel credito bancario la naturale fonte di finanziamento. Quindi, non c’è bisogno di inventare chissà che per sostenere lo sviluppo delle imprese. O meglio, se vogliamo inventare qualcosa, non c’è bisogno di massacrare il sistema bancario».

Massacrare? Le banche hanno fatto una marea di profitti negli ultimi anni.
«Certo. Ma come? Con le commissioni sulla finanza e il risparmio gestito. Mentre le regole europee, vedi quelle sulla patrimonializzazione, hanno reso il credito alle imprese sempre meno conveniente per gli istituti. Ed è questo il punto».

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30 maggio 2025

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