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Libertà, rischio e impresa: tra memoria del passato e sfide del futuro


È possibile insegnare la cultura del rischio (non dell’azzardo)? Ci si riferisce a quella propensione a intraprendere che moltissimi ebbero dopo la guerra, motivati ad uscire dalla povertà e ad essere protagonisti anche del benessere altrui nelle comunità di appartenenza. In particolare, ciò accadde negli anni del miracolo economico italiano tra il 1947 e il 1964 che un bel libro del professor Nicola Rossi, Un miracolo non fa il santo, ha descritto riconducendone la straordinaria vitalità alla libertà che caratterizzava quel tempo. Una vera e propria età dell’oro nella quale si sommarono virtuosamente boom economico, boom demografico, assenza di disavanzo e debito pubblico. Non contarono gli incentivi e nemmeno gli investimenti pubblici. Solo la libertà. O meglio, la libertà combinata con un diffuso rispetto dei valori tradizionali come la vita e la famiglia. Oggi il contesto è straordinariamente mutato ma di quella stagione rimangono molte imprese fondate da giovani curiosi che facendo primi lavori per lo più dipendenti, o comunque al servizio di altri, videro possibilità, si indebitarono, lavorarono molto ma raccolsero grandi soddisfazioni.

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Ora, nel momento in cui registriamo non solo il declino demografico biologico ma anche quello delle nuove imprese, diventa un dovere degli educatori risvegliare nei giovani il desiderio di creare. Possono soccorrere i molti esempi che offrono i nostri territori nei quali il capitalismo popolare ha depositato storie di famiglie imprenditoriali ove l’impegno solidale di tutti i componenti ha consentito di realizzare grandi opere. Le loro esperienze possono integrarsi con lo studio più diffuso degli elementi fondamentali di ragioneria, utili a comprendere come possa nascere un’impresa con pochi mezzi propri e molto debito sulla base di una pianificazione che renda credibile la capacità di rimborsarlo. Rappresentanti delle aziende di credito possono descrivere dal loro osservatorio i percorsi di molti clienti che ce l’hanno fatta, E in ogni caso è doveroso proporre l’accettazione non solo personale ma anche pubblica del fallimento. Molti successi sono stati preceduti da insuccessi. È infatti doveroso comunque il rispetto per chi ha avuto il coraggio di intraprendere anche se poi le cose non sono andate bene.

Ciò che conta è la trasparenza e correttezza del percorso imprenditoriale. Il salto tecnologico che stiamo vivendo apre spazi infiniti per la nascita di nuove start up. Incoraggiare i nostri giovani a realizzare i loro sogni, le loro intuizioni, non comporta solo conoscenze e competenze tecniche ma anche la formazione della attitudine ad uscire da ogni confort zone e a diventare quell’homo innovaticus del quale ha scritto il premio Nobel Edmund Phelps. Così- innovatore da essere disponibile, quando necessario, alla “distruzione creatrice”, ovvero a scomporre le vecchie dimensioni per crearne di nuove. Sono capacità che non è facile codificare ma che si rinvengono agevolmente nel nostro vissuto di quegli anni migliori della nostra vita repubblicana.



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