Il contributo era di 4 mila euro: fino a 3999,96 ci sarebbe stata solo una sanzione
Quattro centesimi, una cifra irrisoria. Eppure, capace di cambiare il destino giudiziario di una persona, in questo caso di un imprenditore che suo malgrado si è ritrovato davanti a un giudice per indebita percezione di erogazioni pubbliche. È una storia che ha contorni che possono apparire paradossali, ma che in realtà sono lo specchio di un codice che delimita ciò che è illecito amministrativo e ciò che invece ricade sotto la scure penale. E in questo caso il confine è di quattro centesimi.
Periodo Covid
Siamo in epoca Covid, un periodo difficile per tanti piccoli imprenditori costretti a chiudere le loro attività o ad aprire con il contagocce, seguendo rigide regole sanitarie. Va da sé che in quell’anno i guadagni subiscono una contrazione ed è anche per venire incontro a questa platea di imprenditori che l’allora governo approva il «decreto Rilancio», un provvedimento che prevedeva erogazioni a sostegno dell’economia e del lavoro. In sostanza, soldi a pioggia a chi era in difficoltà. Soldi a cui punta anche il protagonista di questo processo, un imprenditore di 38 anni difeso dagli avvocati Vittorio e Francesco Pesavento. Il rimprovero che gli muove la Procura è quello di aver «conseguito indebitamente contributi o sovvenzioni» attraverso «la presentazione di dichiarazione falsa» o comunque incompleta.
La richiesta
Nel giugno 2020 l’imprenditore presenta un’istanza per conseguire il contributo a fondo perduto del «decreto Rilancio», nella documentazione scrive che nell’aprile 2019 aveva un fatturato pari a 20 mila euro e che un anno dopo, aprile 2020, l’importo è sceso a zero. A luglio lo Stato, attraverso l’Agenzia delle entrate, gli versa quattromila euro. Ed ecco che entrano in gioco i quattro centesimi: la legge prevede che chi commette questo reato sia punito con la reclusione da sei mesi a tre anni, ma lo stesso articolo specifica che se la somma indebitamente percepita è pari –— o inferiore — a 3.999,96 euro si applica una sanzione amministrativa che prevede il pagamento — al massimo — fino a tre volte quanto percepito.
La decisione del giudice
Ed è così che per quattro centesimi, l’imprenditore finisce davanti al giudice dell’udienza preliminare. Infatti, l’anno dopo aver percepito il contributo, l’Agenzia delle entrate — durante un controllo incrociato — scopre che il 38enne non aveva mai presentato una dichiarazione dei redditi: la storia del fatturato passato da 20 mila a zero, alla base del beneficio economico ricevuto, non era vera. Da qui la denuncia in Procura e l’inchiesta del pm Fabiola D’Errico. L’epilogo nei giorni scorsi, quando l’imputato si ritrova in un’aula: il gup ha dichiarato il non luogo a procedere per «tenuità del fatto». Ma questo non significa che l’Agenzia delle entrate non attiverà la pratica per la restituzione (con annesse sanzioni).
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