Hai una piccola o media impresa in difficoltà finanziaria e ti chiedi se, nonostante la crisi, puoi ancora ottenere finanziamenti o affidamenti bancari nel 2025? La risposta è sì, ma con regole più rigide, controlli più attenti e strumenti nuovi previsti dal Codice della Crisi d’Impresa.
Molti imprenditori temono che una situazione di tensione finanziaria escluda ogni possibilità di credito. Ma oggi esistono percorsi tracciabili e legali per accedere ai fondi, anche quando la tua azienda è in fase di risanamento o ristrutturazione.
Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto bancario, crisi aziendale e risanamento – ti spiega come funziona l’accesso al credito per le PMI in crisi nel 2025, quali strumenti attivare, cosa valutano oggi le banche e come ottenere liquidità senza rischi per l’imprenditore.
Hai una PMI in crisi e vuoi capire se puoi ancora ottenere credito?
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Introduzione
L’accesso al credito per le PMI in stato di crisi è uno dei temi più delicati e complessi del panorama economico e giuridico odierno. Nel 2025, all’indomani della pandemia e in un contesto di trasformazione digitale e sostenibile, molte piccole e medie imprese italiane si trovano ad affrontare squilibri finanziari o vere e proprie situazioni di crisi. Questa guida avanzata di Studio Monardo offre una panoramica completa e aggiornata (maggio 2025) degli strumenti disponibili, delle normative vigenti e delle prassi operative per ottenere finanziamenti in presenza di difficoltà economico-patrimoniali.
Nei paragrafi che seguono esamineremo dapprima il quadro normativo italiano in materia (in particolare il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, il Decreto “Liquidità” e il Nuovo Fondo di Garanzia PMI 2025), per poi passare ai canali tradizionali di credito bancario e alle loro evoluzioni. Affronteremo quindi le soluzioni finanziarie alternative (fintech, peer-to-peer lending, minibond, direct lending, ecc.), con riferimenti a tutti i principali settori economici – dall’industria al commercio, dal turismo ai servizi, fino all’agricoltura. La guida include esempi pratici e simulazioni (come un esempio di credit scoring e di DSCR), checklist operative per la richiesta di finanziamento e tabelle riepilogative di requisiti e strumenti. Adotteremo un linguaggio rigoroso sul piano giuridico ma chiaro e divulgativo, in modo da rendere comprensibili anche i concetti più tecnici.
Troverete inoltre una sezione di Domande Frequenti (FAQ) che chiarisce i dubbi ricorrenti su questo argomento – ad esempio: un’impresa “in crisi” può ottenere nuovi prestiti? Quali garanzie sono necessarie? Quali tutele prevede la legge per banche e imprese? – e una sezione finale con tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate, per approfondimenti puntuali. È importante notare che ogni situazione di crisi è unica: questa guida offre un quadro generale e strumenti avanzati di orientamento, ma l’assistenza professionale specializzata rimane fondamentale per affrontare singoli casi concreti.
Struttura della Guida:
- Contesto Normativo Attuale: le norme chiave (Codice della Crisi, DL Liquidità, Legge di Bilancio 2025 sul Fondo di Garanzia) e gli obblighi per imprese e banche.
- Canali Tradizionali di Finanziamento: istruttoria bancaria, merito creditizio, garanzie pubbliche e private, gestione delle esposizioni in crisi (incluse moratorie e linee guida ABI 2025).
- Strumenti Alternativi di Finanziamento: panoramica su fintech lending, peer-to-peer, minibond, direct lending, factoring, leasing e altri strumenti fuori dal credito bancario classico.
- Settori Economici: peculiarità di accesso al credito in industria, commercio, turismo, servizi e agricoltura (con focus su strumenti dedicati come ISMEA per l’agricoltura).
- Checklist Operativa: documenti, requisiti e passi da seguire per richiedere credito in situazione di crisi.
- FAQ – Domande Frequenti: chiarimenti rapidi su interrogativi comuni in materia.
- Fonti e Riferimenti: elenco ordinato di normative, sentenze e documenti citati nella guida.
Nota: Per PMI si intendono le micro, piccole e medie imprese ai sensi della definizione UE (meno di 250 dipendenti e fatturato annuo inferiore a 50 mln € o totale attivo <43 mln €). Con stato di crisi ci riferiamo a situazioni di squilibrio economico-finanziario significative, potenzialmente evolutive in insolvenza, come delineate nel Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019). In questo contesto rientrano sia imprese che presentano indicatori di difficoltà (ad es. flussi di cassa insufficienti, perdite rilevanti, patrimoni erosi) sia imprese che hanno già avviato procedure di allerta o composizione negoziata, sino a quelle in concordato preventivo con continuità aziendale. La guida non tratta invece l’accesso al credito delle imprese già in liquidazione o sottoposte a procedure concorsuali liquidatorie (es. fallimento, ora liquidazione giudiziale), in cui il tema del credito nuovo si pone in termini sostanzialmente diversi (salvo riferimenti ai profili di responsabilità pregressa).
Passiamo ora ad esaminare il quadro normativo vigente, per comprendere il contesto entro cui si inseriscono le opportunità e i limiti di finanziamento delle PMI in crisi nel 2025.
Il Quadro Normativo Attuale (maggio 2025)
In Italia, l’accesso al credito per imprese in difficoltà è disciplinato e influenzato da un insieme di norme recenti, frutto sia di riforme strutturali che di misure emergenziali adottate negli ultimi anni. Tre pilastri normativi vanno evidenziati in particolare:
- Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) – entrato pienamente in vigore dal 15 luglio 2022 – che ha ridisegnato gli strumenti di gestione della crisi e introdotto obblighi di early warning e procedure come la composizione negoziata, incidendo sui comportamenti sia delle imprese sia dei creditori (banche incluse) nelle fasi di pre-insolvenza. Il Codice contiene specifiche previsioni volte a favorire nuovi finanziamenti alle imprese in crisi nel contesto di piani di risanamento e procedure concorsuali, bilanciando tali incentivi con la tutela dei creditori esistenti. Approfondiremo a breve disposizioni come quelle sugli effetti dell’accesso alle procedure sulle linee di credito e sul regime di prededuzione dei nuovi finanziamenti.
- Il Decreto-Legge “Liquidità” (D.L. 23/2020, conv. in L. 40/2020) – varato durante l’emergenza Covid-19 – che ha introdotto misure straordinarie di sostegno alla liquidità delle imprese. Questo decreto ha potenziato in modo eccezionale il ruolo del Fondo Centrale di Garanzia per le PMI e di SACE, consentendo l’erogazione di prestiti bancari garantiti dallo Stato su ampia scala. Anche se tali misure straordinarie erano temporanee, i loro effetti si proiettano sul periodo attuale: molte PMI hanno tuttora in essere finanziamenti ottenuti con garanzia pubblica nel 2020-2021 e, in alcuni casi, necessitano di rinegoziazione o allungamento. Inoltre, il DL Liquidità ha rappresentato un precedente importante, influenzando le politiche creditizie e sensibilizzando sul tema dell’accesso al credito in condizioni di stress finanziario.
- La Legge di Bilancio 2025 e la riforma del Fondo di Garanzia PMI – con la Legge 30 dicembre 2024 n. 207, in vigore da gennaio 2025, sono state prorogate e in parte modificate le regole di accesso al Fondo di Garanzia per le PMI fino al 31 dicembre 2025. Questa “nuova fase” del Fondo di Garanzia (che potremo chiamare Nuovo Fondo PMI 2025) introduce percentuali di copertura diverse per finanziamenti di liquidità e investimento, estende la platea anche a medie imprese fino a 499 dipendenti (MidCap) sia pur con garanzie ridotte, e mantiene criteri di ammissibilità legati al merito di credito e al rating dell’impresa. Tale riforma, collegata al cosiddetto DL Fisco-Anticipi (D.L. 145/18-10-2023 convertito a fine 2023), mira a stabilizzare e rendere strutturale l’utilizzo del Fondo nella fase post-emergenziale, integrandolo con obiettivi di innovazione e sostenibilità in linea col PNRR.
Vediamo più in dettaglio ciascuno di questi aspetti normativi, perché costituiscono la “cornice” all’interno della quale un’operazione di credito a favore di un’azienda in crisi deve essere inquadrata.
Codice della Crisi d’Impresa: obblighi e incentivi per il finanziamento del risanamento
Il Codice della Crisi e dell’Insolvenza (CCII) ha introdotto un approccio nuovo alla gestione delle difficoltà aziendali, basato su due direttrici fondamentali: da un lato, obblighi di segnalazione e intervento tempestivo a carico degli organi sociali e di controllo dell’impresa; dall’altro, strumenti e procedure per il risanamento che prevedono anche meccanismi di tutela per chi decide di finanziare l’impresa durante la crisi. Per gli avvocati e i consulenti di impresa, è essenziale comprendere come queste norme incidano sui rapporti banca-impresa e sulle possibilità di ottenere credito.
Sul versante degli obblighi, ricordiamo che già dal 2019 il legislatore ha modificato l’art. 2086 c.c., imponendo agli amministratori di dotare la società di assetti adeguati a rilevare tempestivamente la crisi e a prendere le idonee iniziative. Inoltre, dal 2024, sono operative le disposizioni (novellate da un correttivo a settembre 2024) che estendono esplicitamente ai revisori legali e agli organi di controllo societari il dovere di segnalare situazioni di crisi ai vertici aziendali (art. 25-octies CCII). In pratica, se indicatori significativi (come il DSCR o rilevanti ritardi nei pagamenti di debiti fiscali/previdenziali) segnalano che l’impresa può trovarsi in crisi o insolvenza, sindaci e revisori devono avvisare formalmente l’organo amministrativo affinché attivi tempestivamente uno strumento di regolazione (ad esempio la composizione negoziata, un accordo di ristrutturazione dei debiti o un concordato preventivo). Queste norme di early warning sono rilevanti per il nostro tema perché mirano a far emergere il problema prima che diventi troppo grave, creando le condizioni per conservare il valore aziendale e la fiducia dei finanziatori. Un’azienda che affronta la crisi per tempo, infatti, ha maggiori chance di ottenere nuova finanza (magari sotto condizioni) rispetto a una che nasconde le difficoltà fino al tracollo.
Parallelamente, il Codice della Crisi ha previsto strumenti di soluzione negoziale (si pensi alla Composizione Negoziata della crisi ex D.L. 118/2021, ora integrata nel CCII) e concorsuale (come il Concordato Preventivo in continuità aziendale o gli Accordi di ristrutturazione del debito) volti al risanamento dell’impresa. In tali contesti, la normativa tutela ed incentiva l’apporto di nuove risorse finanziarie necessarie per attuare il piano di risanamento:
- L’art. 16 CCII stabilisce che l’avvio della composizione negoziata non è di per sé causa di revoca o sospensione delle linee di credito bancarie esistenti, né di automatica riclassificazione a sofferenza delle esposizioni. Ciò significa che se un imprenditore accede a questa procedura di allerta assistita da un esperto indipendente, le banche non dovrebbero reagire riducendo o revocando gli affidamenti unicamente a causa di tale notizia. È una previsione importante, volta a mantenere la liquidità durante le trattative di risanamento. In pratica, la classificazione del credito in Centrale Rischi e bilancio bancario dovrà tenere conto del piano presentato e delle prospettive di miglioramento, non scattare immediatamente a default solo perché c’è una procedura negoziale in corso. Ciò tutela l’impresa (che altrimenti verrebbe “strozzata” dalla chiusura dei fidi proprio mentre tenta di salvarsi) ma al tempo stesso offre una cornice chiara alle banche su come comportarsi in questi frangenti.
- L’art. 22 CCII consente, nell’ambito della composizione negoziata, di chiedere al Tribunale l’autorizzazione a contrarre nuovi finanziamenti prededucibili (ossia che, in caso di successiva insolvenza, saranno rimborsati con priorità su altri debiti). Questa autorizzazione viene concessa se il giudice valuta che i nuovi fondi sono funzionali alla continuità aziendale e al miglior soddisfacimento dei creditori. Non è dunque un via libera indiscriminato, ma un meccanismo che – in presenza di un progetto di risanamento credibile – permette di offrire ai finanziatori una garanzia legale forte: quella di essere soddisfatti per primi (in prededuzione) qualora le cose non andassero secondo i piani. Ad esempio, se durante la composizione negoziata l’impresa ha bisogno di un prestito ponte per pagare fornitori critici, la banca potrebbe erogarlo sapendo di avere questo privilegio, previa autorizzazione tribunale.
- In maniera analoga, in caso di concordato preventivo in continuità o di accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, l’art. 101 CCII dispone che i finanziamenti effettuati in esecuzione del piano omologato e previsti nel piano stesso sono considerati prededucibili. Ciò si ricollega al previgente art. 182-quater L.F. e significa che, se un’impresa ottiene nuovi prestiti come parte del piano di concordato o accordo (già approvato dai creditori e omologato dal tribunale), quei finanziatori godranno di un diritto di prelazione generale in caso di successivo fallimento (liquidazione giudiziale). Importante: questa protezione viene meno solo se poi si scopre che il piano era falsato da dati fraudolenti e che i finanziatori ne erano consapevoli (art. 101, co.2 CCII) – clausola che scoraggia collusioni, ma in circostanze normali dà tranquillità ai finanziatori onesti.
- Inoltre, l’art. 99 CCII permette, prima dell’omologazione di un concordato preventivo, che il tribunale autorizzi finanziamenti “in funzione” del concordato (cioè necessari per gestire l’impresa nel periodo di attesa, ad esempio per lavorare sugli ordini in portafoglio), anche in questo caso con la garanzia della prededuzione. È il caso cosiddetto del “DIP financing” all’italiana, seppur con le peculiarità procedurali nostrane: la banca che finanzi l’impresa mentre il concordato è pendente, con autorizzazione giudiziale, sa di poter essere rimborsata con precedenza se il concordato poi fallisce.
- Infine, il Codice (riprendendo già l’art. 67, co.3, lett. d) L.F. in vigore da anni) conferma la non assoggettabilità ad azione revocatoria fallimentare per i finanziamenti effettuati in esecuzione di un piano di risanamento attestato (piano attestato di risanamento secondo l’art. 56 CCII). Significa che se una banca o un investitore finanziano un’impresa sulla base di un piano attestato da un professionista indipendente che ne certifica la fattibilità e l’idoneità a risanare l’impresa, e poi comunque l’impresa fallisce, quel finanziamento non potrà essere “attaccato” dal curatore per farselo restituire (salvo il caso di dolo/frode). Questa esenzione dalle revocatorie è cruciale per incoraggiare le banche a concedere credito durante la crisi su basi razionali e documentate, senza il timore di vedersi revocare le somme se il salvataggio non riesce.
In sintesi, il diritto vigente incoraggia la finanza di risanamento: da un lato vietando alle banche di “scappare” al primo segnale di crisi (vedi il divieto di revoca fidi solo per l’accesso alla composizione negoziata) e dall’altro offrendo a chi finanzia un turnaround aziendale scudi legali (prededuzione, esenzione da revoche) per il caso in cui le cose vadano male. Per contro, resta ferma la responsabilità degli amministratori di non abusare del credito e di non aggravare la situazione indebitandosi oltre misura senza prospettive concrete di salvataggio: un tema che vedremo trattato dalla giurisprudenza con il concetto di abusiva concessione del credito.
Dal lato dei creditori, in particolare delle banche, queste norme implicano un cambio di mentalità: non più chiusura automatica dei rubinetti al segnale di crisi, ma valutazione caso per caso delle prospettive di risanamento. Se c’è un business plan serio e una procedura in atto, la banca può (e in certi casi dovrebbe) continuare a supportare l’impresa – eventualmente rinegoziando le condizioni – anziché precipitarla nel default. D’altra parte, se il piano non c’è o è manifestamente irrealistico, finanziare ulteriormente l’impresa potrebbe esporre la banca a contestazioni di responsabilità (come vedremo nelle sentenze).
Il Decreto “Liquidità” e i provvedimenti emergenziali: effetto sul credito alle imprese in crisi
Il Decreto-Legge 23/2020 (noto come Decreto Liquidità, convertito con modifiche dalla L. 5 giugno 2020 n. 40) ha rappresentato una risposta eccezionale alla crisi pandemica, ma i suoi effetti si intrecciano ancora con la tematica dell’accesso al credito per le PMI in difficoltà nel 2025. Questo decreto, varato in pieno lockdown, ha introdotto due misure chiave:
- Finanziamenti garantiti dallo Stato al 100% o 90% tramite il Fondo Centrale di Garanzia PMI (gestito da Mediocredito Centrale) per prestiti fino a un certo importo (inizialmente 25.000 €, poi elevato). Grazie a questa garanzia pubblica, le banche hanno potuto erogare prestiti rapidamente anche a imprese colpite dalla crisi Covid, riducendo il proprio rischio praticamente a zero nel caso dei piccoli prestiti. L’accesso a tali garanzie era soggetto a criteri semplificati e – importante sottolinearlo – a una temporanea deroga alla normativa UE sugli aiuti di Stato che normalmente escludeva le “imprese in difficoltà” (secondo la definizione UE) dalla possibilità di ricevere aiuti o garanzie pubbliche. In pratica, per il periodo dell’emergenza le imprese che già a fine 2019 erano finanziariamente fragili hanno potuto comunque ottenere prestiti garantiti, cosa altrimenti vietata. Questo significa che molte imprese già in crisi prima del Covid (o che lo sono entrate durante la pandemia) hanno contratto nuovi debiti con copertura statale. Tali finanziamenti “emergenziali” avevano generalmente durata fino a 6 anni con inizio rimborso dopo 24 mesi (due anni di pre-ammortamento).
- Garanzie SACE per medio-grandi imprese: il Decreto Liquidità ha istituito uno schema parallelo per le imprese oltre i limiti PMI (in particolare MidCap e corporate più grandi), con garanzie statali tramite SACE (la società pubblica di assicurazione crediti) su finanziamenti bancari. Anche qui percentuali elevate (70-90%) di garanzia per prestiti destinati a capitale circolante e investimenti, con durata fino a 6 anni. Ciò ha incluso anche alcune PMI che eccedevano i massimali del Fondo o richiedevano importi molto elevati. SACE ha gestito poi ulteriori schemi durante altre crisi (ad es. Garanzia SupportItalia per le imprese impattate dal caro-energia 2022), sempre con logica simile.
Perché queste misure sono rilevanti nel 2025? Per vari motivi pratici e normativi:
- Strascichi finanziari: Molte PMI si trovano nel 2025 a dover rimborsare i prestiti ottenuti nel 2020-21. Il peso delle rate può contribuire allo stato di crisi attuale, specie se la ripresa del fatturato è stata lenta o discontinua. Il legislatore ha consentito alcune rinegoziazioni di quei finanziamenti: ad esempio, è stata data la possibilità di allungare la durata fino a 10 anni (rispetto ai 6 iniziali) e, in alcuni casi, di accordare un ulteriore periodo di moratoria o un incremento del 10-25% dell’importo per nuova liquidità in cambio dell’estensione. Molte banche, su invito anche dell’ABI, hanno quindi rivalutato quei piani di rientro e, quando sostenibile, li hanno distesi su orizzonti maggiori, per ridurre l’incidenza annua delle rate. Per un’impresa in difficoltà che abbia tali debiti, è cruciale sapere che esiste la possibilità di rinegoziare i prestiti garantiti, presentando adeguata documentazione alla banca e – se la garanzia pubblica è ancora in essere – rispettando le condizioni poste da Mediocredito Centrale o SACE per la modifica (tipicamente, viene mantenuta la garanzia se l’estensione è concordata e se l’impresa rientra ancora nei parametri).
- Esperienza bancaria: l’erogazione massiva di credito garantito ha “abituato” le banche italiane a fare affidamento sul Fondo di Garanzia come strumento di mitigazione del rischio. In alcuni periodi del 2020, la quasi totalità dei nuovi prestiti alle PMI era coperta da garanzia pubblica. Ciò ha portato allo sviluppo di procedure più snelle e veloci (data la garanzia, le banche hanno alleggerito parte dell’istruttoria) e a un dialogo più stretto con l’organismo gestore del Fondo. Nel post-pandemia, sebbene le garanzie non siano più totalizzanti, questa esperienza ha lasciato un’impronta: oggi è prassi comune considerare la richiesta della garanzia statale come parte integrante di molte operazioni di finanziamento alle PMI, soprattutto se presentano elementi di rischio. Per un’impresa in crisi, questo significa che l’ottenimento della garanzia pubblica può fare la differenza tra un “sì” e un “no” della banca. Approfondiremo nel prossimo paragrafo le attuali regole del Fondo, ma è importante contestualizzare che la cultura del credito 2025 tiene fortemente conto di questi strumenti pubblico-privati.
- Quadro normativo UE sugli aiuti: dal 2023 si è tornati al regime ordinario sugli aiuti di Stato, dopo la parentesi del “Temporary Framework” COVID. Il regime ordinario (Regolamento UE n.651/2014 e successive modifiche) esclude le imprese in difficoltà dalla maggior parte degli aiuti, incluse le garanzie statali, salvo alcune eccezioni. Dunque, al di fuori di misure temporanee (come un Temporary Crisis Framework varato per la crisi Ucraina fino a fine 2023), un’azienda che al 2025 è formalmente “impresa in difficoltà” secondo la definizione UE (perdita di oltre metà del capitale sociale, oppure default su prestiti, ecc.) non potrebbe ottenere nuove garanzie pubbliche. Su questo punto è necessaria chiarezza: il Fondo di Garanzia PMI normalmente non accetta imprese in difficoltà ai sensi UE. Durante il 2020-21, come detto, c’era una deroga che lo consentiva, ma ora la regola standard è tornata. Ciò significa che se un’impresa è tecnicamente fallita (capitale azzerato o negativo, in procedura concorsuale, etc.), il Fondo non potrà garantire nuovi crediti, a meno che rientri in eccezioni (ad esempio, le startup innovative sotto 3 anni non sono considerate “in difficoltà” anche se in perdita, oppure imprese che erano sane a fine 2019 ma poi sono peggiorate, potrebbero essere ammissibili a taluni aiuti entro certi limiti). Questo vincolo giuridico va tenuto presente: più avanti vedremo come valutare lo status di impresa in difficoltà e le alternative se la garanzia statale non è accessibile.
In sintesi, il Decreto Liquidità ha salvato molte imprese dando ossigeno finanziario immediato, ma ha anche generato nuovi debiti che oggi vanno gestiti. La normativa connessa, pur rientrata nell’alveo ordinario, ha lasciato strumenti (garanzie) e consapevolezza dell’importanza di intervenire prima che i problemi degenerino.
Un consiglio operativo derivante da questo contesto: se la vostra PMI ha in essere un prestito COVID garantito e si trova in difficoltà nel rimborso, valutate con la vostra banca la possibilità di ridefinire il piano (ad esempio passando da 6 a 8-10 anni, magari utilizzando la quota di garanzia residua). Molte banche hanno accordi quadro per farlo, purché l’impresa dia evidenza di poter proseguire l’attività e rimborsare su tempi più lunghi. Questo può evitare di arrivare a insolvenza conclamata. Inoltre, sfruttare eventuali moratorie private: l’ABI ha più volte promosso accordi settoriali per la sospensione temporanea delle rate alle PMI in crisi (ad es. moratorie “Covid” poi Post-Covid). A maggio 2025 l’ABI, insieme alle associazioni imprenditoriali, ha emanato nuove linee guida per facilitare la sospensione dei finanziamenti alle imprese in temporanea difficoltà. Le banche aderenti valutano caso per caso, considerando se la difficoltà è transitoria e se ci sono garanzie a supporto. Avere un prestito già garantito dal Fondo PMI o da ISMEA/SACE aiuta la concessione di moratorie, perché la banca si sente più tutelata nel congelare il credito per qualche mese. Pertanto, dialogate con l’istituto: le linee guida ABI 2025 incoraggiano soluzioni consensuali, evitando la segnalazione immediata a sofferenza se c’è margine di recupero.
La riforma 2025 del Fondo di Garanzia PMI: regole, criteri e novità
Il Fondo Centrale di Garanzia per le PMI merita una sezione dedicata, poiché è uno strumento cardine per l’accesso al credito, ancor più per imprese con profili di rischio elevati (come quelle in crisi). La Legge di Bilancio 2025 ha prorogato sino a fine 2025 le regole temporanee già in vigore nel 2023 (post emergenza) con alcune modifiche, consolidando di fatto un nuovo assetto “a regime” del Fondo. Riassumiamo i punti salienti di queste regole 2025 (in vigore dal 1° gennaio 2024, a valere per tutto il 2025):
- Massimale garantito: confermato il massimo importo garantito per singola impresa pari a 5 milioni di euro. Questo significa che la somma di tutte le garanzie del Fondo ottenute da un’impresa (anche su più operazioni) non può eccedere 5 mln€. È il tetto storico del Fondo, mantenuto anche dopo l’emergenza.
- Percentuali di copertura della garanzia: sono state uniformate per finalità:
- 80% dell’importo del finanziamento per operazioni finalizzate agli investimenti (acquisto macchinari, impianti, immobili, progetti di sviluppo). Anche le operazioni verso imprese nuove o con <3 anni di attività – non facilmente valutabili col modello di rating – rientrano in questo 80%. Dunque, se la PMI richiede un mutuo per investire (espandere l’attività, digitalizzazione, transizione verde, ecc.), il Fondo copre fino all’80% del capitale. Esempio pratico: un ristoratore che vuole rinnovare completamente la cucina con un finanziamento di 100.000 € può ottenerlo coperto al 80% dal Fondo (quindi 80.000 € garantiti). La banca, avendo un rischio effettivo di soli 20.000 €, sarà più propensa ad approvare il prestito.
- 50% dell’importo per operazioni di liquidità e capitale circolante. Questa è una novità della riforma: in precedenza (2022-23) la copertura per liquidità poteva arrivare al 60% (55% per talune classi di rating), ora è fissata al 50% per tutti, indipendentemente dal merito creditizio. La logica è che i prestiti di liquidità sono più rischiosi (non generano asset a garanzia immediata) e quindi lo Stato copre una quota minore, lasciando almeno metà rischio alla banca per evitare finanziamenti “facili” che possano alimentare solo indebitamento. Esempio pratico: un commerciante che chiede 50.000 € di liquidità per far fronte a un calo temporaneo di incassi potrà avere la garanzia su 25.000 € (50%), la banca esposta per l’altro 50%. Ciò obbliga la banca a valutare con attenzione la richiesta – se concede, significa che ritiene comunque solvibile l’azienda sulla metà non garantita. Dal lato impresa, il vantaggio c’è (50% di rischio in meno per la banca) ma è meno forte rispetto ai finanziamenti per investimento.
- Esclusione delle imprese in fascia di rischio 5: il Fondo non ammette al beneficio le imprese classificate nella fascia 5 secondo il proprio modello di valutazione interno. La “fascia 5” rappresenta la peggiore classe di merito creditizio. In pratica, se l’azienda è valutata troppo rischiosa, viene rigettata la copertura. Questo introduce un filtro di qualità: durante l’emergenza Covid il Fondo ammetteva quasi chiunque, ora invece torna a selezionare. Discuteremo a breve come funziona il Rating MCC.
- Microcredito: rimane una disciplina ad hoc. Per micro-finanziamenti fino a 40.000 € (o fino a 50.000 € in certi casi) rivolti a microimprese o professionisti, la garanzia è all’80%. Se il microcredito è erogato con la formula della riassicurazione tramite un Confidi, la soglia sale a 80.000 € di importo massimo garantibile. Questo segmento è pensato per le piccolissime attività che spesso non hanno garanzie reali: l’80% pubblico dovrebbe stimolare gli intermediari (banche o operatori di microcredito) a prestare importi modesti ma vitali per l’avvio o il consolidamento.
- Operazioni di importo ridotto (“small ticket”): la riforma 2025 ha innalzato a 100.000 € l’importo massimo per poter usufruire di procedure semplificate se la richiesta proviene da soggetti convenzionati che certificano il merito di credito. In pratica, se un’operazione di piccolo importo (prima il limite era 80k, ora 100k) è presentata attraverso un Confidi o altro garante autorizzato, e questo soggetto effettua una valutazione sul merito creditizio dell’impresa, il Fondo può garantire fino a 100k con processi snelli. Ciò incentiva le PMI con bisogni finanziari contenuti a passare per Confidi/local partners, ottenendo decisioni rapide. Esempio: un artigiano necessita di 40.000 € per acquistare un nuovo tornio: tramite Confidi può chiedere garanzia 80%. Se poi vorrà un secondo piccolo prestito, sa che la soglia cumulata spinge fino a 100k senza complicazioni aggiuntive.
- Estensione alle MidCap: introdotta la possibilità di garantire anche imprese più grandi di una PMI tradizionale, ossia fino a 499 dipendenti (definite MidCap). Questa estensione è però subordinata all’autorizzazione UE caso per caso (visto il tema aiuti di Stato) e prevede percentuali di copertura ridotte: 30% per operazioni di liquidità, 40% per investimenti. L’idea di fondo è supportare aziende di medie dimensioni altrimenti scoperte, ma con un ombrello meno esteso (quindi più symbolic, potremmo dire). Esempio: un’impresa manifatturiera con 300 dipendenti che investe 2 milioni € in una linea produttiva potrebbe ottenere il 40% garantito (800k). La banca si accolla il 60%, ma avere quasi metà importo protetto dallo Stato è comunque un incentivo notevole.
- Costo della garanzia: per la maggior parte delle operazioni ordinarie, la garanzia del Fondo è gratuita per le micro-imprese e per le PMI in generale continua ad essere a costo zero o con commissioni minime. È stata eliminata, ad esempio, la commissione di mancato perfezionamento (penale che pagava l’impresa se otteneva la garanzia ma poi rinunciava al finanziamento). Questa scelta punta a non gravare sulle imprese già in affanno con costi aggiuntivi.
- Settori prioritari e politiche di sviluppo: sebbene la normativa di base sia uguale per tutti, sono state previste riserve e bonus per alcuni settori/obiettivi strategici:
- Transizione digitale e verde: il Fondo 2025 prevede incentivi specifici (spesso indiretti) per progetti di digitalizzazione e sostenibilità ambientale, in linea con gli obiettivi del PNRR. Ad esempio, attraverso sezioni speciali finanziate da programmi europei (PN “Ricerca, innovazione e competitività verde e digitale”) è possibile ottenere priorità di istruttoria o coperture dedicate per investimenti in tecnologie 4.0, energie rinnovabili, efficientamento, ecc.. Questi benefici possono tradursi in tassi agevolati applicati dalla banca grazie a controgaranzie europee o fondi perduti per abbattere gli interessi.
- Imprese del Mezzogiorno: la legge di Bilancio ha affiancato alle garanzie anche misure di decontribuzione e incentivi fiscali per imprese meridionali, e alcune sezioni speciali del Fondo (come Resto al Sud) sono rifinanziate. In pratica, per un’impresa in crisi del Sud Italia, potrebbero esserci strumenti cumulativi: es. garanzia 80% + esonero contributivo parziale per 12-24 mesi se assume o mantiene livelli occupazionali, ecc. Il costo del credito può così ridursi. Inoltre gli enti locali spesso integrano: la Sezione speciale Regione Sicilia, Sardegna ecc. offrono coperture aggiuntive o plafonds dedicati.
- Imprenditoria femminile e giovanile: rimangono attive sezioni speciali che riservano fondi per imprese a conduzione femminile o under 35, startup innovative, ecc., con criteri a volte più elastici (ad esempio, per startup innovative c’è la copertura all’80% su liquidità equiparata all’investimento). Anche il microcredito donna ha soglie aumentate. Questi aspetti sono di nicchia ma importanti se l’impresa in crisi rientra in tali categorie, perché si sommano opportunità (ad esempio contributi a fondo perduto combinati con prestiti garantiti).
- Terzo settore ed enti non profit: Novità del 2025 è l’estensione del Fondo anche agli enti del Terzo Settore iscritti al RUNTS, per finanziamenti fino a 60k senza modello di valutazione. Ciò può rilevare per cooperative sociali, associazioni con attività d’impresa, ecc., che nel 2025 affrontano crisi post-pandemia (si pensi a enti culturali, palestre sociali, ecc.). Ora anch’essi possono ottenere garanzie su piccoli crediti per ripartire.
Un punto cruciale per le imprese in crisi è capire se e come si è eleggibili alla garanzia. Come accennato, serve non essere un’“impresa in difficoltà” in senso comunitario. In termini pratici:
- Se la vostra società ha perduto oltre la metà del capitale sociale per perdite cumulate e più del 25% di tali perdite si è verificato nell’ultimo esercizio, oppure se sussistono altre condizioni (procedura concorsuale in corso, esposizioni bancarie scadute >90 giorni su larga parte del debito, ecc.), allora potrebbe ricadere nella definizione UE di impresa in difficoltà. In tal caso la richiesta di garanzia verrà rigettata, a meno che non sia un’impresa giovane (costituita da meno di 3 anni, che per definizione UE non può ancora essere classificata in difficoltà anche se ha bilanci in perdita).
- La banca (o confidi) che istruirebbe la pratica di garanzia vi farà compilare un’autodichiarazione sul fatto di non essere impresa in difficoltà e non avere aiuti illegali da rimborsare. Attenzione: dichiarare il falso espone a gravi rischi legali oltre che all’obbligo di restituzione dell’eventuale aiuto indebito. Quindi fate con il vostro professionista un check veritiero dello status. Se risultate formalmente “in difficoltà”, alternative potrebbero essere: usare garanzie confidi private (non soggette a regole UE aiuti), oppure ricorrere a strumenti come il Fondo Salvaguardia Imprese (un fondo pubblico che entra nel capitale o finanzia certe imprese in crisi di medie dimensioni), o ancora puntare su investitori privati o conversione debiti in equity, come vedremo nelle sezioni successive.
Il modello di valutazione (Rating MCC): Il Fondo di Garanzia, per ammettere o meno un’impresa (e per qualche aspetto anche decidere la percentuale di copertura, quando non fissa), si basa su un modello di scoring proprietario gestito da Mediocredito Centrale. Nel 2025 è in vigore il cosiddetto “Nuovo Modello di Rating” (aggiornato nel 2021 e successivi ritocchi) che suddivide le imprese in 5 classi di merito (dalla 1 alla 5). Le classi 1-4 sono ammissibili (con 1 = rischio minore, 4 = rischio elevato), la classe 5 è esclusa. Il rating MCC misura la probabilità di inadempimento dell’impresa a un anno. Più l’azienda è solida, meno avrebbe bisogno della garanzia statale (infatti tende a ottenerla solo se proprio necessaria); viceversa un’azienda debole ne avrebbe più bisogno, ma se è troppo debole (classe 5) non viene aiutata per non sprecare risorse pubbliche.
Gli ingredienti del rating MCC sono: i dati di bilancio degli ultimi due esercizi, i dati andamentali di Centrale Rischi degli ultimi 6 mesi, il settore di attività e forma giuridica, eventuali informazioni creditizie da Credit Bureau privati. Il modello è complesso ed è tarato statisticamente. Per esempio, per un’impresa manifatturiera SRL il sistema guarderà a indicatori come: indice di liquidità, indice di indebitamento, redditività, patrimonializzazione, andamento utilizzi fidi vs accordati, presenza di sconfinamenti o ritardi, ecc. Il punteggio grezzo viene poi classificato in fascia 1-5. Curiosità: in realtà internamente il modello produce uno score su 12 classi (F1-F12) che poi vengono aggregate in 5 fasce. Ad esempio, F1-F3 corrispondono alla fascia 1 MCC (la migliore); F10-F12 corrispondono alla fascia 5 (la peggiore). Questo perché il modello ha più granularità, ma all’utente finale (la banca e l’impresa) comunica solo la fascia.
Effetti del rating: Se l’impresa risulta in fascia 4 o migliore, la garanzia si può concedere (nei limiti e percentuali visti). Se è in 5, come detto no. Inoltre, storicamente il Fondo modulava le percentuali di copertura anche in base al rating: ad esempio prima del 2020 un’azienda in fascia debole otteneva una copertura minore (perché si voleva che la banca avesse più skin-in-the-game su soggetti rischiosi). Nel 2025, con la semplificazione 80/50%, rimane poca modulazione: di fatto, la differenza principale è tra ammesso (fino a 80 o 50%) ed escluso. Tuttavia, è utile sapere che se un’impresa è borderline tra classe 4 e 5, anche una piccola miglioria nei dati (ad es. ridurre un utilizzo in centrale rischi prima di fare domanda, o presentare bilanci aggiornati che mostrano un recupero di marginalità) può spostarla in 4 e quindi rendere possibile la garanzia. Suggerimento pratico: esiste un Portale MCC accessibile alle imprese (previa registrazione) dove poter effettuare simulazioni di rating inserendo i propri dati. Questo strumento è prezioso: si può provare diversi scenari (es. cosa succede se conferisco denaro e miglioro il patrimonio netto? o se riduco certi affidamenti?) e vedere come cambia la classe, prima di presentare ufficialmente la richiesta in banca. Molte associazioni di categoria (Confindustria, CNA ecc.) offrono assistenza in tal senso; ad esempio a Milano c’è l’applicativo Bancopass che aiuta l’impresa a calcolare da sé il rating MCC e predisporre il dossier per la banca.
Requisiti generali per l’uso del Fondo: riassumendo dal punto di vista legale:
- Essere PMI (o MidCap se autorizzato) e iscritta al Registro Imprese, oppure professionista con P.IVA.
- Non operare in settori esclusi (pochi, es. gioco d’azzardo, armi, pornografia, essenzialmente quelli esclusi da normative etiche).
- Non essere in liquidazione volontaria né soggetta a procedure concorsuali di insolvenza (fallimento, concordato liquidatorio, ecc.).
- Non essere impresa in difficoltà ai sensi UE (salvo eccezioni per startup e piani di turnaround già in corso con certe caratteristiche).
- Avere capacità finanziaria sufficiente: come dice MCC, “situazione finanziaria sostenibile” valutata tramite il rating. In pratica coincide col rating sopra soglia.
- Presentare una domanda tramite un soggetto finanziatore aderente (banca, confidi o altro intermediario convenzionato). L’impresa quindi non può rivolgersi da sola direttamente al Fondo, ma deve passare per la banca a cui chiede il finanziamento.
Nel capitolo seguente vedremo il processo da seguire per accedere al Fondo e ottenere il credito bancario garantito, nel più ampio contesto delle prassi bancarie tradizionali.
Per concludere questa parte normativa, sottolineiamo che conoscere e sfruttare il Fondo di Garanzia è spesso fondamentale per un’impresa in crisi: molte operazioni che sarebbero ritenute troppo rischiose da una banca possono diventare fattibili se lo Stato si fa carico di gran parte del rischio. Tuttavia, il Fondo non risolve tutto: come abbiamo visto, richiede comunque un merito minimo e lascia una quota di rischio al finanziatore. Inoltre, attiva una responsabilità in capo all’impresa garantita: in caso di escussione (ossia se il Fondo paga la banca perché l’impresa non rimborsa il prestito), quel debito verso lo Stato rimane, e Mediocredito Centrale (per conto del Ministero) potrà rivalersi sull’impresa o sui suoi garanti per recuperare il pagato. Quindi non va inteso come “fondo perduto”: è una rete di sicurezza che però comporta obblighi di restituzione in surroga.
Passiamo ora ad esaminare come funziona l’accesso al credito sul piano operativo e bancario, prima di esplorare gli strumenti alternativi fuori dal circuito tradizionale.
Finanziamento Bancario Tradizionale alle PMI in Crisi
Il canale bancario tradizionale rimane, anche nel 2025, la via principale attraverso cui le PMI italiane reperiscono credito esterno. Tuttavia, quando un’azienda versa in condizioni di crisi o tensione finanziaria, la relazione banca-impresa subisce inevitabilmente delle tensioni: l’istruttoria diventa più rigorosa, il merito creditizio viene passato al setaccio e spesso l’erogazione di nuovi fondi è condizionata a garanzie o interventi straordinari. In questa sezione analizzeremo:
- Come le banche valutano una richiesta di credito da parte di un’impresa in crisi (il processo di credit analysis e gli indici chiave, inclusa l’importanza del cash flow e del DSCR).
- Quali sono le garanzie e covenants che una banca può richiedere (dalle garanzie reali e personali alle garanzie pubbliche come il Fondo di Garanzia già discusso).
- Quali pratiche sono consigliate all’impresa per migliorare l’accessibilità al credito (es. presentazione di un piano industriale di risanamento ben fatto, trasparenza informativa, eventuale coinvolgimento di advisor).
- Come funziona la gestione del credito bancario in essere quando l’impresa entra in crisi: rinegoziazione, moratorie, consolidamento debiti, ecc., alla luce anche delle linee guida ABI 2025 per il supporto alle imprese in difficoltà.
- Infine, i profili di responsabilità e giurisprudenza: cos’è la concessione abusiva di credito, quali rischi corrono le banche e come ciò si riflette sulla loro propensione a finanziare aziende decotte.
Si noti che in questa parte useremo un linguaggio tecnico-bancario misto a riferimenti giuridici, proprio perché la valutazione del credito è un’attività interdisciplinare: i responsabili crediti delle banche devono seguire normative di vigilanza (Basilea, EBA) e al contempo evitare implicazioni legali. Allo stesso modo, il consulente d’impresa deve saper tradurre i piani aziendali nel “linguaggio” che la banca comprende, fatto di numeri e indicatori.
Valutazione del merito creditizio e importanza dei flussi di cassa
Per un’impresa solida, la concessione di credito può basarsi su bilanci storici e garanzie standard. Ma per un’impresa in crisi, la banca concentrerà l’attenzione su due aspetti fondamentali: la capacità prospettica di rimborso e le prospettive di risanamento. In altri termini: “Questa azienda sarà in grado di generare abbastanza cassa da ripagarmi il prestito (più interessi) alle scadenze? E ha un piano credibile per uscire dalla crisi che giustifichi la fiducia che le sto accordando con nuovi soldi?”.
Gli strumenti principali che la banca utilizza per rispondere a queste domande sono:
- L’analisi dei bilanci degli ultimi anni (di solito gli ultimi due esercizi, anche tre se disponibili). Tuttavia, i bilanci di un’azienda in crisi spesso mostrano perdite, calo di fatturato, erosione del patrimonio. Quindi servono a evidenziare il trend negativo ma da soli non danno certezza di inversione. Ad ogni modo, saranno esaminati i margini operativi (EBITDA, EBIT), gli indici di liquidità (rapporto AC/PC, cassa, NWC), l’indebitamento (PN/Passività, PFN/EBITDA), e la struttura dei costi. Se l’impresa è stata in rosso, la banca vorrà capire perché (cause cicliche? Straordinarie? Errori gestionali?) e se tali cause stanno per essere rimosse.
- L’andamentale bancario: la storia comportamentale dell’azienda nei confronti del sistema bancario, rilevabile dalla Centrale Rischi di Banca d’Italia e dalle informazioni interne se la banca è già affidataria. Un’azienda in crisi potrebbe presentare sconfini frequenti sul conto, ritardi nei pagamenti delle rate sui prestiti esistenti, o addirittura segnalazioni di crediti deteriorati. La banca valuterà la gravità di tali eventi: uno sconfinamento risolto in 10 giorni è diverso da una rata non pagata da 90 giorni. Le linee guida EBA impongono soglie precise per classificare un’esposizione in “default” (ad es. arretrato >90 giorni e importo rilevante). Se la vostra azienda ha segnalazioni di “inadempienze probabili” o “sofferenze” in CR, ottenere nuovo credito sarà quasi impossibile finché tali status permangono. Se invece ci sono “semplici” diciture di forbearance (credito oggetto di concessione, vedi dopo), la banca potrà considerare il fatto come un segnale di rischio ma non necessariamente un veto, specie se il forborne è in regolare rimborso da >1 anno.
- Business Plan e proiezioni: questo è il documento chiave per convincere la banca. Deve contenere un piano di risanamento o rilancio, in cui l’impresa spiega come intende tornare redditizia e sostenibile. Dal punto di vista finanziario, si traduce in proiezioni di bilancio a 2-3-5 anni (a seconda dell’orizzonte del prestito) in cui si evidenziano: crescita attesa dei ricavi, riduzione di costi, eventuali dismissioni di asset non core, nuovi prodotti/mercati, ecc. Particolarmente importante è la proiezione dei flussi di cassa e la derivazione del DSCR (Debt Service Coverage Ratio) atteso. Il DSCR misura quanti flussi di cassa liberi (dopo costi operativi e tasse) l’azienda genera rispetto alle rate del debito da pagare nello stesso periodo. Un DSCR maggiore di 1 indica che la cassa operativa copre il servizio del debito; se è minore di 1, l’azienda non genera abbastanza cassa e dovrà attingere a liquidità pregresse o risorse straordinarie per pagare i debiti – situazione non sostenibile a lungo. Le banche considerano cruciale che il DSCR prospettico sia >1. Di solito un valore di 1,2-1,3 è considerato adeguato margine di sicurezza. Ad esempio, se prevedo un cash flow annuale (post-tasse, pre-dividendi) di €120k e il mio debito richiede rimborsi annui di €100k, DSCR ≈ 1,2: un finanziatore potrebbe valutare positivamente che c’è un 20% di buffer. Viceversa, DSCR 0,8 (80k di flusso vs 100k di uscite) sarebbe bocciato.
- Esempio di calcolo: EBITDA previsto €200k, tasse €50k, CAPEX €30k, variazione CC €0 (ipotesi semplificativa) → cash flow netto €120k. Debiti finanziari in ammortamento annuo €100k (interessi inclusi). DSCR = 120/100 = 1,2. Finanziabile. Se invece CAPEX fosse 100k, il cash flow scende a 50k: DSCR 0,5, non finanziabile.
- Rendiconto finanziario storico e previsionale: collegato al DSCR c’è il rendiconto finanziario (flusso di cassa) che è divenuto obbligatorio nei bilanci e uno strumento di analisi fondamentale. Mentre il conto economico mostra se l’azienda ha utili o perdite, il rendiconto finanziario evidenzia come si genera e utilizza la liquidità. Banche e analisti lo guardano per capire, ad esempio, se l’azienda brucia cassa per tenere magazzino o crediti (aumento del circolante), se investe molto in immobilizzazioni, o se sta reggendo grazie ad aumenti di capitale/nuovi debiti. Un rendiconto correttamente fatto evidenzia i punti di forza e debolezza nella gestione finanziaria. Le imprese in crisi spesso mostrano flussi operativi negativi tamponati da dismissioni o dall’aumento dell’indebitamento: la banca cercherà segnali che questa spirale può interrompersi.
- Indicatori di allerta interni: come detto nella sezione normativa, alcune soglie di allerta (indici di allerta elaborati dal CNDCEC come DSCR < 1, OPN < x, ecc.) potrebbero essere scattate. Se l’impresa ne è consapevole, dichiararlo alla banca e spiegare come verranno ripristinati può aumentare la credibilità (mostra proattività). Nel 2025, con l’entrata in vigore degli obblighi di segnalazione dei revisori, le banche sanno che molte PMI verranno monitorate strettamente: un atteggiamento trasparente da parte dell’impresa su questi indicatori genera fiducia.
In termini operativi, il dossier di richiesta credito che l’impresa in crisi dovrebbe presentare – magari con l’aiuto di un advisor finanziario – idealmente conterrà:
- Lettera di presentazione che riconosce i problemi passati ma enfatizza le azioni correttive intraprese (nuovo management? riduzione costi? nuovi ordini?).
- Piano industriale a 3-5 anni con scenari (base, pessimistico) e impatto sul conto economico.
- Piano finanziario a corredo: proiezione trimestrale di cash flow per almeno i prossimi 12-18 mesi, evidenziando il punto di pareggio di cassa e quando la cassa torna positiva.
- Calcolo dei covenant prospettici (DSCR, Leverage, Interest Cover Ratio, ecc.) che l’impresa si impegna a rispettare. Ad esempio, potrebbe proporre: “accettiamo un covenant DSCR >=1,1 misurato annualmente”.
- Informazioni su garanzie offerte: qui l’impresa dettaglia se i soci sono disposti a dare garanzie personali o ipoteche su beni, se intende utilizzare la garanzia statale, ecc.
- Situazione aggiornata degli affidamenti bancari esistenti e loro utilizzo (es. conto scoperto fino a €X su fido di €Y, anticipo fatture, leasing in corso, ecc.), con indicazione se sono attualmente regolari o se ci sono state rinegoziazioni.
- Elenco di creditori critici e loro eventuale accordo: se ad esempio i principali fornitori hanno accettato pagamenti dilazionati, o l’erario ha concesso una rateazione di cartelle, dimostrarlo è fondamentale per far vedere che l’impresa sta ricomponendo la situazione.
Le banche apprezzano molto questa chiarezza e struttura. Aumenta la convinzione che l’imprenditore abbia la situazione sotto controllo (o perlomeno la volontà di affrontarla). Al contrario, presentarsi a chiedere soldi senza un piano concreto e magari minimizzando la gravità (“abbiamo avuto un annetto no ma ci riprenderemo, dateci fiducia”) è quasi sicuramente destinato al rifiuto.
Un altro aspetto tecnico: la classificazione “forborne”. Quando un debitore è in temporanea difficoltà e la banca concede modifiche alle condizioni (es. dilazione, moratoria), quell’esposizione viene contrassegnata internamente come “forborne” (crediti oggetto di concessioni). Non viene segnalata come sofferenza in Centrale Rischi, ma indica che c’è stata tolleranza. Ai fini EBA, il forborne può essere considerato “performing” o “non-performing” a seconda della situazione. Per la banca, un credito forborne torna ad essere considerato “sano” solo dopo un periodo di prova di almeno 2 anni di pagamenti regolari senza ulteriori problemi. Dunque, se la vostra impresa ha già rinegoziato un debito l’anno scorso, sappiate che per i prossimi due esercizi la banca lo terrà d’occhio: se rispettate puntualmente il nuovo piano, quell’ombra pian piano si dissipa; se invece sgarate, scatta il default formale. Conoscere queste regole vi aiuta a capire come vi vede la banca: se siete “forborne performing” ma in cure, potreste avere qualche margine di credito ancora; se siete “forborne non-performing” (cioè già rinegoziati ma state disattendendo anche il nuovo piano), sarà arduo convincere chiunque a darvi altro fieno.
Garanzie richieste: reali, personali e credit enhancement
Per un’impresa in crisi, ottenere credito bancario quasi sempre comporta la messa a disposizione di garanzie aggiuntive. Le garanzie servono a mitigare il rischio percepito dalla banca. Possiamo distinguere:
- Garanzie reali su asset aziendali: ad esempio, ipoteca su immobili di proprietà dell’impresa, pegno su macchinari, su magazzino, su titoli o crediti. Se l’azienda possiede beni liberi da vincoli, impegnarli a favore della banca può essere decisivo. In caso di default, la banca potrà escutere quei beni e recuperare (in tutto o in parte) il suo credito con prelazione. Attenzione però: spesso le imprese in crisi hanno già ipotecato beni a fronte di precedenti fidi. Oppure il valore dei beni può essere inficiato dalla crisi stessa (un magazzino di merce obsoleta, un impianto fermo da tempo…). La banca farà fare perizie sul valore attuale. La valutazione prudenziale di stima potrebbe risultare molto più bassa di quanto il proprietario si aspetti. Es.: un capannone stimato 2 mln qualche anno fa, con mercato immobiliare calante e magari qualche abuso edilizio, oggi per il perito “vale” 1,2 mln, e la banca su quello concede ipoteca fino al 150% del finanziamento. Per cui, per ottenere 500k di prestito garantito, serve un immobile che stimi almeno 750k-800k di valore.
- Garanzie personali (fideiussioni): spesso indispensabili per le PMI, soprattutto se società di capitali. I soci o gli amministratori possono essere chiamati a firmare fideiussioni omnibus a favore della banca, impegnando il loro patrimonio personale in caso di insolvenza della società. Per l’imprenditore è ovviamente un impegno pesante (rischia la casa, ecc.), ma va valutato: se crede fermamente nel risanamento, dare una garanzia personale convince la banca della sua buona fede e determinazione. Dal punto di vista legale, attenzione alle clausole fideiussorie: devono essere redatte in modo conforme alla normativa antitrust, poiché le vecchie fideiussioni bancarie “omnibus” con certe clausole standard ABI sono state dichiarate nulle in più occasioni (ci riferiamo alla nota vicenda Banca d’Italia – Antitrust sulle fideiussioni, confermata da Cassazione nel 2021). In pratica, se la banca vi sottopone un modulo di fideiussione, fatelo verificare da un legale per escludere clausole invalide, che in futuro potrebbero dare luogo a contenzioso. Ad ogni modo, dal 2018 in poi la maggior parte delle banche ha adottato schemi corretti, ma cautela è d’obbligo.
- Garanzie da terzi (co-obbligati, Confidi): un’alternativa alla fideiussione dei soci è trovare un terzo garante. Ad esempio, un parente benestante dell’imprenditore potrebbe offrire garanzia personale, oppure un’altra azienda collegata più solida può fare da co-obbligata. Oppure ci si può rivolgere a un Confidi privato che fornisca garanzia consortile (tipico in commercio, artigianato). I Confidi spesso lavorano in tandem col Fondo Centrale: danno una prima garanzia, poi si fanno riassicurare dall’MCC. Il vantaggio è che il Confidi fa un’analisi vicina al territorio e magari conosce l’impresa; svantaggio: richiede quote sociali, commissioni e spesso garanzie a sua volta (ci sono confidi che chiedono pegno su depositi per garantirti…). Se l’impresa è associata a organizzazioni di categoria, verificare se esistono confidi convenzionati.
- Garanzia statale (Fondo di Garanzia PMI): ne abbiamo ampiamente parlato. Dal punto di vista bancario, averla in pratica equivale a una ponderazione zero del rischio sulla quota garantita (ai fini patrimoniali Basilea). Quindi per la banca è molto appetibile. Importante: la legge vieta che la banca acquisisca ulteriori garanzie reali o personali sulla parte coperta dal Fondo. Ciò per evitare che la banca sia “doppiamente garantita”. In pratica, se il Fondo copre l’80%, la banca sul restante 20% può prendere ipoteca o fideiussione, ma non sull’intero importo per non eludere la finalità pubblica. Questo vincolo a volte genera confusione: se un’azienda offre ipoteca per l’intero prestito, la banca, se vuole la garanzia statale sull’80%, dovrà limitare contrattualmente l’ipoteca a copertura del 20% scoperto. Ecco perché talvolta si fa una struttura mista: ad esempio, un mutuo da 1 milione viene spezzato in due contratti – uno da 800k garantito dallo Stato all’80%, e uno da 200k non garantito ma coperto da ipoteca su immobile; così si rispettano le regole.
- Covenant e impegni contrattuali: oltre alle garanzie tangibili, la banca può inserire condizioni finanziarie (covenant) nell’atto di finanziamento. Ad esempio: mantenere DSCR > 1 a fine anno, non superare un certo rapporto Debito/Patrimonio, divieto di distribuire dividendi finché il prestito non scende sotto tot, ecc. La violazione di un covenant spesso comporta la decadenza dal beneficio del termine (il prestito può essere richiesto indietro immediatamente). Questi covenant non sono garanzie in senso stretto, ma meccanismi di protezione per la banca. In situazioni di crisi, aspettatevi covenant stringenti. È bene negoziare parametri realistici: se la banca ne propone di troppo severi, controbattete con evidenze (es. se chiede DSCR >1,5 e il vostro piano arriva a 1,2… chiedete 1,2 per evitare di essere fuori covenants già in partenza!). Rispettare poi i covenant sarà vitale per non peggiorare il rating e la relazione.
Caso pratico integrato: supponiamo una PMI commerciale in crisi che chiede 300.000 € per ristrutturarsi e consolidare debiti. La banca, viste le difficoltà, potrebbe strutturare l’operazione così: 150k come mutuo 6 anni garantito MCC 80% (finalità ristrutturazione negozio = investimento, quindi garanzia 80% su 150k); i restanti 150k come apertura di credito per liquidità 18 mesi, garantita 50% dal Fondo (per tamponare i debiti urgenti). In più, chiede al titolare e al coniuge fideiussione solidale sul totale esposizione 300k (ma internamente limitata al 20% di 150k e al 50% di 150k, ovvero ~120k massimi, per rispettare il vincolo). Infine ottiene ipoteca di 1° grado su casa del titolare a garanzia della linea a revoca. Nei contratti inserisce covenant trimestrale: fatturato minimo da raggiungere, e margine EBITDA >5%. In questo modo, la banca ha combinato più strumenti per proteggersi e ha concesso credito modulare (mutuo + fido). L’impresa a questo punto ha risorse, ma deve impegnarsi a rispettare i patti e migliorare gli indici per eventualmente liberare gradualmente le garanzie (ad es. se dopo 3 anni i bilanci tornano buoni, potrebbe chiedere di svincolare la casa o di togliere la fideiussione del coniuge).
Gestione delle esposizioni bancarie esistenti: moratorie, rinegoziazioni e linee guida ABI 2025
Oltre all’ottenimento di nuovo credito, un’impresa in crisi deve gestire al meglio il credito già ottenuto in passato per non perderlo e per evitare che peggiori la sua reputazione creditizia. Qui entrano in gioco istituti come la moratoria (sospensione delle rate), la ristrutturazione o consolidamento del debito, e tutti gli strumenti di workout con le banche. Nel 2025, sebbene le moratorie di legge del periodo Covid siano scadute, come accennato esistono accordi volontari promossi dall’ABI e dalle associazioni di categoria per sospensioni o allungamenti su base negoziale.
Le Linee Guida ABI 2025 per il supporto alle imprese in difficoltà finanziaria rappresentano un documento di riferimento importante. In sintesi, tali linee guida:
- Invitano le banche ad adottare un approccio proattivo e flessibile nel gestire temporanei squilibri dei clienti imprese, per evitare che situazioni recuperabili degenerino in insolvenze definitive.
- Definiscono le condizioni per concedere la sospensione dei pagamenti delle rate: si raccomanda di verificare che la difficoltà sia transitoria e superabile (ad esempio legata a un evento straordinario o a una crisi settoriale momentanea), di stabilire una durata ragionevole della sospensione (es. 6 mesi prorogabili fino a 12, in genere) e di valutare se vi sono garanzie che coprono il credito. La presenza di una garanzia pubblica come il Fondo PMI o ISMEA facilita la concessione della moratoria perché la banca sa che quell’esposizione è comunque assistita.
- Chiariscono la distinzione tra misure di sospensione (moratoria) e la classificazione del credito: concedere una moratoria non implica automaticamente classificare il cliente a default, ma comporta la tag “forborne” (come detto). L’obiettivo è evitare che le banche si astengano dall’offrire sollievo per paura di dover svalutare immediatamente il credito. Le linee guida ribadiscono che la classificazione forborne interna non viene segnalata in Centrale Rischi, quindi il cliente non subisce un danno reputazionale esterno da una rinegoziazione, a patto che poi torni regolare. Tuttavia, viene anche spiegato come uscire dalla qualifica forborne: in pratica serve un periodo di “cura” di almeno due anni di regolarità per tornare allo status pienamente performing.
- Suggeriscono un approccio integrato: non solo sospendere le rate, ma accompagnare l’impresa in difficoltà rivedendo eventualmente il piano di ammortamento (allungamento delle scadenze), erogando se possibile una piccola nuova liquidità per rilanciare l’attività (qui torna la logica del 10-25% di extra di cui parlavamo per i prestiti Covid) e monitorando con cadenza ravvicinata l’andamento aziendale durante la moratoria.
- Coinvolgimento del sistema multipolare: spesso le PMI hanno più banche finanziatrici. Le linee guida incoraggiano soluzioni di sistema, dove possibile – ad esempio tramite accordi nel tavolo di composizione negoziata o utilizzando strumenti come l’accordo ABI-PMI per moratoria su base interbancaria. Coordinare gli istituti evita che uno conceda respiro e un altro aggredisca il conto, vanificando gli sforzi.
In pratica, se siete un imprenditore in crisi con vari fidi e mutui, dialogate con tutte le vostre banche. Meglio ancora, convocatele insieme (magari con la supervisione di un advisor o dell’esperto nominato nella composizione negoziata, se attiva). Proponete una soluzione unitaria: ad es. tutte sospendono i rimborsi per 6 mesi e allungano di 2 anni i piani; nel frattempo voi implementate il piano di rilancio. Se avete già un concordato in continuità o accordo di ristrutturazione in ballo, ricordate che il Tribunale può autorizzare la moratoria dei crediti bancari in quelle sedi, ma spesso le banche preferiscono aderire volontariamente per evitare misure d’imperio.
Un effetto collaterale da considerare: durante una moratoria/sospensione, gli interessi generalmente continuano a maturare (possono essere capitalizzati a fine periodo), e spesso la banca applica un piccolo spread aggiuntivo per il periodo di sospensione (diciamo +0,25% o +0,50%) come compenso. Sono dettagli da negoziare: cercate di spuntare condizioni eque, magari proponendo che gli interessi moratori siano pagati pari passu o alla fine.
Va detto che non tutte le banche sono uguali: alcune, di fronte a segnali di crisi, preferiscono ridurre l’esposizione il più possibile e prepararsi a un eventuale recupero legale; altre credono nel cliente e adottano un approccio di patient capital. Molto dipende anche dalla dimensione della banca (le grandi hanno processi più rigidi, le piccole locali a volte più empatia) e dalle strategie interne di derisking. Nel 2025 le banche italiane hanno in media rafforzato i bilanci e ridotto gli NPL, quindi potrebbero essere più disponibili a gestire flessibilmente nuovi casi senza allarmismi. L’esistenza delle linee guida ABI indica proprio la volontà di evitare allarmismi: un’impresa in temporanea difficoltà non va subito classificata default, se c’è volontà e modo di recuperarla. Questo è un cambio culturale rispetto al passato, dove a volte appena la CR segnalava rosso, si chiudevano i rubinetti.
Profili di responsabilità: la “concessione abusiva di credito”
In chiusura della parte dedicata alle banche, affrontiamo un tema giurisprudenziale di rilievo: la responsabilità della banca per concessione abusiva di credito. Questo principio, sviluppatosi in dottrina e giurisprudenza già dagli anni ‘90, è stato oggetto di importanti pronunce della Corte di Cassazione nel 2021 e 2023, e di applicazioni da parte dei tribunali specializzati in materia di impresa (ad es. Tribunale di Napoli 2025). Ma cos’è, in sostanza, la concessione abusiva di credito? Si tratta della situazione in cui una banca eroga o continua a erogare credito a un’impresa che si trova in uno stato di dissesto conclamato (impresa “decotta”), senza ragionevoli prospettive di risanamento, con l’effetto di ritardarne il fallimento e aggravare il passivo (perché l’impresa accumula nuovi debiti verso fornitori o altri creditori confidando in quel sostegno bancario). In tali casi, quando poi l’impresa fallisce, il curatore fallimentare (o i creditori danneggiati) possono agire contro la banca per ottenere un risarcimento dei maggiori danni causati dal prolungamento artificioso dell’agonia.
È chiaro che questo contenzioso nasce in equilibrio delicato: da un lato non si vuole scoraggiare le banche dall’aiutare imprese in crisi (altrimenti non darebbero mai soldi a chi ne ha più bisogno); dall’altro non si vuole neppure che banche spregiudicate tengano in vita “zombie” per interesse proprio (magari per incassare commissioni e interessi, o per scaricare il problema a dopo) a scapito di terzi. La Cassazione, nelle sentenze del 2021 (nn. 18610 e 24725) e nella recente n. 29840/27.10.2023, ha trovato un criterio di bilanciamento centrato sulla “ragionevolezza delle prospettive di risanamento”. In pratica dice: se al momento in cui la banca ha concesso/esteso il credito esistevano elementi oggettivi che lasciavano ragionevolmente prevedere un recupero dell’impresa (un business plan credibile, contratti all’orizzonte, un aumento di capitale in arrivo, ecc.), allora la concessione di credito non è abusiva; se invece l’impresa era irrimediabilmente insolvente e nessun piano serio era sul tavolo, allora finanziare ulteriormente è colposo/abusivo.
La sentenza Cass. 29840/2023 ha consolidato questo orientamento, richiamando appunto la necessità di valutare ex post se c’era un business plan ragionevole a supportare la decisione della banca. Nel caso di specie, riguardante un’operazione di credito a un’impresa di costruzioni su progetto immobiliare (dove la banca aveva concesso un mutuo ipotecario strutturato in base ai flussi futuri di locazione attesi da un immobile pubblico da realizzare), la Cassazione ha ritenuto che la banca avesse agito secondo sana e prudente gestione, basandosi su uno schema finanziario sensato (“schema cash flow based” con ipoteca e SAL) e dunque ha escluso l’abusività. In sostanza, la Corte ha apprezzato che:
- Vi era un piano concordato (convenzione col Comune e accordo per locazione futura dell’immobile pubblico costruito) che costituiva una “fonte autonoma di rimborso” per il credito.
- La banca aveva finanziato con modalità tecniche (erogazioni a Stato Avanzamento Lavori, perizia terza sul progresso) atte a mitigare il rischio e controllare l’uso dei fondi.
- Il modello di erogazione diluito (SAL) e la presenza di un perito indipendente sono state viste come elementi di ragionevolezza dello schema adottato, esimente dall’abuso.
Di contro, il Tribunale di Napoli (Sez. Impresa) nella sentenza 3015/25.3.2025 ha ribadito il concetto in un caso pratico: “il sostegno finanziario alle imprese durante lo stato di squilibrio patrimoniale è una soluzione alla crisi, ma l’istituto di credito deve valutare le reali prospettive di risanamento; diversamente incorre in responsabilità”. In particolare, il Tribunale ha sottolineato che la banca non è tenuta a fare l’impossibile (non deve rifare i bilanci dell’azienda o spulciare ogni documento contabile: può basarsi sulle informazioni che l’impresa fornisce), però se dalla documentazione e dal piano emerge chiaramente che non c’è speranza di evitare il dissesto, il finanziamento è colpevole. D’altro canto, se l’impresa dimostra di “anelare al risanamento ed al ripristino della continuità aziendale” (cit. sentenza) e ha un piano di risanamento serio, allora il sostegno della banca è legittimo. Viene anche fatto un collegamento diretto con il Codice della Crisi: il fatto che un’impresa segua percorsi come la composizione negoziata e presenti un progetto di piano a creditori è segno evidente della volontà di risanare, e infatti l’art.16 CCII tutela la continuità degli affidamenti durante tali trattative. Il Tribunale partenopeo afferma che è proprio il piano di risanamento il fattore dirimente per valutare la responsabilità della banca. Se c’è ed è credibile, la banca può finanziare; se non c’è o è fumoso, meglio chiudere i rubinetti – altrimenti risponderà dei danni.
Che implicazioni pratiche ha tutto ciò? Dal lato banche, spinge a comportamenti prudenti ma collaborativi: di fronte a un’impresa in crisi, la banca chiederà di vedere un piano di risanamento attestato, o un progetto di accordo, o almeno elementi oggettivi (nuovi contratti acquisiti, ordine del giorno assemblea per ricapitalizzare, ecc.) prima di concedere nuova finanza. Una banca che finanzi “al buio” un’azienda decotta rischia poi di dover pagare i creditori rimasti insoddisfatti in fallimento. Dal lato imprese e consulenti, questo significa che se volete ottenere credito dovete fornire alla banca quei “punti di riferimento utili” di cui parla la Cassazione: documenti, contratti, proiezioni realistiche certificabili.
Va evidenziato che la concessione abusiva di credito è evocata soprattutto ex post, a fallimento avvenuto. Durante la vita dell’azienda, può avere come effetto la revoca fidi da parte di banche timorose: alcune, temendo di scivolare in quell’accusa, preferiscono tagliare subito gli affidamenti appena vedono la crisi conclamata. Questo a volte è eccessivo, tanto che il Codice della Crisi, come visto, ha cercato di rassicurare le banche dicendo “non revocare solo perché c’è la procedura, guardiamo al piano”. Possiamo dire che c’è un delicato equilibrio: la banca deve vigilare di non prolungare artificiosamente l’agonia di un’impresa senza via d’uscita, ma anche supportare quelle che invece hanno chance. Non facile, ma con i giusti elementi (piani attestati, pareri esperti) la banca può giustificare a posteriori la sua scelta.
In ogni caso, come imprenditore, sappiate che:
- Se una banca vi nega ulteriore credito in crisi, potrebbe essere anche perché teme di finire coinvolta in pretese future di curatori. Non è solo “cattiveria”: ha un precedente storico che la condiziona.
- Se invece trovate una banca disposta a sostenervi, molto probabilmente vi chiederà di ufficializzare la situazione attraverso uno strumento (accordo di ristrutturazione, piano attestato). Questo non solo per tutela propria, ma anche perché certe tutele (prededuzione, non revocabilità) scattano solo in quei contesti formali.
- In alcuni casi, i nuovi finanziatori in contesti di ristrutturazione richiedono lettere di manleva o accordi nel concordato stesso: ad esempio, possono inserire nel piano di concordato una clausola per cui la società-debitore e i creditori rinunciano a future azioni di responsabilità verso chi apporta finanza durante la procedura. È una forma di ulteriore protezione negoziale.
Abbiamo così coperto il panorama dell’accesso al credito attraverso canali bancari tradizionali, con tutte le cautele e complessità del caso quando parliamo di imprese in crisi. Ricapitolando in breve:
- Preparare un dossier robusto (dati, piani, garanzie) è indispensabile.
- Sfruttare la garanzia pubblica e altre mitigazioni aumenta notevolmente le chance.
- Non trascurare la gestione del debito esistente: rinegoziare e rispettare eventuali moratorie per non perdere la fiducia.
- Essere consapevoli che la banca farà un’analisi molto centrata sul cash flow futuro e sui segnali qualitativi di svolta (nuovi ordini, cambio governance, etc.).
- Conoscere i limiti legali entro cui anche la banca deve muoversi (e.g. niente credito se siete “morti clinicamente” come azienda, a meno di miracle turnaround dimostrato).
Nel prossimo capitolo, sposteremo lo sguardo oltre le banche, esplorando gli strumenti di finanziamento alternativi disponibili alle PMI in difficoltà: dalle piattaforme fintech di lending crowdfunding ai minibond, fino ai fondi di direct lending o soluzioni come il factoring. Questi canali, spesso meno noti o poco utilizzati dalle PMI tradizionali, possono offrire opportunità interessanti, soprattutto quando le banche sono reticenti o quando si cerca di diversificare le fonti di credito.
Strumenti Alternativi di Finanziamento per PMI in Crisi
Negli ultimi anni si è sviluppato un ecosistema di finanza alternativa al credito bancario tradizionale, rivolto anche alle PMI. Per un’impresa in stato di crisi o stress finanziario, esplorare strade non convenzionali può essere determinante per reperire le risorse necessarie al rilancio o semplicemente per la gestione del circolante. In questa sezione analizziamo i principali strumenti alternativi:
- Fintech lending e Peer-to-Peer (P2P) lending: prestiti erogati tramite piattaforme online, da investitori retail o istituzionali, spesso con processi rapidi e basati su algoritmi di credit scoring innovativi.
- Crowdlending e Crowdfunding: forme specifiche di finanziamento collettivo, in modalità debito (crowdlending) o anche capitale (equity crowdfunding, sebbene non sia “credito”, può essere un’opzione di rifinanziamento per l’impresa in crisi).
- Minibond: obbligazioni emesse da PMI, collocate presso investitori professionali, per raccogliere capitali a medio termine.
- Direct lending da parte di fondi: fondi di debito privati o investitori specializzati che erogano finanziamenti diretti alle imprese, talora assumendosi rischi che le banche non vogliono assumere, in cambio di rendimenti più elevati.
- Factoring e Invoice trading: cessione dei crediti commerciali per ottenere liquidità immediata, sia in forma tradizionale (banche o factor) sia tramite piattaforme fintech online.
- Leasing operativo e soluzioni di asset financing: noleggi e sale & lease back che possono dare ossigeno finanziario trasformando beni aziendali in liquidità.
- Strumenti pubblici alternativi: ad esempio i finanziamenti agevolati di Cassa Depositi e Prestiti, i bandi regionali (con contributi e prestiti a tasso zero), o il già citato Fondo Salvaguardia Imprese gestito da Invitalia per investire in equity di aziende in crisi (nei casi specifici previsti).
Questi canali differiscono per requisiti, tempi e costi. In genere, il costo del denaro fuori dal circuito bancario è più alto (tassi di interesse maggiori, o rendimenti attesi più elevati per chi investe nei minibond), riflettendo il maggior rischio percepito. Tuttavia, offrono:
- Maggiore velocità (specie le fintech: processi digitali snelli, risposta in giorni).
- Maggiore tolleranza al rischio in alcuni casi (investitori privati possono accettare rischi che banche tradizionali evitano, a fronte di lauti interessi).
- Personalizzazione e flessibilità (un accordo con un fondo di direct lending può ad esempio includere tranche di finanziamento legate al raggiungimento di milestone del piano di risanamento).
- Diversificazione delle fonti: importante per non dipendere da un solo soggetto e migliorare il profilo finanziario generale.
Vediamo strumento per strumento, con esempi pratici e avvertenze.
Fintech lending e Peer-to-Peer Lending
Il fintech lending indica l’insieme delle piattaforme digitali che erogano prestiti utilizzando tecnologie finanziarie innovative. Nel caso di Peer-to-Peer (P2P) lending, i fondi provengono tipicamente da una pluralità di investitori privati che, attraverso la piattaforma, prestano direttamente alle imprese (o in altri casi a privati). Esistono poi modelli ibridi in cui la piattaforma stessa o partner istituzionali co-finanziano.
In Italia, il fenomeno del P2P lending business ha iniziato a svilupparsi intorno al 2015-2016 e si è consolidato negli ultimi anni. Ad oggi (2025) ci sono una decina di piattaforme specializzate nei prestiti alle imprese, alcune generaliste e altre di nicchia (ad es. dedicate a immobiliare, energie rinnovabili, ecc.). Tra queste possiamo citare, a titolo di esempio:
- October (di origine francese, operante in Italia per PMI),
- Opyn (già Borsa del Credito, focalizzata su PMI, anche in cofinanziamento bancario),
- EvenFi (P2P originario italiano, per piccole imprese anche innovative),
- Ener2Crowd (specializzata in progetti green energy),
- Re-Lender (focalizzata su progetti di riconversione industriale/immobiliare),
- Prestiamoci (principalmente prestiti a consumatori, ma modello P2P che ha spaziato anche su business),
- CrowdFundMe / Crowdlender (portali di equity crowdfunding che hanno sezioni lending per minibond o prestiti a PMI).
Secondo gli ultimi dati (Osservatorio del Politecnico di Milano e report di settore), la raccolta su piattaforme di lending crowdfunding business in Italia è arrivata a qualche decina di milioni di euro all’anno. Ad esempio, tra luglio 2022 e giugno 2023 si sono erogati circa 40 milioni di euro di prestiti alle imprese attraverso portali di business lending. Il trend è in crescita ma parliamo ancora di volumi relativamente piccoli rispetto al credito bancario (per confronto, il Fondo PMI garantisce miliardi ogni trimestre). Tuttavia, per singola impresa può fare la differenza: su queste piattaforme tipicamente si raccolgono da 50.000 € fino a 500.000-1.000.000 € per progetto, a seconda della piattaforma e del merito del progetto.
Come funziona il P2P lending? In genere:
- L’impresa richiedente si registra sulla piattaforma e presenta una domanda di prestito, caricando bilanci e indicando l’uso dei fondi richiesti.
- La piattaforma esegue un credit scoring interno (spesso proprietario e più “aperto” rispetto a quello bancario). Ad esempio, alcune fintech tengono conto anche di dati alternativi: rating dei fornitori, recensioni online, dati di conto corrente (grazie alla PSD2 open banking) ecc.
- Se l’azienda supera una soglia minima, la richiesta viene pubblicata sotto forma di campagna: gli investitori iscritti al portale vedono un breve profilo dell’azienda, il rating assegnato (es. A, B, C) e il tasso di interesse proposto.
- Gli investitori decidono se aderire, investendo piccole quote (anche 50-100€ ciascuno). Una volta raggiunto il target (o al termine del periodo di offerta), la campagna si chiude.
- L’impresa riceve i fondi (al netto di una commissione della piattaforma) e si impegna a rimborsarli con rate tipicamente mensili o trimestrali su un certo periodo (di solito 36-60 mesi).
- Il contratto è tra impresa e una società veicolo/prestatore nominata dalla piattaforma, ma in sostanza i sottoscrittori P2P hanno diritti di credito pro-quota.
Pro di questa modalità:
- Rapidità: intero processo può durare poche settimane, a volte giorni per importi piccoli.
- Minori formalità: non ci sono ipoteche notarili da iscrivere (generalmente il prestito è chirografario), né richieste di garanzie reali. Spesso però la piattaforma chiede una fideiussione personale dell’imprenditore per mitigare rischio (questo è un dettaglio contrattuale comune).
- Accesso anche a imprese non perfette: le piattaforme talvolta finanziano PMI che la banca ha scartato. Ad esempio, PMI con breve storia operativa ma forte crescita, oppure PMI con bilancio in perdita ma buon portafoglio ordini. Ovviamente il tasso rifletterà il rischio: non è raro vedere tassi annui 6-8-10% sui P2P loans a PMI (mentre le banche nel 2021-22 prestavano al 2-3%, ora nel 2025 siamo su 5-6% di base per le imprese con rating decente).
- Visibilità e trasparenza: alcune piattaforme fanno marketing sulle campagne, il che può dare visibilità positiva all’impresa (specie se è un brand consumer che ottiene prestiti dai propri clienti-investitori).
Contro e rischi:
- Tassi elevati: come detto, il costo del capitale P2P è più alto. Per un’impresa già in difficoltà, accollarsi tassi a due cifre può essere oneroso e aggravare la crisi se non usati con prudenza. Bisogna calcolare bene se il ROI dell’investimento fatto col prestito supera il suo costo.
- Importi limitati: se servono milioni, il P2P italiano raramente li offre in un colpo solo. Bisogna eventualmente fare round multipli o combinare con altri strumenti.
- Rischio reputazionale: in caso di default su un prestito P2P, la notizia può diffondersi online e danneggiare la reputazione dell’azienda, essendo un contesto pubblico di investitori diffusi.
- Professionalità variabile: non tutte le piattaforme fintech hanno la stessa robustezza nell’analisi. Ce ne sono di molto serie (October, ad esempio, ha un team di credit analysts esperti, ex bancari), altre più leggere. Dal punto di vista dell’impresa, rivolgersi a una piattaforma poco esigente può sembrare comodo, ma se poi la piattaforma incappa in troppi default rischia di fallire essa stessa, con possibili ripercussioni (es. dover rimborsare anticipatamente per chiusura veicolo, ecc.). In Italia comunque la vigilanza sta aumentando: dal 2023 tutte le piattaforme di crowdfunding (equity e lending) devono essere autorizzate ai sensi del Regolamento EU 2020/1503 (ECSP), con requisiti di capitale e trasparenza.
Esempio pratico: un’azienda produttrice di arredi, colpita da un calo temporaneo di ordini, necessita €100.000 per finanziare il capitale circolante e qualche spesa di marketing. La banca esita perché l’ultimo bilancio è in perdita e i fidi esistenti sono saturi. L’azienda allora si rivolge a una piattaforma P2P: viene assegnato un rating B (rischio medio-alto), la piattaforma propone il prestito a 48 mesi al tasso dell’8% annuo. Entro 2 settimane, 300 investitori privati sottoscrivono l’importo (ognuno mettendo mediamente 300€). L’azienda ottiene quindi i 100k, li utilizza come previsto. Ogni mese rimborsa circa 2.500€ (quota interessi+capitale) che la piattaforma redistribuisce automaticamente ai wallet degli investitori. Se l’azienda salta una rata, la piattaforma attiva recupero (spesso c’è una società di recupero crediti dedicata). Se salta più rate, dopo un tot (es. 90 giorni) dichiara default e cerca un accordo di ristrutturazione (anche qui, l’azienda potrebbe offrire stralcio o allungamento, concordandolo con la piattaforma che funge da “rappresentante” degli creditori diffusi).
Dal punto di vista di un’impresa in crisi, il P2P può essere particolarmente utile per importi modesti e per esigenze veloci. Non è tanto indicato per finanziare grossi piani di ristrutturazione (dove servirebbero milioni e strutture più complesse), ma può tamponare quelle situazioni dove “mi servono 50-100k entro un mese per non fermare l’attività”. Attenzione però a non ab-using di questi strumenti: se un’azienda comincia a fare troppi debiti costosi su fintech, rischia un effetto valanga. Dovrebbe essere parte di un pacchetto: magari la banca principale dà una mano con garanzia statale per la fetta grande, e il P2P serve come supplemento se la banca non copre tutto.
Dal 2020 esistono anche iniziative di garanzia pubblica su prestiti fintech: ad esempio, alcune piattaforme sono convenzionate col Fondo di Garanzia PMI e possono richiedere garanzia MCC sui prestiti erogati, esattamente come farebbe una banca. Questo mix – fintech + garanzia statale – è interessante perché unisce velocità e mitigazione rischio. L’impresa potrebbe ottenere così tassi un po’ più bassi sul P2P loan e la piattaforma attrae più investitori perché la perdita potenziale è coperta in parte dallo Stato. Se valutate il P2P, informatevi se la piattaforma prevede il coinvolgimento del Fondo MCC o di confidi: potrebbe convenire.
Evoluzione recente: invoice trading come variante del P2P – ne parliamo a parte nel factoring più sotto.
In figura seguente, un grafico mostra i volumi complessivi erogati dalle principali piattaforme italiane di lending crowdfunding business fino al 2023, evidenziando la crescita nel tempo e la distribuzione tra vari operatori (Re-Lender, Ener2Crowd, EvenFi, etc.):
Volume complessivo di prestiti erogati alle imprese tramite piattaforme di lending crowdfunding in Italia, con alcuni dei principali operatori e il totale nell’ultimo anno (dati al 2023).
Figura: I prestiti alle PMI tramite P2P lending hanno raggiunto circa 40 milioni € nell’ultimo anno rilevato, in crescita, con Re-Lender ed EvenFi tra i maggiori operatori per volumi.
Minibond e obbligazioni delle PMI
I “minibond” sono titoli di debito (obbligazioni o cambiali finanziarie) emessi da società non quotate, introdotti nell’ordinamento italiano nel 2012-2013 per aprire il mercato dei capitali anche alle PMI. In parole semplici, un minibond è un prestito obbligazionario: l’azienda emette titoli che promettono il rimborso a scadenza e il pagamento di interessi periodici (cedole), e li colloca presso investitori. Non c’è una banca erogante, ma uno o più sottoscrittori (tipicamente fondi di investimento, assicurazioni, banche stesse in alcuni casi, o investitori professionali/high net worth individuals). Spesso i minibond vengono quotati su un mercato dedicato (in Italia l’ExtraMOT PRO, ora si evolve in segmenti come ATF – ATF = segmento professionale di Borsa Italiana, ecc.) anche se la quotazione è di solito solo formale per dare visibilità e non c’è un vero mercato liquido.
Per un’impresa in crisi, riuscire ad emettere un minibond non è banale: gli investitori in obbligazioni cercano comunque realtà con prospettive di rimborso solide. Tuttavia, può essere fattibile se l’impresa:
- Ha un piano industriale di rilancio convincente e magari un “anchor investor” (un investitore principale disposto a prendersi buona parte del bond).
- Offre un rendimento elevato e/o garanzie collaterali sul bond (ad esempio pegno su determinati asset, covenant stretti).
- Si avvale di un advisor specializzato e di un nomad (arranger) che credono nel progetto e lo presentano al network di investitori professionali.
I vantaggi del minibond:
- Può raccogliere importi significativi (anche qualche milione) in un’unica operazione, diversificando la base (invece di un solo creditore, più obbligazionisti).
- La durata può essere ritagliata su misura (es. 6-7 anni con 2 di preammortamento, strutture bullet o amortizing).
- Spesso la rimborso può essere bullet (tutto a scadenza) o con un amortizing leggero, il che aiuta i primi anni di risanamento perché l’impresa paga solo interessi e rinvia il grosso del capitale a quando starà meglio.
- L’azienda non diluisce il capitale (come farebbe con equity crowdfunding o aumento di capitale) ma ottiene comunque supporto.
- I costi fissi (arranger, notarili, rating esterno facoltativo) si sono ridotti col tempo e vari Piani governativi (Elite, etc.) hanno incentivato l’uso di minibond.
Gli svantaggi:
- Tassi alti: per convincere investitori su una PMI in crisi, non stupitevi se dovete offrire il 6-8-10% annuo. In base al rischio percepito e garanzie. Alcuni minibond di PMI con rating modesti sono stati emessi con cedole 7-8%. Addirittura taluni con struttura equity kicker (tipo warrant o conversione in equity se non rimborsato in tempo).
- Maggiore complessità legale: un emissione obbligazionaria comporta un regolamento di emissione dettagliato, potenzialmente la necessità di nominare un representative of bondholders (rappresentante degli obbligazionisti) se c’è un numero elevato di investitori, e di predisporre bilanci certificati e flussi informativi periodici per i sottoscrittori. Insomma, è quasi come essere un’azienda quotata per certi aspetti di trasparenza.
- Nessuna flessibilità post-emissione: se poi l’impresa fatica a pagare la cedola, deve ricontrattare con la massa degli obbligazionisti (che può essere eterogenea e sparsa). Non c’è la relazione bilaterale banca-impresa dove magari si chiede una moratoria. Certo, si può indire un’assemblea degli obbligazionisti per modificare condizioni, ma serve tipicamente un quorum qualificato (es. maggioranza 3/4 delle obbligazioni). Quindi è possibile ristrutturare un bond (nel 2020 molte PMI lo hanno fatto, chiedendo rinvio scadenze), ma serve persuasione e coordinamento.
- Se l’azienda poi dovesse fallire, gli obbligazionisti sono creditori chirografari come gli altri (a meno di garanzie specifiche). Non c’è privilegio come hanno in parte le banche (es. privilegio su crediti vs. fornitori per c/c). Dunque, gli investitori lo sanno e pretendono extra rendimento all’ingresso.
Quando valutare un minibond? Potrebbe avere senso se la PMI ha già un partner finanziario disposto a crederci (es. un fondo di debito che dice: ti do 2 mln via bond, però lo strutturiamo come voglio io). Oppure se fa parte di un progetto di turnaround più ampio: ad esempio, un fondo di private equity entra con capitale di rischio e contestaulmente la PMI emette un bond che viene sottoscritto da banche e dallo stesso fondo. In quel contesto, il bond magari finanzia i creditori uscenti, e il fondo capitale finanzia la crescita. Abbiamo visto operazioni di questo tipo denominate “debt & equity turnaround package”.
Segmenti come ExtraMOT PRO3 (Borsa Italiana) o piattaforme come Fundera e Zenith hanno facilitato l’incontro tra PMI e investitori per i minibond. Nel primo semestre 2023, ad esempio, sono state concluse 23 emissioni di minibond su portali fintech per circa 20,8 milioni di € – un calo rispetto all’anno prima causa contesto tassi più alti. Ciò indica che il mercato c’è, ma selettivo.
Esempio pratico: un’azienda agroalimentare familiare, con brand noto ma sofferente per investimenti male oculati in passato, ha un nuovo AD che presenta un piano di rilancio. Serve finanziare 5 milioni € per ristrutturare impianti e consolidare debiti bancari. Le banche offrono solo 2 mln con garanzia MCC. Un fondo di private debt si dichiara disponibile a sottoscrivere un minibond da 3 milioni a 7 anni, interessi 7% annuo, con 2 anni preammortamento e rimborso amortizing dal terzo anno. Chiede però pegno sui macchinari rinnovati e covenant di mantenere DEBT/EBITDA < 4. L’azienda, con l’aiuto di un advisor, emette il bond, lo quota ExtraMOT PRO, fondo lo prende intero. Con 5 mln totali (2 banca + 3 bond) implementa il piano. Nel regolamento del bond c’è clausola che se l’EBITDA < X per 2 esercizi di fila, la cedola sale all’8% (meccanismo di step-up). Così il fondo si protegge un po’. Se poi l’azienda va bene, a scadenza rimborsa e finita lì; se avesse problemi intermedi, dovrebbe convincere quel fondo (unico investitore in pratica) a rinegoziare, magari aumentando tasso o cedendo equity.
In questo esempio, senza il fondo (via bond), l’impresa non avrebbe reperito tutto il fabbisogno. Il fondo ha accettato rischio maggiore rispetto alla banca, pretendendo però più interesse e garanzie di governance (covenant). In generale, i fondi di direct lending preferiscono proprio sottoscrivere prestiti via emissioni obbligazionarie perché ciò consente loro di standardizzare contratti e facilmente cedere eventualmente a terzi (cedere un’obbligazione è più semplice che sindacare un contratto di mutuo bilaterale).
Direct Lending e fondi di debito privati
Il Direct Lending indica l’attività di soggetti non bancari (principalmente fondi di investimento specializzati in private debt, ma anche veicoli di cartolarizzazione o altri investitori) che prestano direttamente soldi alle imprese, senza passare dal circuito tradizionale. Come accennato, spesso il mezzo è l’acquisto di un minibond. In altri casi il fondo firma un contratto di finanziamento ad hoc (specie se c’è co-finanziamento con banche, per avere stesso grado contrattuale). Negli ultimi 5-6 anni in Italia sono nati vari fondi di private debt gestiti da SGR italiane o internazionali, che hanno finanziato centinaia di PMI, di solito per progetti di crescita (M&A, capex) ma talvolta anche operazioni di ristrutturazione.
Per un’impresa in crisi, avvicinare un fondo di debito può avere senso se:
- L’importo richiesto è significativo (tipicamente >€2 milioni; sotto, di solito i fondi non si muovono).
- L’impresa opera in un settore con prospettive e ha asset o posizione di mercato appetibile, tale che un investitore intraveda un ritorno (sia pur via interessi).
- Si è disposti ad accettare condizioni contrattuali restrittive e un rapporto molto “intrusivo”: i fondi spesso vogliono osservatori in CDA, diritto di veto su scelte strategiche, o addirittura opzioni equity (warrant) per partecipare agli utili futuri se il risanamento riesce. In pratica, un finanziamento mezzanino mascherato.
Il vantaggio di un fondo di direct lending è che può prendersi rischi che la banca non assume. Ad esempio, finanziare un leverage buyout di un’impresa decotta, o un turnaround management. Inoltre, i fondi essendo remunerati dagli investitori per gestire rischi, hanno un orizzonte più lungo e flessibile: possono attendere 7-8 anni, incassando cedole e poi capitale, senza vincoli regolamentari rigidi.
Lo svantaggio è che costano parecchio: interest rate base 8-10%, più eventuali strutture PIK (interessi che si accumulano e paghi alla fine), più commissioni di ingresso/uscita, più come detto possibili strumenti partecipativi (warrant, convertible). In effetti, in situazioni di crisi borderline, i fondi private debt spesso vogliono una componente di capitale: non diventano soci subito, ma inseriscono clausole che se l’azienda va poi molto bene, loro possono convertire una parte del debito in equity e godere dell’upside. In questo sconfinano nel “distressed equity”.
In Italia esiste anche Fondo Italian Recovery / Turnaround gestito da pubblico-privato (Invitalia co-investitore) che investe in imprese in difficoltà di medio-grandi dimensioni, assumendo partecipazioni di minoranza e fornendo liquidità per il risanamento.
Volendo fare un esempio: un’azienda tech con buoni prodotti ma problemi di governance accumula perdite. Un nuovo investitore rileva la maggioranza a 1€. Serve però €5 milioni per ripagare debiti e lanciare una nuova linea. Le banche non finanziano perché l’azienda è tecnicamente insolvente prima dell’acquisizione. Allora il nuovo proprietario coinvolge un fondo di debito: questo concede €5M in forma di finanziamento subordinato a 6 anni, tasso 9% + warrant che danno diritto ad acquistare il 10% del capitale a prezzo simbolico se l’EBITDA supera X entro 4 anni. Il fondo quindi incassa interessi; se l’azienda torna in utile e cresce molto, esercita warrant e diventa socio al 10% guadagnando anche dall’equity. Se l’azienda non decolla e resta mediocre, il fondo almeno ha preso 9% annuo; se fallisce, il fondo perde soldi (ma i suoi investitori ne hanno messe in portafoglio tante, diversifica). Con quei €5M la società paga i debiti arretrati (evita fallimento) e investe in R&D. Caso così è più vicino a operazioni quasi di private equity in verità.
Per la PMI comune, solitamente i fondi entrano in gioco quando c’è un piano di ristrutturazione “consolidato”: es. l’azienda ha già ridotto organico e costi, necessita adesso capitali freschi per ripartire: ecco, lì il fondo di debito può puntare.
Factoring e Invoice Trading
Uno strumento spesso a portata di mano delle PMI, anche in crisi, è il factoring, ovvero la cessione dei crediti commerciali. Se l’impresa vanta crediti verso clienti affidabili (magari grandi imprese, o pubblica amministrazione), può cederli a un factor per ottenere subito liquidità. Il factoring può essere:
- Pro soluto: il factor assume il rischio di insolvenza del debitore ceduto (quindi per l’azienda cedente è una specie di assicurazione + finanziamento).
- Pro solvendo: il factor anticipa ma se il debitore non paga, chiede restituzione al cedente (in pratica un finanziamento garantito dal credito).
In situazioni di crisi, il factoring pro soluto è prezioso perché permette di monetizzare subito i crediti e trasferire il rischio: se l’azienda fallisse poi, quei crediti essendo stati venduti escono dall’attivo (attenti a farlo quando si è ancora in bonis, perché in prossimità di fallimento c’è il rischio revocatoria se appare come pagamento preferenziale; ma la cessione crediti a valori di mercato di solito è esente da revocatoria perché è una vendita a corrispettivo congruo, non un pagamento a un creditore).
I factor (spesso divisioni di banche) sono disposti a lavorare con imprese in crisi solo se i debitori ceduti sono buoni. Ad esempio: un’azienda edile in difficoltà ha 1 milione di crediti verso la Pubblica Amministrazione per lavori fatti – questi crediti possono essere ceduti a un factor (magari a sconto del 5-8%) e l’azienda incassa subito, migliorando la cassa e riducendo tensioni. Oppure un subfornitore automotive in crisi ha crediti verso una multinazionale che paga a 120gg, con factoring incassa a 15 gg. Attenzione però: se la crisi dell’azienda cedente è troppo grave (tipo giornali ne parlano, rischio contestazioni su forniture), il debitore ceduto potrebbe opporsi o il factor temere vizi: i contratti di factoring prevedono che i crediti siano esigibili e non contestati. Quindi se l’azienda in crisi ha rapporti tesi con i clienti (es. ritardi nelle consegne, penali contrattuali), anche il factoring diventa difficile.
Invoice trading: versione fintech del factoring. Ci sono piattaforme online (es. WorkInvoice, Credimi (offriva soluzioni simili), Cashinvoice ecc.) dove un’azienda carica la sua fattura e ottiene offerte di acquisto da investitori o da un fondo dedicato. In genere operano pro soluto e per importi medio-piccoli. Sono veloci (in pochi giorni valutano e anticipano) e spesso più flessibili di factor bancari: potrebbero accettare anche cedenti con qualche problematica purché il debitore ceduto sia top. Il costo però è in genere più alto di un factor bancario tradizionale. Comunque, molte PMI in crisi hanno salvato liquidità grazie a invoice trading su fatture “buone” quando la banca aveva congelato i fidi.
Esempio: un’azienda di moda in crisi di liquidità deve assolutamente pagare dipendenti e fornitori a fine mese. Ha emesso fatture per €200k verso un grande retailer estero, incasso previsto a 90 giorni. Mette queste fatture su una piattaforma di invoice trading; un investitore acquista le fatture pagando subito il 95% del valore (quindi €190k). La PMI incassa 190k cash ora, l’investitore aspetta 90gg e riceverà 200k dal retailer, ottenendo quindi ~10k di interesse, che su base annua è un tasso piuttosto elevato (se fosse 90gg, ~21% annualizzato, ma riflette il rischio percepito e il tempo breve). La PMI è contenta perché ha risolto l’urgenza; il costo effettivo 10k su 200k in 3 mesi è alto ma accettabile perché equivarrebbe a sennò non pagare e fermare la produzione, con danni peggiori.
Nota: la legge (DL 34/2019 “sblocca crediti PA”) ha creato veicoli e garanzie anche per crediti verso PA in ritardo (la piattaforma MEF dei crediti certificati). Un’impresa in crisi con crediti verso PA può vedere se quei crediti sono certificabili e scontabili con garanzia dello Stato (Cassa Depositi e Prestiti ha fatto operazioni in merito).
Leasing, Sale & Lease Back e altri strumenti patrimoniali
Un’azienda in crisi può monetizzare asset tramite operazioni di leasing:
- Sale & lease back: vendi un bene di tua proprietà a una società di leasing, che contestualmente te lo concede in leasing così tu lo continui a usare. La vendita ti dà liquidità immediata; poi pagherai canoni periodici e a fine leasing potrai riacquistare il bene (riscatto). Questa operazione è possibile per immobili, macchinari, veicoli. Di fatto è un modo per ottenere un finanziamento dando in garanzia il bene – la differenza è che formalmente vendi il bene, quindi esce dal tuo attivo, e se tu fallisci, la società di leasing rimane proprietaria e ha prelazione nel riprenderselo, quindi è abbastanza al sicuro. Per questo, società di leasing talvolta accettano sale & lease back con aziende un po’ rischiose, cosa che una banca con mutuo ipotecario magari non farebbe con la stessa leggerezza.
- Leasing operativo di beni nuovi: se il piano di risanamento prevede investimenti in nuovi macchinari, il leasing può essere preferibile al mutuo perché richiede meno garanzie extra (il bene stesso è garanzia) e i canoni possono essere modulati in base alla stagionalità. Alcune società di leasing sono disposte a locare beni anche a chi ha bilanci non ottimi, confidando nel valore del bene stesso e magari con un piccolo deposito cauzionale anticipato.
Un’azienda in crisi che possiede un immobile libero da ipoteche può valutare sale & lease back immobiliare: può generare ingenti flussi (70-80% del valore dell’immobile in cash subito). Chiaramente, poi l’impegno dei canoni sarà da sostenere, ma nel frattempo hai forse risanato la situazione debitoria. Bisogna fare attenzione contabile: la vendita genera una plusvalenza/minusvalenza da registrare; e poi c’è un debito leasing fuori bilancio etc. Comunque, è uno strumento attivo.
Strumenti pubblici agevolati e aiuti indiretti
Non vanno dimenticate, infine, alcune opportunità di finanziamenti agevolati pubblici che, pur non specifiche per crisi, possono aiutare un’azienda a recuperare ossigeno finanziario:
- Nuova Sabatini: contributo in conto interessi su finanziamenti per beni strumentali delle PMI. Ad oggi, se un’azienda acquista macchinari anche in leasing, il MIMIT rimborsa parte degli interessi (di fatto riducendo il tasso effettivo vicino allo zero). Questo abbassa il costo del debito per investimenti, migliorandone la sostenibilità.
- Fondo Rotativo imprese (es. FRI Turismo, FRI Green): finanziamenti a tasso zero o ridotto su progetti di investimento in alcuni settori. Ad esempio per il Turismo con PNRR ci sono fondi per riqualificazione alberghi: contengono una quota di finanziamento a tasso molto basso + contributo. Un’azienda in crisi magari fatica ad accedervi (bisogna dimostrare bancabilità comunque), ma se ci riesce, quel prestito agevolato allevia i costi finanziari.
- Fondo Salvaguardia Imprese: accennato prima, è uno strumento per imprese di medie dimensioni in crisi (in amministrazione straordinaria o con impatto sociale forte) dove lo Stato entra nel capitale temporaneamente. Non è un prestito, ma un quasi-equity (lo Stato poi rivende la quota). Ha salvato alcune imprese storiche. Se la vostra PMI ha un forte valore occupazionale o strategico, informatevi su possibili interventi Invitalia-MiSE in tal senso.
- Confidi e cooperative di garanzia regionali: a volte le regioni stanziano fondi per abbattere tassi alle PMI tramite confidi (i cosiddetti contributi in conto interessi su finanziamenti garantiti confidi). Verificate con la vostra associazione locale se esistono misure nel 2025.
Insomma, la cassetta degli attrezzi finanziaria è ampia. Uno strumento riepilogativo utile è la seguente tabella, che sintetizza per ciascuno strumento: soggetti coinvolti, importi tipici, pro e contro principali, e requisiti chiave.
Strumento | Chi finanzia | Importi tipici | Tempi di risposta | Pro | Contro | Requisiti chiave |
---|---|---|---|---|---|---|
Prestito bancario (con o senza garanzia pubblica) | Banca (spesso con garanzia MCC 50-80%) | 50k – 5 mln € | 1-3 mesi | Tassi generalmente più bassi (rispetto ad altre fonti); relazioni consolidate; possibili rinegoziazioni future | Istruttoria lunga; requisiti stringenti di merito; può richiedere garanzie reali/personali molto impegnative | Bilanci presentabili (o almeno piano convincente); assenza di default formali; garanzie collaterali/garanzia MCC |
Peer-to-Peer Lending (Fintech) | Investitori retail e/o fondi via piattaforma online | 10k – 500k € | 1-2 settimane | Velocità, burocrazia minima; adatto per esigenze immediate di liquidità; diversifica rispetto alle banche | Tassi elevati; importi limitati; se default, impatto reputazionale e difficoltà di ristrutturare | Rating interno piattaforma accettabile; spesso richiesta fideiussione personale; debitore ceduto solido (se invoice) |
Minibond / Obbligazione PMI | Investitori istituzionali (fondi, banche, HNWI) | 1 mln – 10 mln € | 2-4 mesi (arranger, doc) | Importi elevati in unica soluzione; struttura flessibile (scadenze, bullet); non intacca capitale sociale | Costi di emissione; cedola alta; obblighi informativi; difficoltà a modificare condizioni post emissione | Piano industriale forte; investitori ancor prima individuati; bilanci auditati preferibilmente; covenant usuali |
Fondo di Direct Lending (finanziamento privato) | Fondo di private debt, spesso estero o SGR italiana | 2 mln – 20 mln € | 2-3 mesi (due diligence) | Disponibile anche per operazioni rischiose; possibili soluzioni su misura (es. subordinato, mezzanino) | Costosissimo (tassi+equity kicker); alta complessità contrattuale; intrusività (monitoraggi, governance) | Impresa di dimensione e appeal sufficienti; presenza di un “sponsor” (nuovo investitore o team) credibile; accettazione di clausole severe |
Factoring tradizionale (pro soluto) | Factor (spesso banca) | Dipende dai crediti ceduti (continua) | 1 mese per attivare, poi rolling | Monetizzazione immediata crediti; trasferimento rischio clienti; migliora capitale circolante | Costo commissioni; cede se crediti buoni, non aiuta se clienti morosi; riduce marginalità | Crediti di buona qualità, non contestati; cessione notificata accettata dal debitore; spesso impegno a cedere flussi futuri |
Invoice Trading (fintech factoring) | Investitori tramite piattaforma | 5k – 200k € per singola fattura (anche più fatture) | pochi giorni per ciascuna fattura | Molto rapido e transazionale; flessibile (scegli quali fatture cedere quando vuoi) | Sconto elevato (costi alti se annualizzati); non crea rapporto lungo termine (one-shot) | Debitore ceduto di alta qualità creditizia; fattura certa e non contestabile; piattaforma analizza rischio debitore più che cedente |
Leasing / Sale & Lease Back | Società di leasing (spesso captive di banche) | 50k – 5 mln € (a seconda bene) | 1-2 mesi (perizia bene) | Permette liquidità da asset altrimenti illiquidi; mantiene uso bene; rate modulabili | Alla fine più costoso di mutuo; se l’impresa non paga i canoni perde il bene; realizzo immediato inferiore al valore di libro (minusvalenze possibili) | Bene di proprietà libero da vincoli e di valore; impresa deve essere in going concern (il lessor valuta che continui a pagare canoni) |
Microcredito assistito | Operatori microcredito + MCC | 5k – 50k € | 1 mese | Accessibile anche a microimprese non bancabili; tutoraggio incluso a volte; garanzia pubblica 80% | Importo molto limitato; può non bastare per crisi serie; tassi non bassissimi e durata breve (5-7 anni max) | Requisiti specifici (<10 dipendenti, etc.), piano d’impresa richiesto; formazione obbligatoria; spese ammissibili delimitate |
(Tabella: Confronto sintetico dei principali strumenti di finanziamento – tradizionali e alternativi – utilizzabili dalle PMI in stato di crisi)
Come si vede, ogni strumento ha un suo “campo da gioco” ideale. Spesso, la soluzione migliore sta in un mix di strumenti: ad esempio, un’impresa potrebbe rinegoziare i debiti bancari esistenti con moratoria, ottenere un nuovo prestito bancario garantito MCC per parte del fabbisogno, cedere alcune fatture via factoring per fare cassa immediata, e magari emettere un piccolo minibond sottoscritto da un investitore vicino per completare il piano.
Naturalmente orchestrare questo mix richiede capacità tecniche e negoziali – ecco perché, specie in situazioni di crisi avanzata, è opportuno coinvolgere advisor finanziari e legali specializzati in ristrutturazioni.
Non va trascurato anche l’apporto di mezzi propri: se gli imprenditori o nuovi investitori apportano capitale fresco (equity), questo migliora la leva e dà un segnale positivo a tutti gli altri finanziatori. Ad esempio, banche e fondi guardano con favore piani dove i soci mettono qualcosa di tasca propria (anche solo il 10-20% del totale risorse necessarie) perché indica impegno e condivisione del rischio.
Infine, una menzione alle procedure concorsuali minori: se un’impresa in crisi non riesce a ottenere credito sufficiente per restare in bonis e deve ricorrere a un concordato preventivo liquidatorio o a una liquidazione giudiziale, l’accesso a nuovo credito è pressoché chiuso. In concordato liquidatorio potrebbe esserci il caso di finanza esterna prededucibile (art. 101 CCII) ma in pratica è rara perché nessuno finanzia un’azienda destinata a liquidarsi, salvo magari i creditori stessi in cambio di soddisfazioni maggiori. Quindi, l’obiettivo dev’essere di attivare le procedure di risanamento prima di arrivare al punto di non ritorno.
Con ciò abbiamo esplorato sia le vie bancarie tradizionali sia quelle alternative per finanziare PMI in crisi. Nella prossima sezione vedremo alcune peculiarità settoriali, ovvero come queste opportunità e strumenti si declinano nei diversi macro-settori dell’economia: industria, commercio, turismo, servizi e agricoltura. Ogni settore infatti ha dinamiche proprie e, talvolta, strumenti dedicati di supporto creditizio.
Accesso al Credito nei Principali Settori Economici
Le problematiche di accesso al credito possono variare sensi bilmente da un settore all’altro. In questa sezione analizziamo specificità e misure rilevanti per:
- Industria/Manifatturiero
- Commercio e Distribuzione
- Turismo e Alberghiero
- Servizi (inclusi professionali e ICT)
- Agricoltura e Agroalimentare
L’obiettivo è evidenziare se esistono linee di credito dedicate, fondi di garanzia specifici, o consuetudini diverse per valutare il merito creditizio in questi ambiti.
Industria e Manifatturiero
Caratteristiche: Imprese industriali spesso necessitano di capitali ingenti per impianti e macchinari; hanno asset tangibili da offrire in garanzia (immobili, macchinari), e rapporti consolidati con banche (se di medie dimensioni). Le crisi industriali spesso derivano da calo ordini, innovazione mancata, costi fissi alti. Un segnale di allerta tipico è l’utilizzo intenso di cassa integrazione per calo lavoro, che comporta poi esigenze di liquidità per anticipare stipendi e costi fissi non coperti.
Accesso al credito: Le banche valutano molto gli ordini in portafoglio e il posizionamento di mercato. Uno stabilimento pieno di macchine non serve se non c’è produzione da vendere. D’altro canto, le industrie possono contrattualizzare operazioni come il reverse factoring (anticipazione ai fornitori con impegno dell’acquirente) se fanno parte di filiere: spesso grandi clienti agevolano l’accesso al credito dei loro fornitori facendoli rientrare in programmi di supply chain finance.
Strumenti dedicati:
- L’industria beneficia molto di strumenti come la già menzionata Nuova Sabatini (contributo interessi su acquisto beni 4.0), i crediti d’imposta per R&S o 4.0 (che migliorano la liquidità riducendo versamenti fiscali).
- In caso di crisi strutturali, il Ministero delle Imprese (MiMIT) può attivare i Contratti di Sviluppo o i Progetti di Riconversione Industriale con finanziamenti agevolati per reindustrializzare siti in crisi.
- Il Fondo di Garanzia copre investimenti 80% e liquidità 50% come visto, e molte imprese industriali medie l’hanno usato molto (anche MidCap con 40% su investimenti possibili).
- Fondo Salvaguardia: se l’impresa è grande (250+ dip), il governo può far intervenire Invitalia come socio temporaneo per evitare chiusura.
Garanzie: Le imprese industriali di solito hanno immobili industriali: ipoteche su capannoni o terreni sono prassi per mutui. Hanno anche macchinari: in alcuni casi le banche accettano privilegio speciale su macchinari (registro pubblico ex art. 46 TUB) come collateral. Non tutte le PMI sanno di questo: iscrivere un macchinario seriale a registro pubblico dà alla banca privilegio simile ipoteca, potendo aiutare a ottenere credito (specie per leasing e Sabatini).
Esempio settore metalmeccanico: Un’azienda metalmeccanica in crisi perché ha perso un grande cliente, ha impianti ancora validi. Può ottenere un finanziamento per riconversione se individua nuovi mercati, magari supportato da un consorzio fidi di settore (es. Confidi Confapi). Potrebbe cedere il magazzino (i crediti su ordini residui) in factoring per pagare i fornitori e convincerli a continuare a fornire. Con il nuovo piano, richiedere un prestito MCC 80% per comprare macchinario innovativo che apre sbocchi nuovi.
Considerazione finale: Le industrie hanno maggiore capex e asset, il che aiuta sul fronte garanzie, ma se la crisi è di mercato, le banche guarderanno la resilienza del settore: in industria tradizionale in declino (es. stampaggio a freddo con concorrenza estera fortissima) potrebbe essere dura ottenere fiducia senza diversificazione. Viceversa, industrie in settori trainanti (farmaceutico, packaging per alimenti) troveranno più orecchie aperte.
Commercio e Distribuzione
Caratteristiche: Il settore commercio (dettaglio e ingrosso) tipicamente presenta imprese di piccola dimensione, spesso individuali o familiari, con forte bisogno di capitale circolante (acquisto scorte) e meno asset tangibili (un negozio può essere in affitto, le attrezzature modeste). Le crisi nel commercio derivano spesso da calo vendite, concorrenza GDO o online, eccesso di scorte invendute. Molte imprese commerciali hanno storicamente fatto ricorso ai Confidi di settore (Confcommercio, Confesercenti etc. hanno i loro) per ottenere fidi di cassa e anticipo fornitori.
Accesso al credito: Le banche guardano molto a incassi e flussi pos per chi vende al dettaglio. Un negozio può dimostrare la solidità mostrando la continuità dei flussi di cassa giornalieri. Una metrica usata è il DSO (days of sales outstanding) per capire se ruota crediti velocemente o rimane incagliato con crediti (nel B2B). Se l’impresa di commercio è in crisi, probabilmente avrà saturato gli affidamenti di cassa e fido fornitore.
Strumenti dedicati:
- Il microcredito è molto orientato a commercio e piccoli servizi. Quindi se la dimensione è micro, va considerato.
- Garanzie Confidi: storicamente essenziali. Anche oggi, i confidi commercio hanno convenzioni con banche per fidi fino a 100k, e ora con la riforma MCC c’è quella soglia 100k con certificazione merito che i confidi possono sfruttare.
- PNRR: ci sono bandi per la digitalizzazione del retail (voucher con contributi per e-commerce, cassa digitale ecc.), non è credito ma riduce necessità di credito se l’impresa ne beneficia.
- Fondo imprese creative: se il negozio rientra in attività creative (design etc.) c’è un fondo MIMIT con finanziamento 40% fondo perduto e 40% tasso zero.
Garanzie: Molte imprese commerciali finiscono per utilizzare la garanzia personale del titolare come leva principale, o la casa di proprietà ipotecata per avere mutui. Purtroppo è prassi (nel bene e nel male). Una volta ipotecata la casa, se la crisi persiste, l’imprenditore spesso arriva al sovraindebitamento personale. Qui entrano semmai in gioco le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento (per le ditte individuali e piccoli imprenditori non fallibili c’è la legge 3/2012, ora integrata nel CCII, che permette esdebitazione, ecc. ma è un’altra materia).
Esempio commercio al dettaglio: Un negozio di abbigliamento in centro ha visto calo vendite per concorrenza online. È indietro con affitti e fornitori. Potrebbe chiedere un piccolo prestito garantito (tipo 30k con garanzia MCC 80% microcredito) per investire in marketing online e rinnovare il negozio, al contempo negoziare col proprietario un decalage temporaneo dell’affitto (indirettamente una forma di finanziamento da fornitore). Inoltre, se ha un magazzino di merce invenduta, potrebbe cederla in stock a prezzo scontato per fare cassa (non è finanziamento bancario ma un modo di liquidare attivo fisso). Sul fronte bancario, convincere la banca sarà arduo se i conti sono in rosso – portare evidenza di un trend di ripresa (es. ultimi 3 mesi vendite in miglioramento) può aiutare.
Confidi tipici: Cofiter, Ascomfidi, Confeserfidi… molti nomi regionali. Offrono garanzie dal 50 all’80%. Con la riassicurazione MCC a 90%, di fatto in emergenza Covid per commercio è stato linfa. Oggi tornati a regime, lavorano più su singoli casi.
Turismo e Settore Alberghiero
Caratteristiche: Comprende hotel, ristoranti, tour operator, stabilimenti, ecc. Settore colpito duramente dal Covid, con molte imprese in crisi di liquidità nel 2020-21. Nel 2022-23 c’è stata ripresa notevole per turismo di massa, ma rimangono criticità (costi energia, carenza personale, etc.). Le aziende turismo hanno tipicamente forti stagionalità: incassi concentrati in alcuni mesi, bisogno di credito a breve per coprire i mesi morti. I bilanci spesso vanno letti su base di EBITDAR (prima di affitti) perché molti non possiedono immobili ma li affittano.
Accesso al credito: Le banche per hotel & co. valutano molto l’asset immobiliare (molti hotel danno ipoteca sull’immobile), la gestione storica e il rating della località. Un hotel in crisi ma in una località turistica top avrà più chances di rifinanziarsi (si confida comunque in flussi turistici e magari in un cambio di gestione). Un hotel in area poco attrattiva e per giunta con struttura obsoleta, se è in crisi difficilmente troverà credito se non a fronte di un piano di ristrutturazione fisica (capex) e repositioning – e qui servono investimenti, un cane che si morde la coda.
Strumenti dedicati:
- Fondo di garanzia Turismo: esiste una sezione speciale del Fondo PMI destinata al turismo, con risorse PNRR. Dovrebbe offrire garanzie e co-finanziamenti a tasso agevolato su progetti di riqualificazione (green, digital) degli hotel fino a 31/12/2025.
- Credito imposta riqualificazione 65%: rifinanziato per 2020-2021, era un bonus per rifare alberghi. Se l’hotel non l’ha usato, può avere credito d’imposta (monetizzabile).
- ENIT e CDP: Cassa Depositi e Prestiti ha un Fondo Nazionale Turismo che rileva hotel storici in crisi di proprietà per ristrutturarli (quindi comprano l’immobile, dando liquidità ai vecchi proprietari, che spesso erano indebitati).
- Garanzia SACE “SupportItalia”: nel 2022 c’era uno schema SACE per imprese energivore e gasivore post-Ucraina, alcuni alberghi energivori ne hanno usufruito. Ora è in fase finale.
- Confidi Turismo: alcune regioni hanno confidi specializzati che capiscono la stagionalità e modulano piani di rimborso (tipo solo interessi nei mesi off-season, ecc.).
Garanzie particolari: Oltre alle ipoteche, nel turismo a volte usate garanzie di gestione: ad esempio, in caso di resort con contratti con tour operator, la cessione delle future rimesse dei tour operator come garanzia (tipo mandato irrevocabile a pagare il ricavato su conto vincolato a favore banca). C’è anche il privilegio sui beni d’arredo degli hotel per legge a favore di chi finanzia acquisto/riqualificazione (art. 46 TUB consente privilegio su “beni mobili destinati a arredamento di alberghi” simile a macchinari).
Esempio settore ristorazione: Un ristorante in crisi perché ha fatto investimenti e poi ha subito lockdown, oggi si trova con debiti tributari e banca. Potrebbe richiedere un prestito “Italia Turismo” da MCC: durante Covid c’era misura speciale per ristoranti (Contributo a fondo perduto + garanzia). Oggi la soluzione potrebbe includere: rateizzare i debiti fiscali col fisco (72 rate), chiedere al Fondo PMI un finanziamento liquidità 50% garantito per pagare fornitori e rilanciare marketing, e magari aderire a piattaforme di delivery revenue advance (esistono startup che anticipano i futuri incassi da delivery del ristorante, un po’ come factoring sui ricavi futuri).
Teniamo conto che molti hotel sono gestiti da società di persone piccole: qui i confini tra impresa e persona sono labili, e in caso di collasso spesso si ricorre alla composizione sovraindebitamento personale per liberare i proprietari dai debiti residui dopo la liquidazione asset.
Servizi e Professionisti
Caratteristiche: Settore molto vasto, dai servizi alle imprese (consulenza, IT, logistica) ai professionisti (studi legali, medici). Spesso questi soggetti hanno pochi asset tangibili (il valore sono le persone, il know-how), quindi ottenere credito è sempre stato più difficile se non con garanzie personali. Tuttavia, hanno a volte flussi costanti (abbonamenti, contratti ricorrenti) che possono essere valorizzati.
Accesso al credito: Le banche qui guardano i margini e la solidità del portafoglio clienti. Un’azienda software in crisi perché ha perso un grosso cliente potrebbe convincere una banca a finanziarla se però ha contratti pluriennali con altri clienti stabili (magari presentando quelle copie contratti come supporto). Per i professionisti, dal 2016 sono ammissibili al Fondo PMI anche loro, quindi un avvocato o un architetto può chiedere un prestito con garanzia MCC (soprattutto microcredito).
Strumenti dedicati:
- Fondo PMI copre anche professionisti (con le stesse regole PMI).
- Casse professionali: alcune casse di previdenza (es. Cassa Forense, Inarcassa) hanno fondi per anticipare pagamenti di parcelle o per prestare a iscritti in difficoltà (a tasso agevolato).
- Fintech specialty: emergono fintech che prestano su basi alternative – es. valutando il fatturato mensile di uno studio tramite accesso al conto corrente (Open banking), offrono linee di credito dinamiche. Alcune startup fanno “revenue based financing” – anticipi rimborsati come percentuale del fatturato mensile. Questo è destinato soprattutto a startup digitali con ricavi ricorrenti (SaaS), ma è concetto di servizio. In Italia c’è stata Debitoor, MDOTM e altre prove.
- Confidi servizi: confidi come Confartigianato o CNA coprono anche servizi e hanno convenzioni.
Garanzie: Prevalentemente personali. Se parliamo di PMI di servizi, spesso l’imprenditore ha comunque un immobile (sede o altro) da dare in garanzia. Nei servizi ICT, se c’è proprietà intellettuale (software proprietario), non è semplice da dare in pegno se non con cessione licensing future.
Caso particolare: Startup innovative – sebbene non proprio “in crisi” (se in crisi di solito chiudono se non trovano investitori), citiamo che per startup innovative c’è un segmento dedicato al Fondo PMI con copertura 80% su prestiti anche a rischio e criteri più laschi, proprio per la natura di servizio/innovazione senza storico.
Esempio servizi alle imprese: Una piccola agenzia pubblicitaria ha perso alcuni clienti ed è in difficoltà a pagare affitti e stipendi. Possiede però un contratto quadro con un cliente importante per campagne nei prossimi 2 anni dal valore di 300k. Potrebbe portare questo contratto in banca per scontare i crediti futuri (alcune banche fanno anticipo contratti, un po’ come anticipo fatture ma su contratti di servizi). Inoltre potrebbe chiedere un finanziamento MCC 50% 5 anni per €50k per ristrutturare i debiti, presentando il suo piano di acquisizione nuovi clienti. Se la banca non la ascolta, può provare con un crowdlending su una piattaforma specializzata (ce ne sono anche orientate a finanziare marketing companies o PMI white collar). Ultima ratio: ridurre costi fissi (cambiare sede, coworking) per far vedere che ha preso misure – questo può convincere un confidi territoriale ad aiutare su un piccolo prestito.
Agricoltura e Agroalimentare
Caratteristiche: Il settore agricoltura ha regole in parte separate (storicamente fuori dal Fondo PMI fino a qualche anno fa). Le imprese agricole spesso hanno asset fondiari (terreni, aziende agricole) e ottengono credito con mutui agrari ipotecari o con anticipo delle campagne (prestiti di conduzione). Hanno flussi stagionali (raccolti) e dipendono da fattori esterni (meteo, prezzi commodity). Le crisi agricole possono derivare da calamità naturali, crollo prezzi di mercato, o difficoltà generazionali. Lo Stato e l’UE intervengono spesso con contributi e fondi di garanzia dedicati.
Accesso al credito: Le banche valutano i piani colturali (cosa coltivi, stime rese), le quote PAC (pagamenti diretti UE, che possono essere messe a garanzia perché flusso certo dallo Stato). Molte banche concedono anticipi PAC quando la campagna è in corso. Per investimenti, c’è la formula del mutuo di miglioramento fondiario (fino a 30 anni) che è tipica per stalle, vigneti, etc.
Strumenti dedicati:
- ISMEA: l’istituto pubblico per l’agricoltura offre garanzie fino all’80% per PMI agricole e 70% pesca, spesso a titolo gratuito e con procedure proprie. Ad esempio, se un agricoltore vuole un mutuo, può rivolgersi a ISMEA che fa da garante con la banca.
- ISMEA gestisce anche finanziamenti diretti (es. prestiti a giovani agricoltori per primo insediamento).
- Sezione speciale Fondo PMI Agricoltura? Negli anni scorsi agricoltura venne inclusa sotto certe condizioni nel Fondo PMI, ma per lo più si usa ISMEA.
- Confidi agricoli: in alcune regioni esistono (es. Agrifidi vari legati a Coldiretti, CIA), che spesso lavorano con ISMEA in controgaranzia.
- Agevolazioni e misure di emergenza: quando calamità, i decreti stanziano fondi rotativi a tasso zero o contributi per ripristino colture. Importante attivare lo stato di calamità tramite regioni.
Garanzie: In agricoltura la garanzia per eccellenza è la ipoteca sui terreni. I terreni agricoli però hanno mercati immobiliari meno liquidi, le banche ipotecano ma valutano prudentemente (es. prendono solo il 50% del valore come garanzia).
Altra garanzia tipica: pegno su polizze assicurative agevolate (gli agricoltori assicurano raccolti, la banca può essere vincolataria dell’indennizzo).
E come detto, pegno su PAC (normato per legge, cessione del credito PAC).
Esempio agricoltura: Un’azienda vitivinicola ha perso raccolto per una gelata, quindi quest’anno pochi ricavi, crisi liquidità. Può attivare garanzia ISMEA su un prestito di conduzione per comprare barbatelle e concimi l’anno prossimo, garantito 80%. Oppure, può usare l’anticipazione dei contributi PAC: la banca anticipa subito l’80% del contributo UE che arriverà a fine anno. Se c’è un PSR (Piano Sviluppo Rurale) con contributo in conto capitale per investimenti, la banca anticipa anche quello spesso. Quindi l’accesso al credito agricolo spesso è intrecciato con contributi pubblici (che funge da collaterale di fatto).
Se la crisi è molto grave (azienda indebitata), esistono procedure di composizione della crisi agricole (prima della riforma c’era un fondo di solidarietà). O magari quell’azienda può vendere un appezzamento di terreno per ridurre debiti e su quello residuo la banca rifinanzia (in agricoltura succede, vendere un campo per salvare azienda).
In ultimo, l’agroalimentare trasformatore (industrie alimentari) rientra più nell’industria, ma con in più strumenti come anticipo contratti di conferimento: se un pastificio ha contratti con 100 agricoltori per grano, può farsi finanziare su quei contratti.
Checklist Operativa per la Richiesta di Credito in Situazione di Crisi
Arrivati a questo punto, è utile riassumere in una checklist pratica i passi e i documenti che un imprenditore (e il suo consulente) dovrebbero seguire per massimizzare le possibilità di ottenere credito nonostante lo stato di crisi dell’azienda. Questa checklist funge da promemoria per prepararsi adeguatamente prima di bussare alla porta di banche o altri finanziatori.
1. Analisi preliminare interna:
- Valutare onestamente lo stato di crisi: quantificare l’ammontare dei debiti scaduti (fornitori, banche, erario), il deficit di cassa mensile, eventuali covenant violati, ecc. Capire se la crisi è principalmente di liquidità temporanea o di solvibilità strutturale.
- Calcolare gli indicatori chiave: ad esempio, DSCR attuale e prospettico, indice di liquidità, patrimonio netto vs debiti. Verificare se qualcuno degli indici di allerta CCII è superato (es. patrimonio netto negativo, DSCR <1). Questo serve per sapere cosa obiettivamente vedrà anche la banca.
- Verificare la classificazione centrale rischi: scaricare l’ultima Centrale Rischi e controllare eventuali sconfinamenti, rating interni, segnalazioni (inadempienze, sofferenze). Se c’è già una segnalazione negativa, occorre saperlo e preparare spiegazioni/soluzioni.
- Impresa in difficoltà (definizione UE): fare un check se si ricade in questa categoria (perdita >50% capitale, ecc.). Se sì, la garanzia pubblica non sarà accessibile, occorrerà puntare su altro (o su misure straordinarie se esistenti). In tal caso, forse serve un piano di ricapitalizzazione più che indebitamento.
- Valutare la capacità di prestito massima sostenibile: in base al cash flow liberato atteso, quanti interessi e quote capitale posso realisticamente pagare? Questo definisce l’importo massimo e la durata accettabile del nuovo prestito. Non chiedere più di quanto si possa servire (meglio chiedere meno ma poi onorare, che ottenere tanto e fallire sotto le rate).
- Identificare eventuali asset liquidabili o utilizzabili come garanzia: es. un immobile non strategico vendibile? Macchinari sovrabbondanti cedibili? Partecipazioni? O garanzie esterne (soci benestanti)? Questo servirà per il “piano garanzie”.
2. Preparazione del Piano di Risanamento e Business Plan:
- Redigere un piano industriale a 3-5 anni: con scenario realistico di rilancio. Includere: analisi di mercato, strategie commerciali, tagli di costi implementati o da implementare, investimenti necessari e loro benefici.
- Costruire proiezioni economico-finanziarie: conto economico, stato patrimoniale e rendiconto finanziario a fine di ogni anno per i prossimi 2-3 anni (almeno). Evidenziare i punti di svolta (quando torna utile netto positivo? Quando la cassa diventa positiva?), e soprattutto includere il servizio del debito richiesto per vedere l’impatto.
- Calcolo degli indici prospettici: mostrare anno per anno atteso DSCR, PFN/EBITDA, Interest Coverage ecc., per dimostrare come migliorano col piano. Se nel primo anno DSCR è 0,9 ma l’anno dopo torna >1 grazie a nuove commesse, spiegarlo.
- Prevedere sensitivities: scenario base, scenario pessimistico (es. vendite 10% in meno). Così da far vedere che anche nello scenario pessimo l’azienda sopravvive (se invece nello scenario pessimo brucia cassa, la banca lo chiederà – bisogna pensare a contromisure in tal caso).
- Se disponibile, allegare attestazione di esperto indipendente: se l’impresa ha già attivato una procedura di composizione negoziata o ha un piano attestato da un professionista ai sensi art. 56 CCII, includere quel documento. Avere un attestatore indipendente che avvalla il piano è un enorme plus per la credibilità verso i finanziatori.
- Lettera accompagnatoria “di manleva” per banca: in casi complicati, l’avvocato dell’impresa potrebbe predisporre una lettera in cui l’impresa dichiara che la richiesta di credito è parte di un piano di risanamento e che i fondi verranno usati solo per continuità, ecc., ciò per tranquillizzare la banca sulla questione “abusiva concessione di credito” (di fatto dicendo: abbiamo prospettive di risanamento ragionevoli, non vi preoccupate su questo fronte).
- Prevedere, se necessario, la richiesta di autorizzazione giudiziale: se l’impresa è in concordato con riserva o in composizione negoziata e serve nuova finanza prededucibile, farsi trovare pronti con la bozza di ricorso per l’autorizzazione al tribunale (la banca apprezzerà vedere che siete organizzati legalmente).
3. Documentazione da predisporre per la banca/finanziatore:
- Ultimi 3 bilanci completi (stato patrimoniale, conto economico, rendiconto finanziario, nota integrativa) approvati e, se disponibili, situazioni contabili infrannuali recenti (es. bilancino ultimo trimestre) per dare il polso aggiornato.
- Elenco esposizioni bancarie dettagliato: ogni fido, ogni mutuo, con indicate garanzie, scadenze, utilizzi attuali. Questo serve per ragionare su consolidamento e per la banca per vedere se c’è margine di nuovo credito senza sforare equilibri (ad es. se siete già esposti con quella banca per 200k su fidi e chiedete 100k extra, la banca valuterà anche concentrazione del proprio rischio).
- Elenco fornitori principali e debiti verso fornitori in arretrato: a volte lo chiedono per capire se l’azienda rischia stop fornitura. Se si sta negoziando un accordo di dilazione con fornitori strategici, menzionarlo.
- Elenco dettagliato debiti verso Erario/INPS: con indicazione se ci sono cartelle esattoriali, rateizzazioni in corso o richieste di rottamazione. Le banche sanno che lo Stato ha privilegi, quindi se c’è troppo debito fiscale preferiscono che sia rateizzato (sennò in fallimento assorbirebbe tutto). Far vedere che avete presentato domanda di rateazione o aderito a definizione agevolata se possibile.
- Portafoglio ordini/clienti: un documento che elenchi i contratti o ordini acquisiti per il futuro (con importi e date) dà sostanza al piano di ricavi futuri.
- Asset immobiliari e perizie: se offrite immobili in garanzia, allegare visure catastali, ipocatastali e magari una perizia di stima aggiornata. Anticipa i tempi. Se è un immobile specialistico, fornite comparables di mercato.
- Documentazione sulle garanzie pubbliche richieste: ad esempio, predisporre già la modulistica per la garanzia MCC (che si trova sul sito fondidigaranzia) con le autodichiarazioni. Se andate dalla banca con modulo MCC quasi compilato, dimostrate proattività e riducete il loro lavoro.
- Documenti legali societari: visura camerale aggiornata, statuto, documenti identità amministratori e soci (soprattutto se la banca deve fare indagini antiriciclaggio per nuovo affidamento). Sembra banale ma avere tutto pronto velocizza.
- Documentazione sulla crisi e su come è gestita: se siete in composizione negoziata, allegare copia dell’istanza di nomina esperto e magari la relazione iniziale dell’esperto (se favorevole). Se avete depositato un concordato con riserva, allegare decreto di ammissione e scadenza termini. Questo perché la banca ovviamente deve sapere lo status legale (non sorprendetela, essere upfront).
- Polizze assicurative: se le avete su beni dati in garanzia (es. incendio su immobile), portatele: la banca vorrà essere vincolataria. Se non le avete, prevedete di farle (spesso è condizione all’erogazione).
- Eventuali lettere di impegno soci: se i soci sono disposti a versare nuovo capitale o finanziare essi stessi l’azienda subordinatamente, scrivere una dichiarazione d’intenti (“i soci si impegnano a versare €50k di nuovo capitale subordinatamente all’ottenimento del prestito richiesto, così da rafforzare la struttura finanziaria”). Questo conforta la banca che non è l’unica a metter soldi.
- Elenco cause legali e contenziosi pendenti: se l’azienda ha cause attive/passive, la banca lo chiederà in questionari. Indicate brevemente di che si tratta e i possibili impatti. Massima trasparenza: scoprire dopo che c’è un decreto ingiuntivo o peggio un pignoramento in corso non fa piacere alla banca. Meglio dirlo prima con spiegazione (“fornitore X ha agito per 20k, ma stiamo trovando accordo, provvederemo a saldare con parte dei nuovi fondi…”).
Questa lista di documenti può sembrare onerosa, ma predisporla mostra professionalità e serietà. Molte pratiche di finanziamento vengono respinte o si arenano perché l’imprenditore non fornisce dati o li dà in ritardo o in modo confuso.
4. Pianificare l’incontro e la negoziazione con i finanziatori:
- Presentazione sintetica ed efficace: preparare un executive summary di 2-3 pagine che riassume: chi siete, cosa è successo (perché la crisi), cosa state facendo per risolverla, quanto chiedete e con quali garanzie, e perché il finanziatore dovrebbe fidarsi (punti di forza). Questo sarà utile per la direzione crediti o gli organi deliberanti, e differenzia la vostra pratica dalle altre.
- Empatia e onestà: nei colloqui (con il gestore banca, con eventuali investitori) riconoscere gli errori passati ma mostrare determinazione nel porvi rimedio. Evitare di scaricare sempre colpe su fattori esterni: la pandemia, la guerra… Sì, ci sono stati, ma la banca sente queste storie da tutti. Cercate di emergere come imprenditori resilienti e competenti.
- Essere pronti a discutere condizioni: se la banca chiede un interesse più alto di quanto speravate, o garanzie aggiuntive (tipo la firma del coniuge, o pegno su qualcosa), valutate razionalmente se potete accettare. Tenete una “linea rossa” da non superare (es. tasso max sostenibile, o patrimonio personale che potete mettere a rischio), ma su tutto il resto, negoziate con flessibilità.
- Tempistiche: chiedete esplicitamente una timeline del processo deliberativo e seguite poi con tatto ma insistenza. Offrite collaborazione per qualsiasi chiarimento che il comitato rischi chiedesse.
- Opzioni multiple: non puntate su una carta sola. Parallelamente alla banca, magari portate avanti il dialogo con un confidi o con una piattaforma fintech, così se uno si blocca avete alternativa. Però fate attenzione a non prendere impegni multipli: evitare di firmare contratti vincolanti con più soggetti rischiando di duplicare il debito. Coordinare i tempi in modo da scegliere la soluzione migliore tra quelle che si concretizzano.
- Uso dei fondi trasparente: dichiarate esattamente come userete i soldi (es. “50k per fornitori tizio, caio; 20k per contributi arretrati; 30k per acquisto materie prime per nuovo ordine”). Poi, se ottenuto, seguite quell’uso. Le banche a volte chiedono evidenza (fatture pagate con bonifico). Ottemperate, ciò costruisce fiducia per il futuro.
- Impegno post-erogazione: assicurate la banca che la terrete aggiornata ogni trimestre sull’andamento e rispetterete gli eventuali covenant informativi (inviare bilanci provvisori, ecc.). E fatelo davvero.
5. Se il credito viene negato:
- Chiedere motivazioni: è un diritto dell’impresa sapere perché (in genere è il rating interno troppo basso, o settore sgradito, o politiche interne). Comprendere se è fattore modificabile (es. si può migliorare rating rimuovendo anomalia CR) o no.
- Non scoraggiarsi e rivalutare mix di soluzioni: può voler dire che serve ridurre l’esposizione debitoria (es. portare capitale fresco maggiore) per poi riprovare. Oppure tentare con un altro ente (ogni banca ha i suoi parametri; oppure provare confidi se banca diretta ha detto no).
- Considerare strumenti straordinari: se proprio nessuno presta e i soci non possono mettere abbastanza, valutare se attivare una procedura concorsuale “di risanamento” come un concordato in continuità o accordo di ristrutturazione. A volte lo scenario protetto spinge banche a convertire crediti in finanza nuova prededucibile (ad es. convenendo in accordo ex art. 57 CCII). Sono strade estreme ma meglio di fallire senza averle tentate.
Questa checklist condensa molti concetti: l’azienda in crisi deve presentarsi preparata, proattiva, trasparente e con un piano solido. Così facendo, pur non garantendo il successo (dipende da molti fattori esterni), aumenta drasticamente le proprie possibilità di convincere i finanziatori a scommettere sulla sua ripresa.
Nel prossimo capitolo, forniremo una sezione di Domande e Risposte Frequenti (FAQ), per chiarire ulteriormente dubbi pratici e concettuali su temi toccati nella guida, in forma più sintetica e diretta.
FAQ – Domande Frequenti sull’Accesso al Credito per PMI in Crisi
D: Un’azienda in stato di crisi può ottenere un nuovo prestito bancario o le banche lo negano a prescindere?
R: Sì, è possibile ottenere nuovi prestiti bancari anche se l’azienda è in crisi, ma dipende dalla gravità della situazione e dalle prospettive di ripresa. Le banche non hanno un divieto assoluto di finanziare imprese in difficoltà – anzi, se intravedono ragionevoli prospettive di risanamento, possono farlo senza incorrere in responsabilità. Tuttavia, la concessione non è affatto scontata: l’azienda dovrà convincere la banca con un piano serio e spesso offrire garanzie solidali (es. personali) o far ricorso alla garanzia del Fondo PMI. Se la crisi è troppo profonda (es. insolvenza conclamata, bilanci disastrosi senza piano di svolta), la banca con ogni probabilità negherà il credito per non esporre ulteriormente capitale e per evitare di violare i criteri di sana gestione. In pratica: in crisi lieve-moderata, con piano credibile e strumenti di supporto (garanzie statali, confidi), c’è margine per ottenere nuovo credito; in crisi gravissima, le banche normalmente chiudono i rubinetti e bisogna esplorare altre soluzioni (fondi, nuovi soci, procedure concorsuali).
D: A chi mi devo rivolgere prima: alla mia banca principale, a un confidi, o a nuovi finanziatori?
R: Il consiglio è di coinvolgere per prima la tua banca principale, quella che già ti conosce e con cui hai i rapporti più consistenti. Spesso è più facile che sia la “tua” banca a darti una mano, magari ristrutturando i debiti esistenti e aggiungendo liquidità, piuttosto che convincere da zero un nuovo istituto. Presenta alla tua banca il piano e chiedi se è disposta a supportarti (anche tramite garanzia MCC). In parallelo, puoi contattare un Confidi di settore o territoriale: questi possono coadiuvare la trattativa con la banca, offrendo una loro garanzia e aiutandoti a preparare la pratica. Se capisci che la banca principale non è disponibile o offre troppo poco, allora valuta di rivolgerti anche ad altre banche con cui magari hai piccoli rapporti o nuove (magari banche specializzate nel tuo settore). In aggiunta, esplora i canali alternativi: ad esempio, puoi provare a richiedere un prestito su una piattaforma fintech anche mentre attendi risposte bancarie (purché poi, se ottieni entrambi, calibrerai quanto prendere per non sovraindebitarti). In sintesi: parti da chi hai vicino (banca, confidi), ma tieni pronte opzioni B e C in caso l’opzione A fallisca.
D: Quali garanzie posso usare se non ho immobili da ipotecare?
R: Ci sono varie possibilità:
- Garanzie personali (fideiussioni dei soci o di terzi): se tu o altri soggetti di fiducia avete patrimoni personali (case, liquidità) siete disposti a mettere a rischio, una fideiussione può sopperire alla mancanza di un immobile aziendale. La banca valuterà il merito creditizio del garante (redditi, beni) per accettarla.
- Garanzia del Fondo Centrale PMI: come spiegato, questa è potentissima – copre fino all’80% per investimenti e 50% per liquidità. Non richiede immobili; serve solo che l’impresa rientri nei criteri (no fascia 5 etc.). Lo Stato fa da garante al tuo posto.
- Garanzie da Confidi: un confidi può garantire una parte del prestito (spesso 50-60-80%). Di solito chiede tu sia socio e una commissione, ma non richiede immobili direttamente (il confidi a sua volta può avere fondi rischi o controgaranzie MCC).
- Pegno su beni mobili o crediti: se hai macchinari, attrezzature di valore, la banca può prenderli in pegno o privilegio speciale. Oppure, se hai crediti verso clienti buoni, puoi cederli come garanzia (anche senza fare factoring: cessione in garanzia regolata dal codice civile). Ad esempio, un’impresa senza immobili può dare in garanzia il pegno sul magazzino (alcune banche accettano pegno su scorte, es. per aziende vini pegno su vini in invecchiamento).
- Polizze assicurative fideiussorie: in qualche caso, compagnie assicurative rilasciano fideiussioni finanziarie a favore di banche (di fatto assicurano il rischio). Sono però costose e richiedono contro-garanzie, quindi non molto usate salvo grandi importi.
In mancanza di immobili, spesso la combinazione è: garanzia pubblica + fideiussione socio + (eventuale) pegno su macchinari/crediti. Questa triade copre molti casi. Ricorda anche che il miglior garante in ultima analisi è un bilancio in ripresa: se inizi a mostrare utili e cash flow positivi, la banca potrebbe anche ridurre l’enfasi sulle garanzie reali.
D: Ho già prestiti in corso e non riesco a pagarne le rate. È meglio chiedere nuova finanza o prima rinegoziare l’esistente?
R: Occorre fare entrambe le cose in parallelo, ma prioritariamente evita di accumulare inadempimenti sulle posizioni esistenti. Se hai rate che non riesci a pagare, contatta subito la banca per chiedere una moratoria o una rinegoziazione (prima di saltare la rata, se possibile). Le nuove linee di credito di solito non vengono concesse se sei già in default su altre linee. Quindi stabilizza la situazione: ad esempio, ottieni dalla banca una sospensione rate per 6 mesi sui mutui esistenti. Questo ti toglie pressione e migliora il cash flow temporaneamente. Nel frattempo, prepara la richiesta di nuova finanza (che potrebbe servire anche per rimetterti in pari con quei debiti). Spiega chiaramente nel piano come utilizzerai il nuovo prestito anche per normalizzare i vecchi (le banche apprezzano: stanno usando soldi nuovi per sanare la loro stessa esposizione, riducendo rischi). In pratica può essere un consolidamento: prendi nuovo prestito (magari più grande) e con parte di esso paghi gli arretrati o rimborsi quelli vecchi più corti mettendoli in uno più lungo. Se invece trascuri la rinegoziazione dell’esistente e chiedi solo soldi nuovi, rischi che nel frattempo il vecchio prestito venga classificato a sofferenza – e a quel punto la banca non potrà davvero dartene di nuovi. Quindi, prima tamponare falle, poi nuova acqua, restando nella metafora.
D: La garanzia statale copre l’80% del prestito: significa che se non pago, la banca si rivalge sullo Stato e io sono al sicuro per quella quota?
R: No. Attenzione: la garanzia pubblica (Fondo PMI o SACE) protegge la banca, non significa esonero di responsabilità per te. Se tu non paghi il finanziamento, la banca dopo procedure di recupero chiederà allo Stato di escutere la garanzia e otterrà dall’ente garante fino all’80% (o 50% ecc.) di quanto dovuto. A quel punto però il Fondo di Garanzia o SACE si sostituisce alla banca come tuo creditore: l’importo pagato viene iscritto a tuo debito verso lo Stato. In pratica devi restituire quei soldi allo Stato (che li recupererà tramite le sue società di recupero o Agenzia delle Entrate Riscossione). Quindi non c’è “scappatoia”: il prestito va comunque rimborsato integralmente. La differenza è che, con garanzia, la banca è più tranquilla nel concederlo e magari ad un tasso leggermente inferiore; inoltre in caso di default, la parte garantita la paga più rapidamente (in teoria) lo Stato, mentre a te resterà un debito verso un creditore pubblico. Se poi la tua impresa fallisce, lo Stato (garante) partecipa al fallimento come creditore privilegiato (prededucibile spesso). In caso di concordato o ristrutturazione, a volte lo Stato può rinunciare a qualcosa, ma non è garantito. Quindi non considerare mai la garanzia pubblica come una polizza per l’impresa: è una polizza per la banca. Dal tuo punto di vista operativo cambia poco: devi rimborsare il prestito come qualsiasi altro.
D: Se la mia azienda apre una procedura di concordato o di composizione negoziata, i fidi bancari attuali verranno revocati subito?
R: In base alla legge attuale, no, non automaticamente. L’art. 16 del Codice della Crisi protegge le imprese in composizione negoziata stabilendo che il solo fatto di essere in trattativa di risanamento con un esperto nominato non giustifica la revoca degli affidamenti né l’automatica riclassificazione a sofferenza. Quindi le banche dovrebbero mantenere operativi i fidi durante la composizione negoziata, valutando caso per caso se ridurli o meno. In un concordato preventivo in continuità, gli affidamenti possono restare in essere anch’essi (specie se previsti dal piano di concordato). È chiaro che molto dipende dalla dialettica con la banca: spesso l’azienda in pre-concordato chiede contestualmente finanziamenti ponte in prededuzione e la banca, se li concede, tiene anche i fidi aperti perché fanno parte del fabbisogno. Se invece la procedura è liquidatoria, quasi certamente la banca revoca tutto per cristallizzare la sua esposizione al momento dell’evento. Ma se puntate alla continuità, la normativa cerca di favorire la non interruzione dei rapporti creditizi. Ciò detto, succede nella pratica che alcune banche adottino approccio prudente e riducano gli utilizzi (es. bloccano aumenti di utilizzo, permettono solo rotazione) anche se non revocano formalmente. È importante in tali casi dialogare con l’istituto, magari coinvolgendo l’esperto o il Commissario (se concordato) per spiegare che mantenere le linee è nell’interesse di tutti i creditori perché consente la continuità aziendale. In sintesi: la legge è dalla vostra parte per continuità, ma preparatevi comunque a negoziare con le banche per evitare sorprese.
D: Sto valutando di rivolgermi a una piattaforma di prestiti online (P2P lending). Ci sono rischi nascosti in questo approccio?
R: I prestiti tramite piattaforme fintech/P2P sono un’opzione legittima e regolamentata, ma devi considerarne bene le implicazioni:
- Costo: spesso i tassi applicati sono più alti di quelli bancari, per cui valutatene la sostenibilità. Un prestito P2P al 8-10% annuo può andar bene per breve termine ma incide molto su lungo.
- Trasparenza pubblica: la tua azienda sarà visibile su una piattaforma come richiedente di un prestito, il che può segnalare al mercato che hai bisogno di finanziamento (non necessariamente negativo, ma da ponderare). Se poi dovessi non rimborsare puntualmente, la piattaforma pubblica lo stato in default e ciò potrebbe danneggiare la reputazione aziendale, essendo informazione accessibile agli investitori registrati e talvolta divulgata in statistiche.
- Flessibilità minore in rinegoziazione: in caso di difficoltà di pagamento, trattare con decine di piccoli investitori via piattaforma è meno immediato che parlare con una banca: la piattaforma ha regolamenti rigidi e deve tutelare gli investitori. Puoi chiedere un’estensione, ma non è detto venga concessa (dipende da come la piattaforma lo gestisce). Con una banca c’è più spazio di manovra umana, diciamo.
- Volume limitato: se ti servono molti soldi, potresti dover lanciare più campagne o su più piattaforme, con complessità aggiuntiva.
Detto questo, vantaggi: velocità, minor formalità (nessuno ti chiede ipoteca per esempio), e possibilità di accedere a fondi se le banche sono chiuse. Molte PMI ne hanno beneficiato. Quindi il “rischio nascosto” principale è di sovraindebitarti a tassi alti velocemente perché è facile ottenere più tranche (la piattaforma tende a offrirti altri prestiti se ripaghi i primi). Usa con moderazione: come ponte per emergenza va bene, ma lavora parallelamente a soluzioni di medio termine più sostenibili (es. ristrutturazione bancaria, aumento capitale).
D: Conviene coinvolgere i miei fornitori e clienti nel piano di salvataggio? Possono aiutarmi nel credito?
R: Assolutamente sì, spesso fornitori e clienti possono contribuire a sostenere la tua impresa e, indirettamente, facilitare l’accesso al credito bancario:
- Fornitori chiave: possono concederti dilazioni extra (credito commerciale esteso), o continuare a fornirti nonostante ritardi pregressi se vedono che hai un piano e magari una banca di nuovo supporto. A volte firmano accordi di fornitura su quantità future in cambio di rientro graduale sullo scaduto. Questi accordi rassicurano le banche (perché garantiscono continuità operativa). Inoltre alcuni fornitori potrebbero indirizzarti a soluzioni di filiera: esempio, se il tuo fornitore è grande, potrebbe avere convenzioni di factoring inverso (cioè la banca del fornitore paga lui subito e lascia a te pagare 60-90gg).
- Clienti importanti: possono darti pagamenti anticipati sugli ordini (magari concedendo uno sconto per incentivare). Oppure accettare di certificare ordini futuri, documenti che la banca può scontare. In alcuni casi, clienti molto interessati a che tu sopravviva (perché sei fornitore unico di qualcosa) possono anche partecipare con capitale o finanziamenti diretti (forme di vendor financing).
- Operazioni triangolari: ad esempio, un tuo cliente può pagare direttamente un tuo debito verso una banca o fornitore, detrendolo poi dalle fatture (succede a volte per mettere in sicurezza la filiera).
- Consorzi tra imprese locali: in alcuni distretti, imprese consorziate creano fondi mutualistici per aiutare quelle in temporanea difficoltà (specie in agricoltura o artigianato). Non è diffusissimo, ma se esiste, perché no.
Quindi, coinvolgere fornitori e clienti in maniera trasparente fa parte di quell’approccio collaborativo di rescue. Ovviamente devi valutare cosa rivelare: mostrarti disperato potrebbe indurli a cercare alternative. Meglio impostare la cosa come: “Abbiamo un piano di rilancio, la banca XY ci supporta, anche voi siete importanti: ecco cosa vi proponiamo (es: pagamenti garantiti da factoring su forniture future, ecc.) in cambio di sostenerci in questa fase”. Spesso saranno disponibili, perché la tua crisi danneggerebbe anche loro (fornitore perde cliente, cliente perde fornitore). L’unione fa la forza, in questi casi, anche sul fronte del credito.
D: Ho letto della “concessione abusiva di credito”. Rischio qualcosa se convinco la banca a darmi soldi ma poi le cose vanno male lo stesso?
R: La “concessione abusiva di credito” riguarda la responsabilità della banca, non un illecito dell’imprenditore. Se la banca ti finanzia e poi fallisci aggravando il dissesto, potrebbe teoricamente essere chiamata dal curatore a risarcire i creditori. Ma tu come imprenditore non sei passibile di sanzione per aver chiesto o ricevuto il credito (a meno che tu l’abbia ottenuto con dolo, falsificando i dati – quello sarebbe reato di truffa). Diciamo che la giurisprudenza su questo punto serve più a comprendere la mentalità della banca: se la tua azienda fosse davvero “decotta” e tu insisti per avere altro credito senza basi, la banca – anche volendo – potrebbe tirarsi indietro per timore di implicazioni. Invece, se presenti un piano ragionevole, la banca è più tranquilla anche giuridicamente. Quindi, dal tuo lato, il rischio è indiretto: se la banca percepisse che la tua richiesta la espone a quell’accusa, dirà di no. Sta a te rimuovere questa percezione mostrando appunto “prospettive ragionevoli di risanamento”. In concreto: fornisci dati veritieri e attendibili, non nascondere problemi (che poi se emergono ex post sarebbero visti come mala fede), e se possibile fatti affiancare da un professionista che attesti la fattibilità del piano. Così la banca ha “copertura” e tu ottieni il credito in buona fede. In caso poi di insuccesso del piano, difficilmente la banca verrà attaccata se tutti gli indicatori al momento del finanziamento lasciavano sperare diversamente. Riassumendo: tu non rischi sanzioni per abuso di credito; semmai rischi di non avere più credito se le promesse non si realizzano. Quindi punta a non far percepire la tua richiesta come un azzardo disperato, ma come parte di un risanamento plausibile.
Queste FAQ toccano molti punti cruciali emersi nella guida, fornendo risposte concise. Se avete ulteriori domande specifiche, è consigliabile consultare un consulente finanziario o legale esperto in crisi d’impresa, perché ogni situazione ha sfumature particolari che vanno valutate caso per caso.
Fonti Normative, Giurisprudenziali e Riferimenti Utilizzati
Di seguito elenchiamo in modo ordinato le principali fonti normative, documenti ufficiali e sentenze citati o richiamati nel testo, per permettere approfondimenti puntuali:
Normativa e Documenti Ufficiali:
- D.Lgs. 12 gennaio 2019 n.14 (Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza) – in vigore dal 15/07/2022. In particolare artt. 16 (mantenimento affidamenti in composizione negoziata), 22 (finanziamenti autorizzati in composizione negoziata), 99-102 (finanziamenti prededucibili in concordato e accordi), 56 (piani attestati di risanamento), oltre alle norme sugli obblighi di segnalazione (art.25-octies). – Fonte: G.U. 14/02/2019 n.38 e successive modifiche.
- Codice Civile (art.2086 c.c.) – obbligo per gli amministratori di assetti adeguati per rilevare la crisi; artt.2446-2447 c.c. (SPA) e corrispettivi per SRL – indicatori di perdita del capitale > 1/3. – Riforma Societaria 2019 collegata al CCII.
- Decreto-Legge 8 aprile 2020 n.23 (cd. “Decreto Liquidità”), conv. in L.5 giugno 2020 n.40 – Misure emergenziali Covid: garanzie pubbliche straordinarie tramite Fondo PMI e SACE, moratorie ex lege sui prestiti, durata max 6 anni finanziamenti, ecc.
- Comunicazione Commissione UE 2020/C 91 I/01 (“Temporary Framework” COVID) – cornice autorizzativa aiuti di Stato (garanzie a imprese non in difficoltà al 31/12/2019, salvo piccole nuove). [Riferimento contestuale: regime derogatorio imprese in difficoltà durante emergenza].
- Legge 30 dicembre 2024 n.207 (Legge di Bilancio 2025) – proroga fino al 31/12/2025 delle misure del Fondo di Garanzia PMI ex DL 145/2023, con modifiche percentuali (80%-50% copertura), innalzamento microcredito a 100k, estensione MidCap (art.1 commi specifici). – Fonte: G.U. 31/12/2024 n.305.
- D.L. 18 ottobre 2023 n.145 (“DL Fisco-Anticipi”), conv. in L. 15 dicembre 2023 n. 141 – norme di riferimento per la riforma operativa del Fondo di Garanzia 2025, citate in Bilancio 2025. Include soglia 5 mln, esclusione fascia 5, ecc.
- Norme UE “GBER” su Aiuti di Stato: Reg. UE 651/2014 art.2 par.18 (definizione di “impresa in difficoltà”). – Rilevante per ammissibilità al Fondo.
- Circolari Mediocredito Centrale – Fondo di Garanzia: es. Circolare MCC n.14/2023 sulle nuove percentuali 2024-2025, Manuale Operativo (Allegati tecnici su Rating modello valutazione 2021). – Fonte: sito fondidigaranzia.it, sezione Normativa e modulistica.
- Linee Guida ABI 2025 per il sostegno alle imprese in difficoltà – Documento ABI 1/4/2025 , con sinossi misure sospensione finanziamenti, classificazione forborne, ecc. – Fonte: ABI (Associazione Bancaria Italiana).
- Piani/Programmi agevolativi pubblici citati: Nuova Sabatini (art.2 DL 69/2013 conv. L.98/2013, rifinanziata annualmente); Misure PNRR Turismo (DL 152/2021 conv. L.233/2021); Fondo Salvaguardia Imprese (art.43 DL 34/2020 conv. L.77/2020); Garanzia ISMEA U35 e GR8 agricoltura (Decisione CE C(2023)9090 del 18/12/2023 proroga).
Giurisprudenza (Sentenze e Pronunce):
- Cassazione Civile, Sez.I, 18 giugno 2021 n.18610 – Introduce il principio della “ragionevolezza delle prospettive di risanamento” nella valutazione ex post della concessione di credito ad imprese poi insolventi.
- Cassazione Civile, Sez.I, 12 settembre 2021 n.24725 – In linea con la n.18610/2021, consolida i criteri su concessione abusiva del credito; ribadisce rilevanza piano industriale.
- Cassazione Civile, Sez.I, 27 ottobre 2023 n.29840 – Ulteriore chiarimento su concessione abusiva: afferma che la banca non risponde se l’operazione di finanziamento, valutata ex ante, appariva coerente con principi di prudenza e supportata da un modello di business plan ragionevole. Caso di finanziamento project based su sviluppo immobiliare. – Fonte: Sentenza integrale richiamata da DirittoBancario e commento Risk&Compliance.
- Tribunale di Napoli, Sez. Impresa, 25 marzo 2025 n.3015 – Sentenza in materia di abusiva concessione: banca responsabile se finanzia impresa in squilibrio grave “senza reali prospettive di risanamento”. Conferma importanza del piano di risanamento e cita art.16 CCII sulla non revoca fidi in composizione.
- Cassazione Civile, 18 gennaio 2023 n.1387 – Pronuncia su decorrenza della prescrizione dell’azione risarcitoria per concessione abusiva (tema tecnico, approfondimento in DirittoBancario).
- Cassazione Civile, Sez.I, 21 dicembre 2023 n.35750 – Ordinanza su contratti bancari e concessione abusiva (Pres. Di Marzio) – Fonte: indicata da Centro Anomalie Bancarie.
- Corte d’Appello di Firenze, Sez.II, 29 aprile 2025 n.798/2025 – (Causa RG 808/2023) – Sentenza riportata da LexCED, analizza dovere banca valutare situazione finanziaria anche in rinnovi fidi e conferma responsabilità se ha aggravato dissesto.
- Tribunale di Firenze, 27 settembre 2024 n.2967/2024 – (menzionata tra le sentenze su concessione abusiva, poco dettaglio pubblico).
- Sentenze su fideiussioni ABI nulle: ex multis, Cassazione Civile, Sez.I, 12 dicembre 2017 n.29810 e Cass. 8 maggio 2019 n.12377, fino a Cass. 30 dicembre 2021 n.41994 – dichiarano nulle le fideiussioni conformi schema ABI 2003 per violazione legge antitrust. (Non citate direttamente sopra ma di contesto se interessa approfondire garanzie personali bancarie).
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