Finanziamenti personali e aziendali

Prestiti immediati

 

Il Fmi sbaglia, l’Ue deve investire: sul debito basta ipocrisie


Giovedì il Fondo monetario internazionale ha pubblicato l’analisi periodica e le raccomandazioni di politica economica per l’economia italiana (Article IV consultation). In primo luogo, il Fondo mette in evidenza fattori di debolezza ben noti: l’invecchiamento della popolazione e la bassa partecipazione (soprattutto femminile e al Sud) al mercato del lavoro, che pesano sulla dinamica della forza lavoro. La stagnazione della produttività e dei salari è anch’essa nota, anche se con troppa faciloneria si continua a pensare che basti rilanciare la prima perché i secondi seguano.

Investi nel futuro

scopri le aste immobiliari

 

In realtà, sulla relazione causale tra salari e produttività la letteratura economica non è univoca. Soprattutto nel caso italiano, la compressione dei salari da un lato ha pesato sui consumi, così riducendo i profitti attesi. all’altro, ha disincentivato gli investimenti delle imprese, che si sono a lungo illuse che la competitività passasse per il costo del lavoro: a che pro imbarcarsi in investimenti e in ricerca per sviluppare nuovi prodotti o per aumentare la produttività, se si potevano fare profitti comprimendo i salari?

L’illusione della competitività-costo

Si sono illuse, dicevamo, perché questo può premiare a breve, ma nel lungo periodo porta a scarsa innovazione impedendo di occupare segmenti di mercato dinamici e portatori di crescita. Il risultato di questa strategia di “competitività costo” è che, con l’eccezione di alcune lodevoli ma isolate nicchie, il sistema produttivo italiano oggi è complessivamente inadatto a raccogliere la sfida delle transizioni ecologica digitale, nelle quali si concentreranno le future opportunità di crescita di reddito e produttività.

Ma non è soltanto la scelta scellerata di puntare sulla competitività-costo a spiegare l’insufficiente investimento delle imprese. Infatti, manca all’appello anche l’investimento pubblico che in Europa è calato significativamente rispetto agli anni Ottanta (nonostante una ripresa recente grazie ai Pnrr). E scarso capitale pubblico vuol dire ridotta profittabilità del capitale privato.

Per rilanciare la crescita e la produttività, quindi, serve una combinazione di fattori: il rilancio di salari e consumi e maggiori investimenti pubblici e privati (oltre a politiche migratorie intelligenti e a investimenti sociali per aumentare la partecipazione, soprattutto femminile, al mercato del lavoro).

Meno debito per più crescita?

Ed è qui che entriamo nel cortocircuito del dibattito di questi mesi, ben esemplificato dal Fmi che, dopo aver lodato gli sforzi già fatti, raccomanda all’Italia di continuare stringere la cinghia per ridurre il debito, puntando a un avanzo primario (ossia al netto gli interessi sul debito) del 3 per cento del Pil entro il 2027. Le nuove spese (ad esempio per armamenti), continua il Fondo, dovranno essere finanziate da risparmi in altre poste del bilancio pubblico.

Aste immobiliari

l’occasione giusta per il tuo investimento.

 

Risparmiare per investire, insomma. Sembra molto ragionevole, fin tanto che si rimane in superficie. Chi si occupa di finanze pubbliche sa molto bene che è impossibile immaginare un così massiccio aumento delle spese per investimento (ricordiamo che il rapporto Draghi parlava di 400 miliardi l’anno di investimenti pubblici in Europa; e questo prima che arrivasse la corsa al riarmo) semplicemente tagliando altrove. Anche perché molte delle spese contabilmente classificate come correnti (istruzione, sanità, investimenti sociali in genere) in realtà contribuiscono alla crescita, per cui occorrerebbe non tagliare ma al contrario investire. Contrariamente a preconcetti duri a morire, la spesa pubblica non è particolarmente inefficiente o inutile. Chiedere a Elon Musk e al suo fallimentare Doge per conferma.

Insomma, occorre che ai piani alti si decida una volta per tutte che cosa si vuole: si possono prendere sul serio le sfide («esistenziali», le ha definite Mario Draghi) che abbiamo di fronte e mettere il portafogli dove fino a ora sono state abbondanti solo le roboanti dichiarazioni d’intento; per le transizioni ecologica e digitale, per la riconfigurazione delle catene del valore che oggi ci rendono dipendenti da non sempre raccomandabili partner commerciali, per la sicurezza (militare e, soprattutto, economica), per recuperare il terreno perduto nei settori d’avvenire, occorre che l’Europa attui una vasta gamma di politiche strutturali che liberino l’investimento pubblico e privato, che convoglino risorse nella ricerca, nella coesione sociale e in quella territoriale (che non sono fardelli, ma precondizioni per una crescita forte e stabile).

Oppure, si mette al primo posto la riduzione del debito, ma allora sarebbe il caso che ci fosse almeno risparmiato l’ipocrita balletto dell’autonomia strategica, della transizione ecologica, dei rapporti tanto lodati quanto poi disattesi.

O più crescita per meno debito?

Ma, si potrebbe obiettare, l’ipocrisia non risiede nell’invocare continuamente miliardi su miliardi di investimenti sapendo che non ce lo possiamo permettere? Che senza ridurre il debito le nostre mani sono inesorabilmente legate e l’investimento insostenibile? La risposta è no, e spiace doverlo ripetere come un disco rotto.

Periodicamente riemerge la narrazione del buon governo ispirato al bravo padre di famiglia, che non si lancia in spese che non si può permettere. E periodicamente bisogna rassegnarsi a ripetere (quante volte lo abbiamo detto qui?) che si tratta di una narrazione fuorviante.

In primo luogo perché, contrariamente al risparmio individuale, quello collettivo vuol dire insufficiente domanda (quindi meno crescita oggi) e insufficiente investimento (quindi meno crescita domani). Per convincersene, basta guardare alle condizioni dell’economia tedesca dopo due decenni di “virtù”.

Il secondo motivo per cui l’analogia con il padre di famiglia non ha senso è che, contrariamente a tutti noi, lo stato non “muore” e quindi può permettersi di rifinanziare il proprio debito a scadenza senza rimborsarlo. Senza entrare in tecnicismi inutili, se si tiene conto del carattere perpetuo dello stato, per la sostenibilità delle finanze pubbliche è sufficiente che si possano pagare gli interessi, vale a dire che il tasso di interesse medio sul debito sia inferiore al tasso di crescita dell’economia.

Ora (è lo stesso Fondo monetario a ricordarcelo), nonostante le campagne periodiche sulla possibilità che il cielo ci cada sulla testa, e nonostante una crescita che rimane anemica, per la maggioranza dei paesi dell’Ocse essa è comunque prevista superiore al tasso di interesse.

Finanziamenti personali e aziendali

Prestiti immediati

 

Quindi, no, la riduzione del debito non è precondizione per l’investimento e per una seria politica industriale; Al contrario, se si riuscisse finalmente a rilanciare la crescita si potrebbe allo stesso tempo rispondere alle sfide che ci attendono e rendere più sostenibili le finanze pubbliche.

I meno giovani tra i lettori del Diario europeo ricorderanno che qualche tempo fa un ministro degli Esteri ad interim aveva risposto alle richieste del corpo diplomatico che non si possono fare le nozze con i fichi secchi. Possibile che dopo un paio di decenni l’Europa sia ancora alla frutta (secca), mentre il resto del mondo corre veloce?

© Riproduzione riservata



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link

Microcredito

per le aziende

 

Vuoi bloccare la procedura esecutiva?

richiedi il saldo e stralcio