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Paolo Brichetti di CreditAccess: «L’India, un’opportunità per l’Italia»


«L’Italia è molto orientata all’export, che oggi vale circa il 35% del nostro Pil. Gli Stati Uniti, invece, cedono all’estero “solo” il 10% del loro Prodotto interno lordo e, a differenza del nostro Paese, vendono nel mondo perlopiù servizi tecnologici anziché beni prodotti materialmente all’interno dei loro confini. Pertanto, mai come in questo momento, a causa del netto disequilibrio della bilancia commerciale dei singoli Stati e in seguito alle ostili frizioni emerse tra Usa e Cina, lo sviluppo dei flussi commerciali internazionali sta subendo una profonda trasformazione. Parallelamente alla negoziazione dei dazi delegata alla Ue, diventa così necessario costruire nuovi modelli di partnership bilaterali, volte ad aumentare l’internazionalizzazione e la competitività della nostra economia».

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Il bresciano Paolo Brichetti, ispirato anche dalla teoria del premio Nobel alla Pace Muhammad Yunus, promuove da anni un moderno modello di business che lui ha già perseguito in India, fondando in primis, nel 2007, CreditAccess, società che concede microcredito alle piccolissime imprese, in particolare femminili, con l’obiettivo di accelerare la crescita delle zone più rurali d’India e consentendo a tante donne il raggiungimento dell’autonomia lavorativa e la piena partecipazione allo sviluppo della famiglia e della comunità.

«Vede – continua Brichetti – ancora oggi la quasi totalità delle politiche volte a stimolare e regolare gli scambi internazionali si basa sul credito all’export e sullo strumento dei dazi insieme ed altri strumenti non-tariffari volti a mitigare gli squilibri commerciali e la pratica del “dumping”. Seppur l’uso limitato e mirato di questi strumenti abbia quasi sempre svolto nel passato un ruolo positivo, oggi è evidente che un loro uso aggressivo o strumentale irrigidisca il confronto tra Stati e di fatto porta ad una riduzione degli scambi internazionali. Credo sia allora necessario ripensare il paradigma degli scambi internazionali affiancando all’import/export di prodotti, un quadro strategico di sviluppo di altri modelli di cooperazione economica. Ad esempio la struttura dell’accordo “Trust” tra Usa e India, così come l’accordo “Tsi” tra Regno Unito e India, tracciano un’interessate direzione strategica per gli accordi bilaterali futuri».

Nello specifico cosa avvalora questi modelli?

«Il fatto che siano meno (o non solo) accordi finalizzati ad elencare una serie di settori dove ciascuno Stato pensa di poter esportare con reciproca soddisfazione i prodotti delle proprie imprese, ma molto più orientato verso l’incentivazione e lo sviluppo di filiere integrate tra i due Paesi firmatari dell’accordo, nell’ambito della ricerca tecnologica, dello sviluppo prodotti e delle filiere di manifattura integrata. Verso uno sviluppo di innovazione, prodotti e servizi la cui filiera del valore sia composta da porzioni di valore apportati da aziende di entrambi gli stati partner, che operano in modo pienamente integrato dalla fase di ricerca e sviluppo fino alla distribuzione».

Giovedì, il ministero degli Affari esteri organizza a Brescia il Forum imprenditoriale per la crescita Italia-India e lei sarà tra i relatori invitati a quest’appuntamento presieduto dal vice presidente del Consiglio italiano Antonio Tajani e dal ministro del Commercio indiano e dell’Industria Piyush Goyal. Il contenuto del suo intervento partirà da questi concetti?

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«Credo fortemente che oltre al “prodotto made in Italy” abbiamo bisogno di “business in partnership Italia-India”. L’evoluzione degli accordi bilaterali tra i due paesi, inoltre, deve partire da due presupporti di fondo che delineano la volontà di passare da una cooperazione commerciale ad una cooperazione strategica: la condivisione protetta della proprietà intellettuale e la massima valorizzazione della complementarietà nell’apporto di valore».

Il ministro degli Esteri Tajani durante la visita in India – Ansa © www.giornaledibrescia.it

Lei ha viaggiato per dieci anni tra America Latina, Africa e Asia come amministratore delegato di Altromercato, realtà italiana che sviluppa relazioni commerciali con piccole imprese nei Paesi in via di sviluppo, poi, dal 2007, ha scelto di puntare esclusivamente sull’India. Perché?

«L’India è uno Stato-continente governato secondo il modello delle democrazie occidentali in cui vivono 1,4 miliardi di persone e che presenta uno straordinario mix di ingredienti fondamentali per un solido progetto imprenditoriale di lungo periodo: una vigorosa crescita economica che porterà l’India ad essere la terza potenza economica (per Pil) dopo Stati Uniti e Cina entro il 2028, un adeguato piano di sviluppo infrastrutturale digitale e fisico, un solido quadro legale-regolatorio e di protezione degli investimenti e della proprietà intellettuale, una vasta, giovane e dinamica forza lavoro che parla inglese e che nel 2030 vedrà 235 milioni di famiglie costituire la nuova classe media, caratterizzata da un ottimo livello d’istruzione, un reddito intorno ai 1.000 dollari al mese e ancora tanta “fame” di crescita e sviluppo».

Di fronte a questi numeri risulta assai complicato fare dei confronti con l’Italia e trovare punti di sviluppo condivisibili.

«In questi anni, in realtà, ho scoperto anche molte similitudini tra Italia e India che non emergono ad un primo sguardo superficiale. A partire dalla storia dei due Paesi, entrambi impregnati da culture millenarie e caratterizzati da una storia di lotte per la propria identità e indipendenza. Senza trascurare la centralità della famiglia, dei valori universali di solidarietà e giustizia e la profonda umanità della società indiana come di quella italiana. E senza dimenticare la centralità dell’agricoltura, lo spirito imprenditoriale familiare ed artigiano ed infine la morfologia del territorio, due penisole circondate da mari strategici (da monitorare e proteggere), con le catene montuose al proprio Nord che assicurano l’accesso alle risorse idriche e fungono da baluardo».

Aspetti che, evidentemente, non le hanno impedito di incrementare al meglio le sue attività nel Paese, anzi.

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«Insieme ad un management team affiatato e composto da italiani e indiani che mi hanno affiancato sin dall’inizio in CreditAccess e poi con il fondo A-Impact, nel corso degli ultimi 18 anni abbiamo sviluppato in India e sud-est Asiatico 10 imprese attive in diversi settori (retail financial services, fin-tech and AI solutions to the banking sector, contractual manufacturing, tech services to the agro-food value chain and, waste-to-energy / waste-to-recycling projects), che oggi impiegano complessivamente 27.000 persone, si rivolgono a oltre 6 milioni di clienti ed hanno raggiunto una capitalizzazione di mercato intorno ai 2,5 miliardi di Euro. Un sistema di imprese caratterizzato, oltre che da capitale finanziario (equity) prevalentemente italiano, anche e soprattutto da una management leadership mista Italo-Indiana che ha saputo massimizzare la complementarietà delle due culture manageriali e imprenditoriali, con l’obiettivo di raggiungere il miglior risultato possibile».

C’è ancora spazio per fare impresa in India?

«Certamente, non ho alcun dubbio e auspico che presto possa essere avviato un tavolo di confronto serio e strutturato che porti le istituzioni, le imprese, le loro associazioni a delineare insieme le direttrici strategiche per la cooperazione economico strategica Italia-India e che potrebbe tradursi in nuovi e innovativi protocolli di partnership tra i due Paesi».



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