Euractiv Italia ha intervistato l’on. Giuseppe Lupo, Vicepresidente della commissione Bilancio del Parlamento Europeo, esponente del gruppo dei Socialisti e Democratici, riguardo alle prospettive del quadro finanziario pluriennale dell’Unione e alle proposte del Parlamento per l’implementazione del Rapporto Draghi.
Il Parlamento europeo ha appena approvato la relazione sul Rapporto Draghi, di cui lei era relatore per il gruppo dei Socialisti e democratici. Quali sono le vostre priorità al riguardo?
Esprimo soddisfazione per l’approvazione, perché abbiamo negoziato una buona risoluzione con i gruppi di maggioranza [Popolari europei e Renew Europe, NdR], ma anche con altre forze. Ad esempio i Verdi hanno condiviso l’impostazione di Draghi che tende a coniugare competitività e decarbonizzazione. Quindi esce una posizione del Parlamento forte per sostenere l’attuazione del piano Draghi. Come Socialisti e Democratici abbiamo fatto presente che l’attenzione alle politiche sociali è l’altra faccia della medaglia della competitività e produttività. Ad esempio il tema della casa per noi è fondamentale. Circa 40 milioni di cittadini europei vivono in condizioni di disagio abitativo. Investendo di più sull’emergenza casa al contempo daremmo anche una spinta alla crescita economica dell’Europa, attraverso il volano dell’edilizia. Coniugare competitività, produttività, decarbonizzazione e diritti sociali penso sia la ricetta giusta per l’attuazione del Rapporto Draghi.
Gli investimenti che l’UE potrà fare dipenderanno dal prossimo quadro finanziario pluriennale, il bilancio settennale dell’UE. A luglio la Commissione presenterà una proposta per avviare il negoziato. Quali sono le vostre priorità?
Avere un bilancio più forte e ambizioso per affrontare le priorità di sempre e le nuove sfide. Penso ai fondi per la coesione sociale e territoriale, al sostegno all’agricoltura e alla pesca, a rafforzare gli investimenti per la ricerca, e all’attuazione del Rapporto Draghi. Quindi abbiamo bisogno di maggiori entrate, attivando tre leve: nuove risorse proprie; l’incremento del contributo sul reddito nazionale lordo degli Stati membri; ed il debito comune. Una buona dose di debito comune può far bene all’economia europea ed è necessaria per attuare il Rapporto perché è chiaro che non saremo in grado di investire quanto richiesto solo dal bilancio dell’UE, che in totale nel 2025 è di circa 200 miliardi. Le nuove sfide sono la transizione verde e digitale ma oggi anche la difesa comune, che è una nuova grande emergenza.
Il rapporto Draghi prevede 800 miliardi di investimenti aggiuntivi l’anno, di cui il 20% pubblici, quindi 160 miliardi circa. Un rapporto della Commissione Junker del 2019 suggeriva che armonizzando l’aliquota della tassazione sulle imprese all’aliquota mediana europea questo avrebbe portato 239 miliardi di gettito aggiuntivo l’anno. Essenzialmente, solo evitando la concorrenza fiscale tra gli Stati membri, per cui le grandi multinazionali spostano la residenza fiscale in Olanda o in Lussemburgo o in Irlanda. È una priorità per i Socialisti e democratici?
Sì, è già tra le nostre priorità, perché corrisponde anche alla possibilità di fare un passo avanti verso l’integrazione europea e di realizzare il mercato unico di cui parla il Rapporto Letta. Consentirebbe una competizione leale tra Stati membri per l’attrazione degli investimenti e per il rafforzamento dell’economia dell’Unione complessivamente. Ma è più di competenza della commissione sugli affari economici che di quella sul bilancio.
Nel dibattito sul quadro finanziario pluriennale si parla dell’ipotesi di una sorta di assegno unico per ogni stato membro con i fondi legati a tutte le politiche, quindi dando maggiore flessibilità agli stati nel gestirli. Teme una rinazionalizzazione delle politiche europee – come la politica di coesione, agricola, ecc.?
Siamo contrari a questi piani unici nazionali perché spostano il potere di programmazione e di controllo della spesa dal Parlamento europeo agli Stati membri. Indeboliscono quindi il ruolo del Parlamento europeo e complessivamente delle istituzioni dell’UE e rinazionalizzano fondi che invece sono destinati ad una programmazione non in chiave nazionale ma in chiave europea. In particolare siamo contrari all’accorpamento di fondi che possono funzionare meglio rimanendo separati, come il Fondo di coesione, il Fondo per l’Agricoltura, il Fondo per la Pesca e i Fondi per le politiche sociali. Accorpare questi fondi strategici per la crescita dell’Europa in programmi nazionali unici porterebbe a una minore possibilità del Parlamento – l’unica istituzione europea direttamente eletta dai cittadini – di programmare delle linee guida per la crescita e lo sviluppo dell’Europa, e di controllare l’attuazione dei programmi.
Il Next Generation EU ha funzionato in condizioni di emergenza. Era necessario dare un’accelerazione e quindi in parte è stata sposata questa filosofia, considerata l’urgenza e la brevità dei tempi per l’attuazione. Ma il Next Generation EU ha dato un aiuto fondamentale all’economia europea in condizioni di grande difficoltà legate alla pandemia, durante un’emergenza. Non va bene trasporre la stessa filosofia al prossimo bilancio pluriennale dell’UE, che invece deve avere condizioni di programmazione certa di lungo termine, in capo ai rappresentanti dei cittadini europei nel Parlamento. Ad esempio nell’attuazione del Next Generation EU nel settore dei trasporti i PNRR hanno investito solo sui sistemi interni, senza rafforzare i collegamenti transfrontalieri. È stato un grosso limite e un insegnamento che dobbiamo cogliere.
Uno dei problemi dei fondi strutturali è che non tutti gli stati e le regioni li usano bene. Ad esempio in Italia siamo enormemente indietro rispetto al ciclo di settennale 2020-2027 dei fondi di coesione. Cosa si può fare?
Bisogna semplificare le procedure di bilancio e riguardo all’utilizzo dei fondi europei, già nel prossimo quadro finanziario pluriennale. L’UE deve aiutare i territori più fragili e le amministrazioni pubbliche meno attrezzate a utilizzare questi fondi, rafforzandone la capacità amministrativa e di spesa. È stato così anche per il Next Generation EU: il potenziamento degli organici non è stato sufficiente, e in molti comuni si è persa l’opportunità di utilizzare questi fondi.
L’UE deve anche pretendere dagli Stati membri coerenza rispetto ai valori dell’Unione Europea nel fare riforme interne. Ad esempio l’autonomia differenziata di Calderoli è esattamente il contrario di qualsiasi idea di integrazione o di sostegno alle aree svantaggiate o di coesione territoriale e sociale. Allargherà la forbice tra aree forti e aree deboli del paese e indebolirà complessivamente l’economia italiana, mentre l’Italia al contempo chiede fondi europei per la coesione sociale e territoriale.
Sarebbe bene che l’Europa intervenisse laddove gli Stati membri non hanno dimostrato negli ultimi anni la capacità di ridurre i divari sociali e territoriali e quindi di ridurre le diseguaglianze. L’Europa deve chiedere una contribuzione più elevata rispetto allo storico 1%. Questo rafforzerebbe le entrate di bilancio dell’UE, e indurrebbe gli Stati membri a perseguire politiche di sviluppo e di crescita che devono aiutare la coesione, e anche ad utilizzare bene tutte le risorse di cui dispongono.
Per adesso gli Stati membri non sono riusciti a mettersi d’accordo neanche sulle nuove risorse proprie per ripagare gli interessi e poi il capitale del debito comune contratto durante la pandemia. Quali sono le vostre proposte rispetto alla creazione di nuove risorse proprie dell’UE, necessaria anche per poter fare del debito comune?
Gli Stati sovranisti hanno impedito il rispetto della tabella di marcia per l’introduzione di nuove risorse proprie allegata all’accordo interistituzionale del 2020. Stati sovranisti che vogliono indebolire il bilancio europeo, fermare l’integrazione europea e quindi sono contrari al rafforzamento delle entrate che servono a fare avanzare sia il processo di integrazione che di crescita dell’UE. Tra questi sicuramente l’Ungheria, ma non solo. La crescita della destra in Europa non aiutato e quindi si è fermato questo processo che oggi ci preoccupa molto perché se il prestito del Next Generation EU, i 357 miliardi di debito comune, dovesse essere rimborsato a carico del prossimo quadro finanziario pluriennale, corrisponderebbe a circa 25-30 miliardi di spesa sottratta ai bilanci annuali per i prossimi anni e a mio avviso sarebbe evidentemente una catastrofe economica ma anche sociale.
Quindi gli stati sovranisti hanno già recato un grosso danno fino ad oggi all’Unione Europea. Serve una reazione forte. Sicuramente l’impegno da parte del nostro gruppo parlamentare c’è tutto. Il commissario al bilancio Piotr Serafin ha affermato in commissione bilancio che nelle prossime settimane la commissione presenterà un nuovo pacchetto di risorse proprie, e su tale base ci pronunceremo. Ci auguriamo che possa esserci un’intesa tra tutti gli Stati membri per recuperare le risorse necessarie per rimborsare il Next Generation EU che va rimborsato dal 2028 al 2058, ma anche per disporre di nuove entrate necessarie per sostenere le nuove sfide di cui parlavamo prima.
Nel gruppo dei Socialisti e Democratici la riflessione riguarda la possibilità di tassare le grandi rendite finanziarie o le transazioni digitali e sostenere il rafforzamento delle misure che possono indurre comportamenti virtuosi degli Stati membri rispetto alla lotta all’inquinamento e quindi in coerenza con il Green Deal.
Un altro punto riguarda la lotta all’evasione e all’elusione fiscale, una piaga delle nostre economie.
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