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Lavoro e più investimenti sul territorio: c’è una ricetta anti-spopolamento


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Un nuovo uliveto piantato a Supersano (Lecce) – Papelstudio

«Il momento in cui ho capito che tutti noi abitanti eravamo ormai assuefatti dal grigio lo ricordo bene. Uno dei miei tre figli a scuola aveva disegnato un uliveto. Gli alberi, però, erano spogli e grigi a causa della Xylella. Quel paesaggio era entrato nel nostro immaginario». A parlare, senza nascondere le lacrime, è Giuseppe Agrosì, un agricoltore di Supersano, uno degli otto comuni nelle Terre di Mezzo, in Salento. Come molti, a un certo punto ha pensato «di lasciare la Puglia per andare al Nord o all’estero». Gli ulivi secolari, passati di padre in figlio per generazioni, stavano morendo a causa del batterio che dal 2010 ha devastato il territorio. Insieme alla moglie Monica Torsello, però, ha deciso di restare per occuparsi personalmente del disastro, piantare nuovi oliveti e riforestare l’area boschiva attorno. Dopo tanti sacrifici, quest’anno hanno avuto la prima raccolta di olive, e l’area boschiva è diventata anche un luogo didattico dedicato alla biodiversità. «Ma da soli non si vince nessuna battaglia, bisogna essere in molti», aggiunge Giuseppe. Oggi la sua azienda, insieme ad altre dodici imprese locali, fa parte della rete che unisce istituzioni e aziende all’interno di “Santi Paduli”: un progetto dell’associazione Laboratorio Urbano Aperto (Lua) sostenuto con quasi 2,7 milioni di euro dalla Fondazione Con Il Sud, che ha tra i propri obiettivi lo sviluppo del meridione e il contrasto allo spopolamento delle aree interne. «La questione demografica nel Mezzogiorno è centrale – spiega Stefano Consiglio, presidente della Fondazione –. Questo progetto offre un esempio concreto di cosa si può realizzare se si collabora e si offrono opportunità di lavoro dignitoso».

Il paesaggio qui porta ancora i segni della Xylella, che ha sicuramente giocato un ruolo nello spopolamento. Ulivi possenti ma spogli si alternano a quelli giovani ma già rigogliosi. Dove c’erano uliveti secolari talvolta si vedono distese di pannelli solari. “Santi Paduli” contribuisce alla rinascita mettendo il cibo sano al centro di attività di rigenerazione del Parco Paduli, uno spazio di 5.500 ettari che tocca otto comuni, un tempo devastato dal batterio e il degrado. L’olio di Agrosì – insieme a frutti, ortaggi e altri prodotti delle aziende locali – finiscono ogni giorno nelle mense scolastiche: una filiera corta che genera economia diffusa e insegna agli oltre 350 studenti serviti, e ai loro genitori, il rispetto della biodiversità e della stagionalità. Il progetto ha già offerto così nuove opportunità agli agricoltori che partecipano e creerà in tutto 31 posti di lavoro, il 30% destinati a persone con fragilità. I dipendenti saranno impiegati nelle attività che le due cooperative istituite a tale scopo stanno gestendo: mense e cucine scolastiche; l’osteria sociale appena inaugurata a Surano; l’opificio di Nociglia, dove i frutti esclusi dalla grande distribuzione vengono trasformati e valorizzati; la logistica e i nuovi servizi ricettivi, per un turismo lento e sostenibile.

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“Santi Paduli” è partito nel 2022, ma la rinascita del territorio è iniziata già una ventina di anni fa, quando un gruppo di persone, che ha scelto di restare o tornare, avviò una «rivoluzione gentile»: sono loro che adesso, grazie alla Fondazione, provano a potenziare quanto sperimentato finora. Tra i protagonisti c’è Mauro Lazzari, architetto laureato a Firenze, tornato a San Cassiano per «costruire processi e strategie che coinvolgono la comunità, anziché semplici involucri». C’è chi, come il 35enne Luca Cosimo Coluccia, ha studiato Scienze della comunicazione e non ha mai vissuto altrove. «Spesso i genitori pensano che per i figli sia meglio andare via – racconta –, ma se ci si mette, con buona volontà, le occasioni si creano anche qui». Giorgio Ruggeri, stessa laurea, è rimasto con la consapevolezza che «bisognava però ricostruire le ragioni per stare bene in questa terra, dopo che il disseccamento degli ulivi aveva creato una frattura identitaria che lasciava spazio solo a depressione o fuga». L’associazionismo e progetti come questo hanno permesso di vivere qui anche a Francesco Buccarelli, tecnico dei servizi della ristorazione. Attraverso le mense scolastiche ora spera «di educare i bambini a conoscere il territorio e consumare cibo sano, ma anche di dare ad altri la possibilità di contribuire alla rigenerazione». Tra loro pure Stefania Semeraro, che ha studiato e lavorato in provincia di Lecce e poi «ho lasciato un lavoro da contabile a tempo indeterminato in una clinica per seguire il gruppo».

Nella rete di “Santi Paduli” tutti hanno abbracciato una dose di rischio. A Ruffano, per esempio, c’è Marco Reho, che dopo il diploma da perito industriale, ha creato un’azienda in cui si sperimentano ecotipi locali e soluzioni produttive a minore impatto; con lui lavora Giacomo Cavalera, tornato da Bologna dopo gli studi in Lettere perché «lì c’era già tutto, mentre qui bisognava crearlo». Hanno recuperato pratiche di socialità e mutuo aiuto, come la festa della raccolta del grano: «Si raccoglie a mano, con fatica, ma poi si fa festa con i sound system». Anche Gabriele Pirelli è tornato, dopo gli studi alla Bocconi e una carriera nell’export agroalimentare in Lussemburgo, per fondare un pastificio artigianale a Ruffano che valorizza i prodotti del territorio, pagandoli il giusto e assumendosi il rischio dei «costi maggiori della filiera, dalla selezione del seme fino al confezionamento». Infine, tra i produttori che sfidano il sistema portando buon cibo nelle mense e non solo, abbiamo incontrato Pietro Attilio Galati. Avvocato di professione, «ho iniziato per hobby ad allevare 10 galline e presto arriverò a 1.250». Spinto dalla repulsione verso gli allevamenti intensivi, ha creato un’oasi di galline felici, che si nutrono principalmente di insetti e frutti, vivono più a lungo e producono uova di alta qualità. Galati ha già due dipendenti e – come tutti quelli nel progetto – anche lui ora è «felice di dare pure ad altri la possibilità di restare in questa terra che amo».





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