L’Emilia-Romagna si presenta come una Regione con un tessuto economico robusto, ma al contempo attraversata da criticità sistemiche che la rendono permeabile alle infiltrazioni mafiose. La crescita del PIL dell’1,1% nel 2023, in frenata rispetto al +3,4% del 2022, segnala una certa tenuta, ma anche segnali d’allarme: rallentamento dell’industria, crisi dell’agricoltura post-alluvioni e settori fragili come edilizia e servizi dove la criminalità organizzata ha trovato terreno fertile.
L’approccio imprenditoriale della mafia
In Emilia-Romagna le mafie non sparano: infiltrano. La ‘ndrangheta in particolare ha adottato un modello camaleontico, basato su collusioni, corruzione e mimetismo societario. I clan puntano a intestazioni fittizie, riciclaggio, frodi fiscali con false fatture, agganciandosi a professionisti e imprenditori compiacenti. Non servono intimidazioni: basta la connivenza. Così si alterano i mercati, si drenano risorse pubbliche, si danneggia l’erario.
La cosca Grande Aracri e i suoi tentacoli
A guidare l’espansione è stata la cosca Grande Aracri di Cutro, saldamente radicata nelle province di Reggio Emilia, Parma, Modena e Piacenza. Il sodalizio si è infiltrato nel mondo edile, immobiliare, tecnologico, dei trasporti, nascondendo capitali attraverso prestanome e imprese compiacenti. Le indagini degli ultimi anni hanno dimostrato come la ‘ndrangheta cutrese abbia messo radici stabili e protette da una rete collusiva locale.
Parma, Bologna, Rimini: le altre presenze calabresi
A Parma e Bologna emergono figure legate alla cosca Farao-Marincola di Cirò, mentre a Rimini, Ravenna e Modena si registrano attività riconducibili ai clan Mancuso e Piromalli. A Vibo Valentia, è stata richiesta una informazione antimafia per un’impresa attiva in Emilia, ritenuta contigua alla cosca Pardea-Ranisi.
Camorra, cosa nostra e stranieri: un mosaico criminale
La regione ospita anche soggetti legati alla camorra (Casalesi, Contini, D’Alessandro), a Cosa Nostra (famiglie di Carini e Rinzivillo) e a gruppi stranieri (nigeriani Maphite e Viking, albanesi, cinesi). Le attività vanno dal riciclaggio al narcotraffico, dalla prostituzione al commercio di beni contraffatti.
Le operazioni chiave del 2024
Nel solo 2024 la DIA ha condotto una serie di operazioni e sequestri: “Nero ice cream” con sequestro di aziende riconducibili a imprenditore colluso con la ‘ndrangheta bolognese; “Golden Brick” e “Pizza Time” che ha svelato un sistema di estorsioni e frodi fiscali nel settore ristorazione-trasporti; “Aspromonte Emiliano” che ha portato a 334 anni di carcere a 34 affiliati alla ‘ndrina Romeo; “Muratore” con 83 arresti per traffico di droga tra Italia e UE, con base anche a Casalecchio; “Titano” e “Perseverance”,doppia inchiesta su maxi-frodi fiscali, sequestri milionari e legami con la cosca Grande Aracri.
Gli strumenti della penetrazione
Il metodo è consolidato: si usano società cartiere, frodi IVA, appalti truccati, prestanome e prestiti usurai. Alcuni clan camorristici hanno cercato di infiltrarsi nei bonus edilizi e nei cantieri PNRR, mentre la ‘ndrangheta utilizza i propri professionisti per accedere a finanziamenti, riciclare e corrompere.
Il paradosso della “mafia invisibile”
L’assenza di sangue non significa assenza di mafia. Al contrario, in Emilia-Romagna la ‘ndrangheta si è evoluta: preferisce il silenzio della penetrazione economica all’esplosione del conflitto armato. Ma l’effetto è lo stesso: mercati distorti, imprese sane fuori gioco, concorrenza drogata e risorse pubbliche deviate.
L’urgenza della consapevolezza
Le indagini, le sentenze e i sequestri dimostrano che il fenomeno è radicato e sistemico. Serve un salto culturale, non solo repressivo: è urgente rafforzare i controlli prefettizi, sostenere la cultura della legalità, denunciare le collusioni. Perché la mafia in Emilia-Romagna non si vede, ma si sente: nei fallimenti pilotati, nei subappalti truccati, nei capitali che si moltiplicano senza logica. Il rischio non è solo penale: è economico, sociale, democratico. La battaglia si gioca nei cantieri, nei consigli comunali, nei tribunali e negli uffici pubblici. Per vincerla, non basta la repressione. Serve coscienza civile e intransigenza istituzionale.
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