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Transizione ecologica e giustizia sociale: l’equità è la vera sfida


di Mariagrazia Lupo Albore, Direttore generale Unimpresa

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C’è una frase che ricorre spesso nei documenti ufficiali e nei grandi summit internazionali: “Nessuno deve restare indietro”. È un principio nobile, condivisibile. Ma il problema – come spesso accade – è passare dalla dichiarazione d’intenti alla realtà concreta. La transizione ecologica è una delle grandi sfide del nostro tempo, forse la più urgente, ma rischia di diventare anche la più divisiva se non sarà gestita con strumenti che tengano conto del suo impatto sociale. Cambiare modello produttivo, ridurre le emissioni, trasformare i sistemi energetici, rivedere le abitudini di consumo: tutto ciò è necessario. Ma ha un costo. E se quel costo ricade in modo sproporzionato sulle fasce più fragili della popolazione – famiglie a basso reddito, lavoratori dell’industria tradizionale, piccoli imprenditori, territori già svantaggiati – il rischio è quello di una “transizione per pochi”. Lo vediamo già oggi: il rincaro dei prezzi energetici pesa di più su chi ha meno risorse per efficientare la propria casa; le regole sulle auto green penalizzano chi non può permettersi di cambiarle; i vincoli ambientali su edifici e imprese colpiscono soprattutto le micro-aziende che non hanno né strumenti né margini per adeguarsi.

Credo che la sostenibilità ambientale non possa prescindere dalla sostenibilità sociale. Le piccole e medie imprese italiane, che costituiscono la spina dorsale del nostro sistema produttivo, vogliono fare la loro parte. Ma per farlo servono politiche intelligenti, strumenti flessibili, incentivi mirati e soprattutto tempi certi e compatibili con la realtà quotidiana delle aziende. Serve una vera “giustizia climatica”: quella che non chiede a chi ha meno di sacrificarsi di più. Chiediamo che ogni nuova normativa ambientale venga accompagnata da una valutazione d’impatto sociale; che siano previsti fondi dedicati all’adattamento tecnologico delle Pmi; che i vincoli non si traducano in burocrazia, ma in soluzioni concrete e accessibili.

Ma la giustizia sociale della transizione non riguarda solo le imprese: riguarda anche i lavoratori. È fondamentale investire in formazione e riqualificazione, in particolare nei settori più esposti alla riconversione ecologica. Non possiamo accettare che la transizione produca “vinti” e “sconfitti” solo perché lo Stato non ha saputo accompagnare il cambiamento. Infine, c’è un tema di narrazione: parlare di ambiente non può significare parlare contro l’impresa, contro il lavoro, contro l’innovazione. Al contrario, la sfida green può essere una straordinaria occasione di rilancio per l’economia italiana, a condizione che si scelga un modello inclusivo, pragmatico e partecipato. La transizione ecologica è una scelta di civiltà. Ma, senza giustizia sociale, rischia di diventare una scelta di élite. L’equilibrio tra ambiente, economia e coesione è possibile. Ed è lì, in quel difficile punto di equilibrio, che si gioca il futuro di un Paese moderno e democratico.

Ufficio Stampa Unimpresa
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