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Spari su un centro di aiuti a Rafah, 40 morti. Esercito israeliano: “Non abbiamo sparato”


Le segnalazioni di una nuova strage di civili in cerca di cibo Gaza piombano all’attenzione internazionale nel caos dell’enclave palestinese, sommersa dai bombardamenti. Almeno trentuno persone, secondo la protezione civile locale gestita da Hamas, sarebbero rimaste uccise dal fuoco israeliano nei pressi di un sito di distribuzione di aiuti sostenuto dagli stati uniti, la Gaza humanitarian foundation. Lo stesso organismo ha bollato le notizie di vittime come “non vere”, così come l’idf, che ha parlato di “colpi d’avvertimento”, ma i racconti dei testimoni ai media internazionali e i rapporti dagli ospedali hanno restituito un quadro drammatico dopo l’ennesima giornata di guerra nella Striscia. 

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Migliaia di persone si erano dirette verso il centro di distribuzione, nei pressi di Rafah, ore prima dell’alba. Mentre si avvicinavano al luogo dell’incidente, le forze israeliane hanno ordinato loro di disperdersi e di tornare più tardi, hanno riferito alcuni dei presenti. E mentre la folla arrivava a una rotonda a circa un chilometro di distanza alle 3 del mattino di ieri, le forze armate avrebbero aperto il fuoco. Le autorità sanitarie locali hanno poi dichiarato che almeno 31 corpi sono arrivati all’ospedale Nasser. Il bilancio dei feriti sarebbe di oltre 170. Anche i medici hanno parlato di decine di corpi, anche se non è chiaro se fossero tutte persone uccise nell’area degli aiuti. 

L’idf ha dato una versione diversa dei fatti di Rafah: “durante la notte a circa un chilometro dall’area di distribuzione le truppe hanno lavorato per impedire a diversi sospettati di avvicinarsi sparando colpi di avvertimento in aria, non contro i civili”. Denunciando quindi la diffusione di “notizie false”. Lo stesso ha detto la Gaza humanitarian foundation. 

L’organismo responsabile del nuovo meccanismo di distribuzione degli aiuti, sostenuto da Stati Uniti e Israele, ha diffuso un video dal punto di smistamento dopo l’alba per dimostrare che fosse tutto tranquillo. La Ghf, che opera in maniera indipendente rispetto al meccanismo di aiuti guidato dall’Onu, ha affermato di aver distribuito milioni di pasti dall’inizio delle operazioni, la scorsa settimana. 

Allo stesso tempo, in questo breve periodo sono state segnalate scene di caos nei centri di distribuzione, che sono stati attivati in numero limitato, e ci sono state denunce di Hamas di altri morti e feriti. Per l’Unrwa la distribuzione degli aiuti a Gaza “è diventata una trappola mortale” e la consegna del cibo deve essere fatta “su larga scala e in sicurezza attraverso le Nazioni Unite”, ha sottolineato il capo dell’agenzia per i rifugiati palestinesi Philippe Lazzarini. 

Israele invece ha accusato la fazione che governa la striscia di “fare di tutto per minare gli sforzi di distribuzione di cibo”. Il caso Rafah rischia di porre ulteriori ostacoli agli sforzi per arrivare ad tregua. Sabato Hamas ha risposto al piano dell’inviato Usa Steve Witkoff, chiedendo di tenere aperti anche i negoziati per la fine della guerra e di distribuire il rilascio degli ostaggi in modo più frammentato durante i 60 giorni di tregua, anziché in due momenti, il primo e il settimo giorno. Ma questa controproposta è stata bocciata sia da Israele che dagli Stati Uniti. 

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La palla ora torna i mediatori regionali, Qatar ed Egitto, che hanno fatto sapere di volere “intensificare gli sforzi per far ripartire il dialogo”. In attesa di svolte positive, le ostilità proseguono. Il ministro della difesa Israel Katz ha ordinato alle forze armate di “continuare ad avanzare a Gaza contro tutti gli obiettivi, a prescindere da qualsiasi negoziato, e di utilizzare tutti i mezzi necessari per proteggere i soldati e per eliminare e schiacciare gli assassini di Hamas”. 



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