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Se non lo proteggi, non è tuo: il vero capitale dell’industria è ciò che non si vede! Con Giovanni Galimberti, Bird &Bird


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«Imprenditori, proteggete ciò che create: innovazione, tecnologia, asset immateriali. Oggi il sistema è più efficiente e, se si agisce preventivamente, mettendo in sicurezza know-how, brevetti e marchi, sarà più semplice reagire in caso di problemi». Giovanni Galimberti, co managing partner dello studio legale internazionale Bird & Bird e presidente di Eplaw, non ha dubbi: in un’economia sempre più fondata su tecnologia, design e innovazione, proteggere la proprietà intellettuale è una scelta strategica, non un lusso da multinazionali. Dai segreti industriali al nuovo Tribunale Unificato dei Brevetti – operativo dal 1° giugno 2023, con sedi centrali a Parigi, Monaco e Milano -, l’Italia ha oggi strumenti avanzati per difendere il suo know-how.  E proprio il Tribunale Unificato ha recentemente confermato la propria efficacia grazie al primo provvedimento di inibitoria cautelare concesso inaudita altera parte: Bird & Bird lo ha ottenuto per conto di Cardo Systems, azienda leader nei sistemi di comunicazione per motociclisti, in difesa di un brevetto relativo agli interfoni. «Un risultato – commenta Galimberti – che evidenzia la rapidità e l’impatto concreto delle nuove tutele». Il provvedimento – eseguito in occasione dell’Eicma di Milano – ha previsto anche il sequestro dei prodotti contraffatti e del materiale promozionale. «L’errore più grave è agire a posteriori – spiega Galimberti – Questo caso insieme ad altri ci insegna che la rapidità e la preparazione possono fare la differenza tra la perdita di valore e una tutela efficace e immediata».

Secondo i dati più recenti del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, nel 2024 sono state presentate in Italia 10.148 domande di brevetto per invenzione industriale, con un incremento del 7,4% rispetto all’anno precedente. Anche le richieste di registrazione di marchi sono cresciute del 6,2%, raggiungendo quota 55.300, mentre i disegni e modelli depositati sono saliti del 9,1%, superando le 9.800 unità. Tuttavia, non mancano le ombre: presso l’Ufficio Europeo dei Brevetti (EPO), le domande italiane sono calate del 4,5%, fermandosi a 4.853, segno che le nostre imprese – pur consapevoli dell’importanza dell’innovazione – faticano a internazionalizzarne adeguatamente la tutela.

Il valore economico degli asset immateriali è però in costante crescita: secondo il Global Innovation Index 2023, l’Italia occupa la 25ª posizione mondiale, ma vanta un’alta produttività in settori ad alta intensità di proprietà intellettuale, come la meccanica di precisione, la chimica e l’agroalimentare. Eppure, meno del 30% delle Pmi italiane ha adottato strategie strutturate di protezione del know-how aziendale, una lacuna che espone a rischi concreti di esfiltrazione di segreti industriali, furto tecnologico e concorrenza sleale. «La nostra sfida – conclude Galimberti – è far capire alle imprese che la difesa dell’innovazione non è un costo, ma un investimento. E i casi concreti come quello di Cardo Systems lo dimostrano: quando le armi legali ci sono e si usano bene, si vince». Bird & Bird, fondato a Londra nel 1846, è oggi uno dei principali studi legali internazionali specializzati in IP e diritto dell’innovazione, con oltre 1.700 avvocati in 32 uffici nel mondo. In Italia è presente con sedi a Milano e Roma e conta circa 160 professionisti, tra cui 27 partner. Lo studio è particolarmente attivo nella difesa del know-how tecnico, della tecnologia embedded nei prodotti e nella gestione dei diritti sui marchi e sul design industriale.

D. Galimberti, quanto conta oggi per un’impresa – in particolare nei settori manifatturiero e tecnologico – avere consapevolezza del valore strategico della proprietà intellettuale?

Giovanni Galimberti, co managing partner dello studio legale internazionale Bird & Bird e presidente di Eplaw.

R. Il messaggio chiave è che, oggi più che mai, il valore delle imprese si gioca sugli asset immateriali. In passato, nelle operazioni di M&A, si acquistavano sportelli bancari, stabilimenti, magazzini. Oggi oggetto di acquisizione sono sempre più tecnologie, software, algoritmi, intelligenza artificiale. Oppure si acquistano i marchi: il valore percepito, l’affidabilità, il design. E questo vale anche per settori più tradizionali: solo per fare un esempio assicurazioni che acquistano società con scatole nere per analizzare lo stile di guida e calcolare il premio. Non sono più i muri a fare il prezzo, ma ciò che c’è dentro – e spesso non si vede.

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D. Come si declina questo principio per le imprese italiane, spesso piccole, ma con grande know-how?

R. È cruciale sviluppare una cultura della tutela e della valorizzazione della proprietà intellettuale. Ci sono due grandi mondi: quello della protezione dell’innovazione – parliamo di brevetti e segreti industriali – e quello della protezione del brand. Entrambi sono fondamentali. Il know-how va difeso giuridicamente. I marchi vanno registrati, sorvegliati, sfruttati.

D. Con “sfruttati” intende anche monetizzati?

R. Esatto. Un’impresa che ha sviluppato una tecnologia, ma non ha la capacità industriale per produrre o scalare, può concederla in licenza. È un modo per generare ricavi senza perdere il controllo della tecnologia stessa. E non solo: posso scegliere se darla a un cliente, a un concorrente, a un partner strategico. È una leva competitiva fortissima. Non si tratta solo di difendersi: si tratta di usare la proprietà intellettuale come strumento di crescita.

D. Parlava anche dei marchi: l’Italia è ancora un paese con brand forti?

R. Assolutamente sì. E non parlo solo dell’alimentare o della moda. L’Italia è ancora sinonimo di qualità, design, eccellenza. Anche in settori industriali e tecnologici. Certo, alcuni marchi stanno attraversando fasi difficili, ma il valore del made in Italy è sempre più riconosciuto. Ed è proprio per questo che va protetto: non basta averlo, bisogna valorizzarlo sul mercato e difenderlo nei tribunali.

L’innovazione industriale ha molti volti. E ognuno va protetto in modo diverso.

D. Il tema della proprietà intellettuale è particolarmente attuale oggi. C’è una novità normativa o un’urgenza contingente?

R. La novità più rilevante degli ultimi due anni, è l’entrata in vigore del Tribunale Unificato dei Brevetti (TUB), che riguarda chi vuole proteggere le proprie innovazioni pressoché in tutta Europa con una sola azione giudiziaria. Ma il punto vero è culturale: serve consapevolezza, anche e soprattutto tra le Pmi.

D. Il Tribunale Unificato dei Brevetti rappresenta un cambio di paradigma nella difesa della proprietà intellettuale in Europa. In che modo semplifica la vita alle imprese che vogliono tutelarsi nei mercati internazionali?

R. Fino a poco tempo fa, se avevo un brevetto europeo e qualcuno lo violava in Francia, Germania e Italia, ero costretto a intentare tre cause separate, nei rispettivi paesi. Ora, con il Tribunale Unificato dei Brevetti –che a livello comunitario è noto come UPC – abbiamo giudici altamente specializzati, sezioni dedicate, procedimenti molto rapidi che consentono di arrivare a sentenza in un anno. Quindi con un’unica causa davanti a giudici molto competenti e provenienti da nazioni diverse, posso ottenere protezione nei 18 Paesi aderenti. Non sono tutti gli Stati dell’Unione, per esempio la Spagna è rimasta fuori, ma i principali mercati ci sono: Francia, Germania, Italia, Olanda, Scandinavia…

D. Può farci un esempio concreto che dimostri l’efficacia del sistema attuale?

Packtalk Pro di Cardo Systems, rappresenta un nuovo punto di riferimento per la tecnologia degli interfono, grazie al rilevamento degli incidenti, alla funzionalità di accensione/spegnimento automatico e agli altoparlanti JBL da 45 mm di serie.

R. Recentemente siamo intervenuti con il Tribunale Unificato dei Brevetti per conto di Cardo, una delle due principali aziende al mondo che producono dispositivi da casco per comunicare via Bluetooth. Alla vigilia dell’apertura di Eicma, abbiamo saputo che un’azienda cinese stava per esporre un prodotto sospettato di contraffazione. Non c’era tempo per un’udienza. Abbiamo presentato ricorso urgente al TUB e, nel giro di 48 ore, siamo entrati in fiera con l’ufficiale giudiziario e abbiamo sequestrato tutto. La fiera ha aperto e loro non hanno esposto nulla.

D. Un’azione rapidissima. Non era possibile prima?

R. No, o meglio era molto più difficile. Oggi grazie alla normativa europea e alla sua applicazione, possiamo agire con strumenti efficaci e tempestivi. Il messaggio è chiaro: se vieni a vendere un prodotto in Europa e stai violando un brevetto, rischi grosso. La prossima volta magari non torni a Milano. Ma nemmeno a Berlino o Parigi.

D. Un cambiamento epocale. Eppure, le imprese italiane sembrano poco sensibili al tema. Come mai?

R. C’è un problema culturale e uno economico. Le aziende italiane, tradizionalmente, sono meno inclini al contenzioso rispetto a quelle straniere. Per anni il sistema precedente, che richiedeva liti multiple e costose, ha scoraggiato i più. Il nuovo sistema, pur avendo un costo iniziale non irrilevante, consente una protezione molto più ampia e centralizzata. Ma manca ancora consapevolezza. Molti imprenditori non sanno nemmeno che esiste questa possibilità.

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D. E forse c’è anche qualche timore a essere troppo “visibili”?

R. Diciamo la verità: l’Italia è un Paese dove alcune aziende subiscono contraffazioni, ma altre – a volte – le producono. Quindi la paura di finire coinvolti in contenziosi, magari da “copiatori” inconsapevoli, frena l’utilizzo degli strumenti legali. Poi c’è anche chi teme ripercussioni economiche o reputazionali. Ma è un atteggiamento miope.

D. Ci sono settori più esposti?

R. Se si pensa ai brand, la moda e il food sono gli esempi più noti. Marchi italiani famosissimi, come quelli del lusso o dell’agroalimentare, sono bersagli costanti di imitazioni in mercati come la Cina o l’India. Un tempo fare causa in questi Paesi era considerato impossibile o inutile. Ma oggi le cose sono cambiate. Alcune grandi aziende, come Ferrero, vincono regolarmente contenziosi anche lì.

Il nuovo Tribunale Unificato dei Brevetti, operativo anche a Milano, consente azioni rapide e incisive in tutta Europa.

D. Può fare un esempio concreto?

R. Ferrero è un caso emblematico. Grazie anche ad un dipartimento interno di protezione della proprietà intellettuale, è molto sofisticata nella tutela dei propri prodotti attraverso marchi, design e brevetti. Le forme dei suoi prodotti sono tutte registrate, anche come marchi tridimensionali. Si pensi alla forma della pralina. E ci sono sentenze – anche in Cina, dove i tribunali, in materia di proprietà intellettuale, sono diventati molto più efficienti e garantisti – che le hanno dato ragione. Questo dimostra che chi tutela bene il proprio patrimonio intellettuale può vincere. Serve però investire in strategia legale, non improvvisare.

D. E le piccole e medie imprese? Possono permettersi queste tutele?

R. Non è una questione di dimensione, ma di mentalità. Io dico sempre che la contraffazione è il termometro e il prezzo del successo. Se nessuno mi copia, forse il mio prodotto non è particolarmente interessante. Se invece qualcuno viola i miei diritti, significa che il mio prodotto ha valore ma anche che rischio di perdere quote di mercato. E se non mi tutelo, perdo due volte. E oggi, con strumenti come il TUB o il brevetto unitario, anche le Pmi possono agire in modo efficace e proporzionato.

D. Quindi oggi il contenzioso brevettuale è davvero una leva strategica. E l’Italia, con il TUB, ha anche un ruolo centrale?

R. Sì, e non è poco. Il Tribunale Unificato dei Brevetti ha tre sedi centrali: Parigi, Monaco e Milano. L’Italia ha ottenuto la sede che si occupa delle nullità dei brevetti in ambito chimico farmaceutico – una materia di altissimo valore strategico. È un riconoscimento importante. Siamo sempre stati tra i primi tre Paesi in Europa per numero di contenziosi brevettuali perché siamo un grande mercato. Siamo il terzo per numero di depositi. Dunque, non è vero che non si brevetta: lo si fa, ma sono soprattutto le grandi aziende a trainare.

Proprietà intellettuale: gli errori più comuni delle imprese.

D. C’è differenza di approccio tra i diversi settori industriali?

R. Sì. Nell’agroalimentare, ad esempio, si tutelano i brand e il made in Italy. Tra questi i consorzi di tutela delle nostre DOP sono particolarmente attivi: si pensi al Parmigiano Reggiano, al Prosecco, al Prosciutto di Parma solo per citarne alcuni. Nella meccanica e nella chimica o nelle telecomunicazioni, invece, il tema è più legato all’innovazione tecnica, ai brevetti industriali, ai processi. Meno ai marchi.

D. Nella meccanica si brevetta poco?

R. Non direi: se pensiamo all’automotive e a realtà come Brembo, Ferrari, Iveco o Stellantis, i brevetti ci sono. Il tema è che nella filiera lunga, molti brevetti restano nelle mani delle aziende capofila. Le Pmi, che spesso assemblano o lavorano su commessa, non sempre brevettano, anche se innovano. E qui c’è una zona grigia: si fa innovazione incrementale, intelligente, ma non sempre si percepisce e riconosce il valore da tutelare.

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D. Le aziende meccaniche e industriali italiane si fanno copiare?

R. Sì, succede. Ma ciò avviene quando quello che fanno è davvero buono. Se ho sviluppato un processo produttivo che mi consente di produrre mille bicchieri al minuto, invece di dieci, e quel processo funziona, c’è qualcuno che proverà a replicarlo. La domanda è: l’ho tutelato? Ho brevettato quella tecnologia? La ho protetta come know how? Se no, rischio che altri lo sfruttino. E non potrò farci nulla.

La strategia di difesa delle Pmi.

D. E oggi, con l’AI, il confine tra copia e creazione si fa ancora più sfumato…

R. L’intelligenza artificiale non inventa, legge e rielabora. Ma lo fa in tempi rapidissimi, su scale impensabili per un essere umano. E quando viene usata per scopi specifici – anche legali – può diventare estremamente potente. Il nodo, qui, è cosa si fa dei dati. Se li metto in comune, l’AI impara da me. Se li proteggo, li valorizzo. Anche questo è diventato un tema molto di attualità in materia di proprietà intellettuale dei dati e delle invenzioni. E apre un nuovo fronte: quello del diritto d’autore dell’AI, delle responsabilità, della titolarità.

D. Lei accennava ai segreti industriali. Possiamo dire che stanno diventando la nuova frontiera della tutela del know-how?

R. Sì, è un trend importante. Soprattutto perché molte aziende innovano continuamente all’interno dei propri stabilimenti, non sempre brevettando. Perché brevettare significa divulgare, quindi preferiscono tenere tutto “in casa”, sotto forma di segreto.

D. Ma un segreto, per definizione, può essere scoperto. Dove sta il confine tra protezione e rischio?

R. Esatto. Il brevetto dura 20 anni per legge, ma è pubblico. Il segreto dura finché resta tale. Se un concorrente arriva alla stessa soluzione da solo, io ho minori strumenti per fargli causa. E qui nasce la questione chiave: la fuga di know-how, spesso tramite i dipendenti. Se un mio ingegnere cambia azienda e si porta dietro – fisicamente o mentalmente – i miei file, i miei processi, le mie formule, posso avere un problema serio.

D. Ci sono strumenti per difendersi in questi casi?

Inaugurata il 24 Aprile 2025 la mostra “Italia dei Brevetti. Invenzioni e Innovazioni di Successo” all’interno del Padiglione Italia a Expo 2025 di Osaka.

R. Sì. Oggi la normativa sui segreti industriali si è evoluta. Se dimostro che l’informazione aveva valore economico e che l’ho effettivamente protetta – con password, protocolli, clausole di riservatezza – posso agire legalmente. Ma serve adottare delle policy interne che poi consentano di provare tutto.

D. E accedere alla “prova” della violazione dei segreti può essere complicato per un’azienda…

R. Certo. E proprio per questo esiste la “descrizione giudiziale”. Se sospetto che un concorrente stia violando un mio segreto (o un brevetto), ma non ho riesco a recuperare la prova, posso chiedere al giudice di autorizzare l’accesso ai suoi locali – senza avvisarlo – per documentare l’infrazione. È uno strumento invasivo, ma legale, con cui portare un ufficiale giudiziario e un perito tecnico nell’azienda sospettata.

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D. Funziona davvero?

R. Sì, e anche molto bene. Ricordo un caso in cui ero coinvolto in cui la descrizione è durata 23 ore. Era un impianto industriale importante, e ogni elemento veniva documentato dall’ufficiale e dai tecnici del tribunale nei dettagli. Si tratta di un’arma potentissima in caso di sospetti fondati. E grazie alla digitalizzazione è ancora più facile oggi dimostrare travasi di file, accessi non autorizzati, download sospetti…

D. Conviene dunque brevettare o mantenere il segreto?

R. Dipende e non si può generalizzare. Se la mia innovazione è visibile nel prodotto finale – come un design, una tecnologia evidente – ha senso brevettarla. Se invece è un processo interno, una “ricetta”, allora può avere senso tenerla come segreto. Ma solo se riesco davvero a proteggerla. E soprattutto: attenzione ai dipendenti, ai file, ai flussi informatici. Come dicevo poco fa, la sicurezza legale inizia dalla sicurezza organizzativa.

D. Come si tutela invece il design industriale, soprattutto in un paese come l’Italia?

R. Qui entrano in gioco altri strumenti: il marchio, il design registrato e anche il diritto d’autore. Penso al Salone del Mobile, dove il valore è anche nella forma degli oggetti. Le aziende del design italiano sono tra le più attive nella tutela. Ma è un campo complesso, dove spesso si sovrappongono diverse normative. E non sempre la forma è facilmente difendibile.

D. Qual è il suo ruolo in Eplaw?

R. Eplaw è un’associazione europea cui partecipano gli avvocati più esperti in materia brevettuale, e attualmente ho la fortuna di esserne il presidente. L’ingresso è selettivo: serve documentare di aver patrocinato un certo numero di casi e due referenze da associati già ammessi. Il valore aggiunto? Scambio di competenze, aggiornamento tecnico, confronto tra i migliori professionisti del settore. Oltre che un ausilio a chi si occupa di legiferare o amministrare la giustizia brevettuale in Europa. Personalmente per me è un onore esserne presidente e forse questo è anche un segnale importante: l’Italia, che nel mondo dei brevetti è stata spesso considerata marginale rispetto a Germania, Francia o Regno Unito, oggi conquista spazi di rappresentanza e autorevolezza.



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