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Ristrutturazione del Debito con le Banche: la Guida su Come Fare


Hai debiti con una o più banche e non riesci più a sostenere il peso delle rate di mutui, prestiti o affidamenti? Le scadenze si avvicinano e temi pignoramenti, revoche di fido o segnalazioni in CRIF?

Microcredito

per le aziende

 

In questi casi, esiste una soluzione legale e concreta: la ristrutturazione del debito bancario, una procedura che permette di rinegoziare gli importi dovuti, evitare azioni legali e ripartire con un piano sostenibile.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto bancario, crisi d’impresa e sovraindebitamento – ti spiega cos’è la ristrutturazione del debito con le banche, come funziona e quando può davvero salvare la tua situazione finanziaria o quella della tua azienda.

Cos’è la ristrutturazione del debito bancario?
È un accordo, su base volontaria o nell’ambito di una procedura legale, che consente di modificare le condizioni del debito: importo, durata, tasso d’interesse, piano di ammortamento. L’obiettivo è rendere il debito pagabile, evitare l’insolvenza e mantenere in vita l’attività o la persona fisica debitore.

Quando conviene ristrutturare un debito con la banca?
Quando:
– non riesci più a pagare regolarmente le rate
– sei stato segnalato come cattivo pagatore
– il tuo fido è stato revocato
– rischi azioni esecutive o pignoramenti
– vuoi evitare il fallimento della tua azienda o la liquidazione forzata

Come si fa a ristrutturare un debito bancario?
Esistono due strade:

Finanziamenti personali e aziendali

Prestiti immediati

 

  1. Trattativa privata: con l’assistenza di un avvocato, puoi proporre alla banca un nuovo piano di pagamento (anche con riduzioni, saldo e stralcio o garanzie alternative).
  2. Strumenti legali del Codice della Crisi: se la situazione è più grave, puoi accedere a:
    – Composizione negoziata della crisi
    – Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione
    – Concordato preventivo o semplificato
    – Piano del consumatore (per privati e autonomi)

In tutti i casi, l’obiettivo è bloccare le azioni legali, evitare il default e riprendere il controllo del debito.

Serve un avvocato?
Sì. Le banche difficilmente accettano proposte generiche o non documentate. Un avvocato esperto può:
– negoziare direttamente con gli istituti di credito
– verificare eventuali vizi nei contratti o clausole abusive
– attivare le tutele previste dalla legge per sospendere le procedure esecutive
– redigere piani legali riconosciuti anche dal tribunale

Hai difficoltà con mutui o prestiti bancari e temi di perdere tutto?
Richiedi una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo la tua posizione debitoria, i rapporti con le banche e costruiremo una strategia efficace per ristrutturare il debito, salvare i beni e ripartire in modo sostenibile e legale.

Introduzione

La ristrutturazione del debito bancario è un processo legale e finanziario attraverso cui un’impresa in difficoltà ridefinisce gli accordi con le banche creditrici al fine di rendere il debito sostenibile e salvaguardare la continuità aziendale. Si tratta di una materia complessa, soprattutto alla luce della recente riforma organica introdotta dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), pienamente in vigore dal 15 luglio 2022 e successivamente aggiornata nel 2022 e nel 2024. Questa guida avanzata esamina tutti gli strumenti di ristrutturazione del debito attualmente previsti dall’ordinamento italiano (maggio 2025) per imprese (incluse PMI e start-up), con linguaggio giuridico ma taglio pratico e divulgativo. In particolare, approfondiremo sia le situazioni di insolvenza conclamata (che tipicamente richiedono procedure giudiziali) sia i percorsi di ristrutturazione stragiudiziale (accordi volontari senza aprire formali procedure concorsuali).

Cosa troverai in questa guida:

  • Un quadro normativo generale della crisi d’impresa in Italia post-riforma, con le definizioni chiave (stato di crisi, insolvenza, ecc.) e la distinzione fra strumenti giudiziali e stragiudiziali.
  • Una panoramica dei meccanismi di allerta precoce e di prevenzione della crisi, introdotti dalla legge per intercettare le difficoltà finanziarie prima che diventino irreversibili.
  • Approfondimenti dettagliati su tutti gli strumenti di ristrutturazione del debito oggi disponibili, tra cui: piani attestati di risanamento (art. 56 CCII), accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-61 CCII), piani di ristrutturazione soggetti a omologazione (PRO) (art. 64-bis CCII), convenzioni di moratoria (art. 62 CCII), composizione negoziata della crisi (introdotta dal D.L. 118/2021), nonché istituti connessi come gli strumenti di allerta e le transazioni fiscali e previdenziali (artt. 63-64 CCII).
  • Almeno 5 simulazioni pratiche di casi aziendali, con numeri semplificati, per mostrare come applicare concretamente ciascun strumento (es. un accordo con le banche per ridurre le rate, un piano attestato con nuova finanza, ecc.).
  • Esempi di modulistica e bozze utili: ad esempio, uno schema di accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis L.F. (oggi art.57 CCII), un fac-simile di lettera alla banca per avviare trattative di ristrutturazione, e la struttura di un piano attestato di risanamento.
  • Tabelle comparative che riassumono e confrontano i vari strumenti su punti chiave (presupposti, maggioranze richieste, coinvolgimento del tribunale, effetti sui creditori dissenzienti, ecc.), per almeno tre prospettive diverse.
  • Una sezione FAQ (domande frequenti) con quesiti avanzati sulla ristrutturazione del debito, ad esempio sulle differenze tra concordato e accordi stragiudiziali, sul funzionamento del cram-down fiscale, sul calcolo delle maggioranze, sul ruolo del professionista attestatore, ecc.
  • Una sezione finale con tutte le fonti normative e giurisprudenziali citate o utili per approfondire: articoli di legge (aggiornati alle ultime modifiche), sentenze recentissime di merito e di legittimità, circolari interpretative, prassi applicative.

L’obiettivo è fornire una guida completa “su come fare” una ristrutturazione del debito bancario, combinando l’inquadramento giuridico con indicazioni operative. Per ciascun strumento spiegheremo quando è indicato, come attivarlo, quali vantaggi e rischi comporta, e come interagiscono le banche e gli altri creditori nel processo. Evidenzieremo inoltre le novità normative al 2025, frutto del recepimento della direttiva UE 2019/1023 e dei successivi correttivi, che hanno introdotto nuovi strumenti (come il PRO) e potenziato quelli esistenti.

Nota sull’ambito di applicazione: parleremo esclusivamente di ristrutturazione dei debiti di impresa. Le procedure qui descritte si applicano agli imprenditori (in forma societaria o individuale) assoggettabili alle procedure concorsuali ordinarie – tipicamente imprese commerciali sopra determinate soglie dimensionali. Restano esclusi i debitori civili e i consumatori, per i quali esistono procedure ad hoc (soluzioni da sovraindebitamento) non trattate in questa guida. Inoltre, la trattazione è limitata alla normativa italiana vigente e non considera discipline estere.

Di seguito inizieremo delineando il contesto normativo generale e i segnali precoci della crisi (allerta), per poi affrontare uno ad uno gli strumenti di regolazione del debito con le banche, dai più “soft” e negoziali a quelli più strutturati e giudiziali, con esempi pratici e riferimenti alle norme di legge e alle pronunce giurisprudenziali più recenti.

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Quadro Normativo Generale sulla Crisi d’Impresa

La disciplina della crisi d’impresa in Italia è stata oggetto di una profonda riforma negli ultimi anni. Il fulcro normativo è il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), introdotto con il D.Lgs. 14/2019 (in attuazione della legge delega n. 155/2017) e entrato in vigore – dopo vari rinvii – il 15 luglio 2022. Il CCII ha sostituito la vecchia Legge Fallimentare (R.D. 267/1942) e ha riunito in un testo unico sia le procedure concorsuali tradizionali sia nuovi strumenti negoziali di soluzione della crisi. Successivamente, il legislatore è intervenuto con decreti correttivi per adeguare e perfezionare il Codice, recependo tra l’altro la direttiva UE 2019/1023 sui quadri di ristrutturazione preventiva: in particolare il D.Lgs. 83/2022 (in vigore sempre dal 15 luglio 2022) e il D.Lgs. 136/2024 (in vigore da ottobre 2024) hanno introdotto importanti novità.

Ecco in sintesi le definizioni chiave e i principi generali del sistema attuale:

  • Stato di crisi vs stato di insolvenza: il CCII distingue il “crisis” dall’“insolvency”. Per crisi si intende squilibrio economico-finanziario che rende probabile l’insolvenza se non si interviene (ad es. tensione di liquidità, perdite significative). L’insolvenza, invece, è la definitiva incapacità dell’impresa di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, manifestata da inadempimenti o altri fatti esteriori (la classica “cessazione dei pagamenti”). La crisi è dunque uno stadio precedente e reversibile, mentre l’insolvenza è lo stadio conclamato che di regola conduce a una procedura concorsuale liquidatoria (fallimento, ora liquidazione giudiziale). Il codice incentiva la gestione anticipata della crisi, prima che degeneri in insolvenza irreversibile.
  • Imprese soggette alle procedure concorsuali: rientrano nell’ambito del CCII tutti gli imprenditori “commerciali” non piccoli, incluse società di capitali, società di persone e imprenditori individuali sopra certe soglie (ricavi lordi annui superiori a €200.000 e debiti oltre €500.000 circa, secondo i criteri ex art. 1 L.F. aggiornati). Le PMI sono incluse se superano tali limiti di non fallibilità. Le start-up innovative godono di alcune esenzioni da fallimento per i primi anni, ma possono accedere comunque agli strumenti di allerta e ristrutturazione in caso di crisi. In generale, questa guida presume che l’impresa rientri nel campo di applicazione del CCII; per le imprese minori e i soggetti non fallibili esistono procedure semplificate (composizione della crisi da sovraindebitamento) non trattate qui.
  • Finalità delle norme sulla crisi: l’obiettivo primario è il risanamento dell’impresa e la continuazione dell’attività ove possibile, salvaguardando il valore aziendale e i livelli occupazionali. Solo quando la continuità non è percorribile, si ripiega su una liquidazione ordinata dell’impresa, che nel nuovo sistema prende il nome di liquidazione giudiziale (corrispondente al vecchio fallimento). L’approccio moderno è “rescue oriented”: privilegiare soluzioni negoziali per superare la crisi, evitando per quanto possibile la dispersione dei valori che spesso si verifica con la liquidazione fallimentare.
  • Strumenti giudiziali vs stragiudiziali: gli strumenti di regolazione della crisi si dividono in due categorie fondamentali:
    • Strumenti giudiziali (o concorsuali): sono procedure aperte dinanzi al Tribunale e caratterizzate dall’intervento di organi nominati dal giudice (commissario, curatore, ecc.) e dal controllo giudiziario su tutto il processo. I principali sono il concordato preventivo (piano proposto dall’imprenditore ai creditori, con voto di questi ultimi e omologazione del tribunale) e la liquidazione giudiziale (procedura liquidatoria d’ufficio, che sostituisce il fallimento). Esistono varianti come il concordato semplificato (introdotto nel 2021 per PMI in casi particolari) e strumenti complementari come l’omologazione degli accordi di ristrutturazione (in pratica un procedimento giudiziale che recepisce un accordo negoziato privatamente).
    • Strumenti stragiudiziali (o negoziali): sono accordi volontari tra l’impresa debitrice e i creditori, raggiunti al di fuori di una procedura concorsuale formale. Non richiedono l’apertura di un procedimento pubblico (se non eventualmente per formalizzarne alcuni effetti) e lasciano maggiore autonomia negoziale alle parti. Fanno parte di questa categoria i piani attestati di risanamento, gli accordi di ristrutturazione dei debiti (nella fase di trattativa privata), le convenzioni di moratoria tra banche, e la composizione negoziata della crisi introdotta di recente. Anche i cosiddetti strumenti di allerta precoce possono essere considerati misure stragiudiziali, in quanto mirano a innescare soluzioni prima di arrivare in Tribunale.
  • Principali riferimenti normativi: per orientarsi meglio, si indicano i riferimenti legislativi essenziali nel CCII:
    • Titolo II CCIIMisure di allerta e prevenzione: art. 12 e seguenti (segnalazioni di allerta precoce dei creditori pubblici qualificati; obbligo di assetti adeguati ex art. 2086 c.c.). (Nota: le originarie procedure di allerta interne e l’Organismo di composizione della crisi OCRI, previsti dal Codice, sono stati di fatto abrogati prima di entrare in vigore, sostituiti da strumenti volontari come la composizione negoziata.)
    • Titolo III CCIIStrumenti di regolazione giudiziale: artt. 84-120 sul concordato preventivo (in continuità aziendale o con liquidazione dei beni) e artt. 121-154 sul concordato semplificato (riservato al caso di esito negativo della composizione negoziata); artt. 160-277 sulla liquidazione giudiziale (ex fallimento) e istituti collegati (liquidazione controllata per sovraindebitati, esdebitazione del debitore insolvente, ecc.).
    • Titolo IV CCIIStrumenti di regolazione negoziale (stragiudiziale) della crisi: artt. 56-64 e 64-bis. Qui trovano disciplina il piano attestato di risanamento (art. 56), gli accordi di ristrutturazione dei debiti (artt. 57-60), gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa (art. 61), le convenzioni di moratoria (art. 62) e le transazioni su crediti tributari e contributivi (artt. 63-64). Inoltre, l’art. 64-bis CCII (introdotto nel 2022) disciplina il nuovo piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO). Tutti questi sono strumenti essenzialmente negoziali, ancorché alcuni prevedano un intervento eventuale del tribunale in fase di omologazione (accordi e PRO).
    • Normativa speciale recente: D.L. 118/2021 (conv. L. 147/2021) che ha introdotto la composizione negoziata della crisi e il concordato semplificato; D.Lgs. 83/2022 (“Correttivo II”) che ha recepito la direttiva UE introducendo il PRO, gli accordi agevolati al 30%, il cram-down fiscale ecc.; D.Lgs. 147/2020 (“Correttivo I”) con correzioni tecniche; D.Lgs. 136/2024 (“Correttivo III”) con ulteriori miglioramenti (rafforzamento allerta, chiarimenti su transazioni fiscali, moratoria nei piani del consumatore, semplificazioni procedurali). Questi interventi hanno completato l’assetto normativo attuale, rendendolo coerente e stabile al 2025.

In sintesi, il sistema vigente offre un ventaglio ampio di strumenti per affrontare la crisi d’impresa, dal piano strettamente privatistico (piano attestato senza coinvolgimento del giudice) alla procedura concorsuale completa (liquidazione giudiziale). La scelta dello strumento dipende dal grado di gravità della crisi/insolvenza, dalla fattibilità di un risanamento in continuità, dal consenso dei creditori e dalla necessità di protezione legale durante il processo. Nel prossimo paragrafo vedremo come la legge incoraggia la emersione tempestiva della crisi attraverso alcuni meccanismi di allerta e supporto precoce.

Allerta Precoce e Prevenzione della Crisi

Uno degli elementi cardine della riforma è la volontà di intercettare i segnali di crisi il prima possibile, per facilitare interventi correttivi quando ancora l’insolvenza può essere evitata. A tale scopo erano stati previsti nel CCII originario specifici strumenti di allerta precoce obbligatori; tuttavia, la loro attuazione è stata sospesa e poi superata da strumenti più flessibili. Di seguito esaminiamo i principali meccanismi oggi operativi per la prevenzione e l’allerta:

  • Adeguati assetti organizzativi (art. 2086 c.c.): tutte le società e gli imprenditori collettivi sono tenuti per legge a dotarsi di “assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alla natura e dimensioni dell’impresa” al fine di rilevare tempestivamente la crisi. Ciò significa implementare sistemi di controllo di gestione, monitoraggio finanziario e indicatori di early warning interni. Gli amministratori hanno un preciso dovere di attivarsi senza indugio per adottare uno strumento di regolazione della crisi quando rilevano segnali di difficoltà. La mancata predisposizione di assetti adeguati può comportare responsabilità per gli amministratori e gli organi di controllo (collegio sindacale, revisore), ed è scrutinata anche in sede concorsuale.
  • Indicatori finanziari e indici di crisi: il Codice prevedeva l’individuazione di indici di allerta (da parte del CNDCEC – Consiglio nazionale dei dottori commercialisti) che potessero segnalare automaticamente una probabile crisi (es. rapporto DSCR, sostenibilità degli oneri finanziari, ecc.). Questi indici avrebbero dovuto essere parametri oggettivi attivatori dell’allerta. In pratica, la loro applicazione è stata congelata durante l’emergenza Covid e rivista. Oggi, più che su soglie automatiche, l’enfasi è sugli obblighi degli organi sociali di vigilare sulla continuità aziendale e sugli indicatori personalizzati in base alla singola impresa. Resta l’obbligo, per il revisore/sindaco nelle società obbligate alla revisione, di segnalare immediatamente agli amministratori i fatti di rilevante compromissione della continuità (e successivamente, in caso di inerzia degli amministratori, informare il tribunale ex art. 25-octies CCII).
  • Segnalazioni dei creditori pubblici qualificati: un pezzo importante dell’allerta precoce è costituito dalle segnalazioni che devono fare alcuni enti pubblici (Agenzia delle Entrate, INPS, Agente della Riscossione) quando l’impresa accumula debiti significativi verso lo Stato. Il D.L. 118/2021 e i successivi correttivi hanno delineato soglie oltre le quali scatta l’obbligo di segnalazione:
    • Debiti IVA non versati: se superano €5.000 e rappresentano oltre il 10% del volume d’affari, comunque con un minimo assoluto di €20.000. (Questa soglia IVA è stata alzata nel 2022 – inizialmente era più bassa – per evitare allerta eccessivamente frequenti).
    • Debiti previdenziali e ritenute: se l’impresa ritarda pagamenti INPS per importi rilevanti (p.es. oltre 90 giorni di contributi non versati sopra una certa soglia di importo, generalmente qualche migliaio di euro) o non versa ritenute per importi consistenti, l’ente segnala.
    • Cartelle esattoriali: l’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate-Riscossione) segnala se l’impresa ha carichi affidati scaduti da oltre 90 giorni superiori a €100.000 (per imprese medie) o soglie minori per imprese piccole (ad es. €50.000) – soglie aggiornate dai decreti emergenziali.

    La finalità di queste segnalazioni non è punitiva, bensì quella di “spronare” l’imprenditore a prendere provvedimenti. Infatti, entro 90 giorni dalla segnalazione il debitore deve chiedere un incontro presso la Camera di Commercio o attivare una procedura di composizione della crisi (come la composizione negoziata). In mancanza, gli enti segnalanti potrebbero perdere il beneficio della prededuzione dei loro crediti se poi interviene una procedura concorsuale.

  • Composizione negoziata come strumento di allerta volontaria: come vedremo nel dettaglio tra poco, la composizione negoziata della crisi (introdotta nel 2021) è una procedura volontaria e confidenziale che l’imprenditore può attivare non appena percepisce i sintomi della crisi, per farsi affiancare da un esperto indipendente nella ricerca di una soluzione. È uno strumento “morbido” che di fatto ha preso il posto delle originarie procedure di allerta obbligatorie (mai entrate in vigore). L’accesso tempestivo alla composizione negoziata è considerato indice di correttezza dell’imprenditore e può anche sospendere temporaneamente l’obbligo di deposito del bilancio in perdita significativa (art. 20 CCII), proprio per favorire il risanamento.
  • Sospensione delle azioni esecutive e protezioni temporanee: in alcune situazioni, l’imprenditore in crisi può beneficiare – su richiesta – di misure protettive temporanee che bloccano i creditori mentre si cerca un accordo. Ad esempio, nell’ambito della composizione negoziata è possibile chiedere al tribunale misure protettive del patrimonio (stay delle azioni esecutive) per la durata delle trattative. Analogamente, se si presenta un’istanza di concordato “in bianco” (prenotativo) o di omologa di un accordo di ristrutturazione, scatta l’automatic stay ex art. 54 CCII. Queste protezioni contribuiscono a evitare il precipitare della crisi in insolvenza conclamata, guadagnando tempo per negoziare.

In definitiva, l’ordinamento attuale bilancia obblighi e incentivi: obblighi per amministratori e controllori di attivarsi e segnalare, incentivi sotto forma di strumenti confidenziali (come la composizione negoziata) e di protezioni (stay delle azioni) per chi prova a ristrutturare seriamente. Va sottolineato che le originarie “procedure di allerta” con convocazione d’ufficio dell’imprenditore davanti a un organo (OCRI) sono state abrogate prima di vedere la luce, in quanto ritenute troppo invasive. Al loro posto, la composizione negoziata funge da allerta “morbida”: sta all’imprenditore attivarla, ma la legge crea un contesto favorevole (segnalazioni enti pubblici, esimenti da responsabilità in caso di tempestiva attivazione, ecc.). Nel prossimo capitolo entreremo proprio nel vivo di questo strumento innovativo, per poi passare agli strumenti negoziali e giudiziali più tradizionali di ristrutturazione del debito bancario.

La Composizione Negoziata della Crisi

La Composizione Negoziata della Crisi (CNC) è un istituto introdotto in via d’urgenza nel 2021 (D.L. 118/2021, convertito con L. 147/2021) per aiutare le imprese colpite dalla pandemia, e poi confluito stabilmente nel CCII (artt. 17-25 e 25-bis CCII). Si tratta di una procedura volontaria, riservata e stragiudiziale in cui l’imprenditore in stato di crisi (o di insolvenza reversibile) chiede l’assistenza di un esperto indipendente per condurre trattative con i creditori e individuare una soluzione concordata di risanamento. La composizione negoziata non è una procedura concorsuale in senso stretto (non comporta spossessamento né intervento autoritativo del giudice in via ordinaria), ma è uno strumento “ibrido” che offre alcune tutele tipiche delle procedure concorsuali senza i relativi oneri, incentivando l’accordo amichevole.

Quando e come si attiva la Composizione Negoziata

  • Presupposti soggettivi: Può accedere alla composizione negoziata qualsiasi imprenditore commerciale o agricolo, di qualsiasi dimensione, che si trovi in condizioni di crisi o insolvenza non ancora irreversibile. Non vi sono soglie minime di debito né esclusioni per categoria (vi accedono anche imprese minori e agricole, a differenza del concordato). È quindi uno strumento universalistico e pre-concorsuale, aperto anche a chi non potrebbe fallire. L’imprenditore (rappresentante legale se società) deve presentare un’istanza tramite la piattaforma telematica dedicata (gestita dalle Camere di Commercio), allegando informazioni sulla sua situazione economico-patrimoniale (dati contabili, elenco creditori, business plan preliminare).
  • Nomina dell’esperto indipendente: Ricevuta l’istanza, una Commissione presso la Camera di Commercio nomina un esperto terzo e indipendente, scelto da un apposito elenco di professionisti qualificati (commercialisti, avvocati, consulenti con esperienza, formati secondo il DM 28/9/2021). L’esperto assume il ruolo di facilitatore delle trattative: convoca l’imprenditore e i creditori chiave, analizza i dati aziendali e propone soluzioni. La nomina avviene entro 5 giorni dall’istanza. Da quel momento inizia una fase protetta di durata iniziale 3 mesi (prorogabile di ulteriori 3 + 3 mesi su valutazione dell’esperto e volontà dell’imprenditore), durante la quale avvengono le negoziazioni. La procedura si svolge in modo riservato: non viene data pubblicità dell’accesso alla composizione negoziata, salvo che l’imprenditore decida di attivare misure protettive o altre autorizzazioni giudiziali.
  • Facoltà di richiedere misure protettive: Durante la composizione negoziata, l’imprenditore può chiedere al Tribunale l’emissione di misure protettive temporanee (art. 18 CCII) per congelare le azioni esecutive o cautelari dei creditori. L’istanza di misure protettive viene pubblicata nel Registro delle Imprese (rendendo conoscibile l’esistenza della procedura) e le misure hanno durata iniziale fino a 4 mesi, prorogabili fino a 12 mesi. Durante questo periodo, i creditori non possono iniziare o proseguire pignoramenti o iscrivere ipoteche, e i contratti essenziali (es. forniture energetiche) non possono essere sospesi per i debiti pregressi. Il tribunale concede le misure se l’esperto non rileva pregiudizio e se vi sono concrete trattative in corso. È importante notare che l’imprenditore mantiene la gestione ordinaria dell’azienda anche con le misure protettive in atto.
  • Ruolo e poteri dell’esperto: L’esperto nominato non ha poteri di amministrazione né sostituisce l’imprenditore, ma svolge un ruolo di mediatore e consulente super partes. Egli convoca le parti (debitori e principali creditori, incluse banche) in incontri periodici, analizza la situazione dell’impresa e propone possibili soluzioni di ristrutturazione. Può suggerire ad esempio la sospensione temporanea dei pagamenti (moratoria concordata), la ricerca di nuova finanza, la dismissione di asset non strategici, la predisposizione di un piano industriale di rilancio. L’esperto non può imporre accordi (le decisioni restano delle parti), ma favorisce la comunicazione e la buona fede nelle trattative. Egli redige rapporti periodici sull’andamento delle negoziazioni e alla fine della procedura riferisce sull’esito. Un suo potere particolare è quello di segnalare eventuali atti dannosi compiuti dall’imprenditore: se quest’ultimo assume decisioni gravemente pregiudizievoli o preferenziali senza il consenso dell’esperto, quest’ultimo può iscrivere un’annotazione nel registro delle imprese per segnalare il disaccordo. Tale annotazione serve da avvertimento ai terzi (es. banche) e può comportare la perdita di taluni benefici, ad esempio la non proteggibilità di quell’atto in caso di successivo fallimento (perdita dell’esenzione da revocatoria). In altre parole, se l’imprenditore fa pagamenti preferenziali durante la composizione negoziata senza l’avallo dell’esperto, tali pagamenti potranno essere revocati poi, mentre se l’esperto li condivide e non annota nulla, il pagamento potrebbe essere considerato esente da revocatoria.
  • Svolgimento delle trattative: Nella pratica, la composizione negoziata è un “tavolo negoziale” assistito. L’imprenditore, coadiuvato dai propri consulenti, presenta ai creditori (spesso banche, fornitori principali, Fisco) un quadro della situazione e una proposta di massima di ristrutturazione (ad esempio: moratoria di 6 mesi sulle rate dei mutui, allungamento dei piani di ammortamento, stralcio parziale di interessi, conversione di crediti in capitale, ricerca di investitore terzo, ecc.). I creditori bancari di solito attivano le loro unità di ristrutturazione del credito (credit manager dedicati) per valutare il piano. L’esperto modera gli incontri, garantendo che tutte le informazioni rilevanti siano condivise e che le parti negozino in buona fede. A differenza del concordato, non c’è un voto formale dei creditori: ogni creditore decide liberamente se aderire a un eventuale accordo. La composizione negoziata può concludersi con diversi esiti:
    • Stipula di un accordo stragiudiziale (privato) di ristrutturazione: ad esempio un piano attestato di risanamento sottoscritto dalle banche, o un accordo transattivo bilaterale con ciascun creditore.
    • Accesso a una procedura concorsuale semplificata: se emerge che l’azienda non è salvabile ma conviene evitare il fallimento mediante una rapida liquidazione, l’imprenditore – entro 60 giorni dalla conclusione senza successo delle trattative – può presentare un concordato “semplificato” per la liquidazione del patrimonio (art. 25-sexies CCII). Questo concordato non prevede voto dei creditori: il tribunale può omologarlo valutando solo che il ricavato della liquidazione proposta sia superiore a quanto ottenibile in caso di fallimento. È una via residuale per chiudere l’impresa evitando le lungaggini del fallimento.
    • Ricorso a strumenti concorsuali ordinari: in alternativa, l’imprenditore potrebbe decidere di avviare un concordato preventivo “classico” o proporre un accordo di ristrutturazione omologato (art.57 CCII) formalizzando in tribunale l’intesa raggiunta. In alcuni casi, la composizione negoziata funge da anticamera: le parti si accordano informalmente e poi “trasferiscono” l’accordo in sede di concordato o accordo ex 182-bis per dargli forza legale erga omnes.
    • Interruzione senza esito e possibile liquidazione giudiziale: se non si raggiunge accordo e l’impresa è insolvente, l’esperto lo comunicherà, e l’imprenditore o i creditori potranno poi richiedere la liquidazione giudiziale (fallimento). Va detto però che l’attivazione della composizione negoziata in buona fede e l’eventuale rapporto finale dell’esperto saranno considerati dal Tribunale nella valutazione del comportamento dell’imprenditore (ad esempio per concedere o meno benefici come l’esdebitazione).
  • Caratteristiche chiave e differenze rispetto ad altre procedure: La composizione negoziata è caratterizzata da flessibilità e riservatezza. Non c’è spossessamento: l’imprenditore rimane in sella alla gestione ordinaria e straordinaria (purché con correttezza). Non c’è alcuna pubblicità iniziale (a meno di misure protettive richieste) e nessuna etichetta di “procedura concorsuale” che potrebbe allarmare clienti e fornitori. Anche i costi sono contenuti: l’esperto ha diritto a un compenso limitato (determinato secondo linee guida ministeriali, spesso inferiore alle parcelle di un commissario giudiziale in concordato) e non ci sono contributi unificati o spese di giustizia significative. La durata è breve (massimo 6-9 mesi proroghe incluse, salvo casi eccezionali autorizzati fino a 12 mesi). Si tratta dunque di un percorso non burocratico e volontario, che “non sporca la visura camerale” dell’impresa se rimane riservato. La differenza rispetto al concordato preventivo sta proprio in questo: niente domanda in tribunale, niente voto dei creditori, niente omologazione finale. Se un accordo si trova, resta un accordo contrattuale (come un qualsiasi contratto transattivo) eventualmente corredato dal piano di risanamento predisposto. Solo se serve, quell’accordo potrà essere portato in tribunale per l’omologa (ma a quel punto ricadremmo negli strumenti dell’art.57 CCII). In pratica, la CNC offre un ombrello negoziale per consentire soluzioni consensuali con alcuni vantaggi: ad esempio, eventuali nuovi finanziamenti ottenuti durante la composizione negoziata possono essere autorizzati dal tribunale come finanza prededucibile (art. 22 CCII), cioè avere privilegio di rimborso prioritario se poi la trattativa fallisse e si aprisse un fallimento. Inoltre, la legge prevede la possibilità di modificare contratti onerosi con l’assenso dell’esperto (art. 20): ad esempio, rinegoziare canoni di affitto d’azienda, ottenere sospensione di determinati contratti in essere, ecc., con approvazione agile. Tutto ciò senza le formalità del concordato.

In sintesi, la composizione negoziata è l’opzione da preferire quando l’impresa è ancora “in bilico” ma recuperabile, e si vuole tentare un accordo confidenziale con banche e creditori evitando di entrare subito in procedura concorsuale. I vantaggi sono: niente stigma pubblico, tempi rapidi, costi ridotti, mantenimento dei rapporti commerciali (spesso i fornitori apprezzano che si tenti un risanamento). Gli svantaggi possono essere: nessun potere coercitivo sui creditori (se una banca rifiuta ogni accordo, la composizione negoziata non può imporglielo), permanenza del rischio di iniziative individuali dei creditori se non si chiedono misure protettive, e successo legato alla collaborazione volontaria delle parti. Ad ogni modo, è diventato uno strumento cardine: già nei primi 18 mesi di vigenza molte PMI lo hanno utilizzato, e i tribunali hanno iniziato a creare prassi (es. Tribunale di Milano 24/10/2024 ha confermato l’ammissibilità di PRO conseguenti a composizione negoziata in continuità, definendo la CNC uno “strumento di rottura” innovativo per ristrutturazioni rapide).

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Esempio pratico – Composizione Negoziata

Caso Alfa S.r.l.: Alfa S.r.l. è un’azienda manifatturiera con 50 dipendenti, esposta verso banche per €2 milioni (mutuo ipotecario e scoperto di conto) e con debiti verso fornitori per €800.000. A causa di un calo di fatturato, Alfa registra perdite e tensione di liquidità: nelle previsioni di 6 mesi rischia di non poter pagare le rate dei finanziamenti e i fornitori a scadenza (stato di “crisi”). Gli amministratori decidono di attivarsi precocemente:

  1. Accesso alla piattaforma: A gennaio 2025 presentano istanza di composizione negoziata tramite il portale dedicato, allegando gli ultimi bilanci, situazione debitoria dettagliata e una bozza di piano industriale che prevede la riorganizzazione dell’azienda (taglio di rami improduttivi) e la richiesta di moratoria di 6-12 mesi sui debiti bancari.
  2. Nomina dell’esperto: Dopo 7 giorni, la Camera di Commercio nomina la dott.ssa Bianchi, esperta di risanamenti, come esperto indipendente. Alfa S.r.l. ottiene automaticamente, per il solo deposito dell’istanza, una protezione provvisoria di 30 giorni dalle azioni esecutive (come misura cautelare anticipata).
  3. Incontri con i creditori: L’esperto convoca subito un meeting con i rappresentanti delle due banche finanziatrici principali e con una selezione dei fornitori strategici. Durante il primo incontro (metà gennaio), Alfa presenta la situazione: ordini in calo del 20%, cassa insufficiente per onorare tutte le scadenze, però prospettive di nuovi contratti a partire da settembre. Propone dunque: alle banche una moratoria di 9 mesi sulle rate capitale (pagando solo interessi), e ai fornitori un pagamento parziale (80%) dei crediti in 6 rate mensili a partire da 3 mesi, a saldo e stralcio.
  4. Misure protettive: Per evitare azioni individuali (una banca aveva minacciato revoca fido e un fornitore aveva avviato decreto ingiuntivo), Alfa – su consiglio dell’esperto – deposita in tribunale una richiesta di misure protettive, ottenendo dal giudice un decreto che blocca i pignoramenti e congela le revoche di fido per 4 mesi (fino a fine maggio). Ciò crea un ambiente più stabile per negoziare.
  5. Proposta rivista e attestazione di convenienza: Nei mesi di febbraio-marzo, l’esperto esamina i numeri di Alfa e suggerisce qualche modifica: propone alle banche di allungare i finanziamenti di 5 anni in modo da ridurre la rata post-moratoria; suggerisce all’azienda di offrire ai fornitori un piccolo pagamento immediato (10%) e poi il restante 70% in 12 mesi, in modo da recuperare fiducia. Redige anche uno schema di piano con proiezioni di cassa che mostrano come, con la moratoria e la ripresa degli ordini, Alfa riuscirà da settembre a tornare liquida. L’esperto non è tenuto a redigere una vera e propria attestazione di fattibilità (non è richiesto in CNC), ma prepara una relazione che conforta i creditori sulla sostenibilità del piano proposto.
  6. Accordo finale privato: Ad aprile 2025, Alfa S.r.l., le banche e i principali fornitori sottoscrivono un accordo. Esso consiste in: (a) una convenzione di moratoria con le banche, che sospendono il pagamento delle quote capitale dei mutui fino a dicembre 2025 e rinunciano a revocare gli affidamenti per lo stesso periodo; (b) un accordo con i fornitori (rappresentanti dell’85% del totale crediti fornitori) di stralcio del 20% del credito, con pagamento del 80% in 12 rate mensili a partire da giugno. L’esperto valuta che i fornitori dissenzienti (15% del totale) non riceveranno meno di quanto otterrebbero in un fallimento (che sarebbe quasi zero), quindi nessuno è pregiudicato. Formalmente, l’accordo con i fornitori è un piano attestato (v. sezione successiva) sottoscritto dalle parti, corredato da una attestazione di un professionista che conferma la veridicità dei dati e la miglior soddisfazione rispetto al fallimento. L’accordo viene depositato presso il registro delle imprese (su suggerimento dell’esperto) per garantirne la data certa e l’efficacia esimente da revocatorie.
  7. Chiusura della composizione negoziata: L’esperto redige una relazione finale positiva, attestando che “è stato raggiunto un accordo idoneo ad assicurare la continuità aziendale di Alfa S.r.l.”. La composizione negoziata si conclude con successo e le misure protettive decadono automaticamente (non servono più, perché c’è accordo).
  8. Esecuzione e monitoraggio: Nei mesi successivi, Alfa esegue fedelmente i piani di pagamento concordati. Le banche sono soddisfatte perché evitano di classificare il credito a sofferenza e confidano nella ripresa di Alfa. I fornitori ricevono pagamenti parziali ma in tempi certi e preferiscono incassare l’80% subito che rischiare un fallimento. Dopo 12 mesi Alfa è risanata e torna in bonis.

Questo caso esemplifica come, attraverso la composizione negoziata, un’impresa “in bilico” possa negoziare proattivamente con le banche soluzioni temporanee (moratorie, allungamenti) e con gli altri creditori accordi di riduzione/rateizzazione, evitando sia il default immediato sia l’apertura di un fallimento. Il tutto con la regia di un esperto super partes che aiuta a trovare un equilibrio sostenibile per tutte le parti.

(Nelle sezioni seguenti vedremo più nel dettaglio gli strumenti contrattuali menzionati in questo esempio – es. convenzione di moratoria e piano attestato – nonché altri strumenti applicabili in casi più complessi.)

Piani Attestati di Risanamento (art. 56 CCII)

Il Piano Attestato di Risanamento è uno strumento stragiudiziale puro, disciplinato dall’art. 56 CCII (già previsto dall’art. 67, co. 3, lett. d) della vecchia legge fallimentare). Si tratta di un piano industriale e finanziario di risanamento redatto dall’impresa in crisi, che viene asseverato da un professionista indipendente (attestatore) e attuato mediante accordi privatistici con i creditori. L’obiettivo è ripristinare l’equilibrio finanziario dell’impresa e rimuovere lo stato di crisi, evitando l’insolvenza e il ricorso a procedure concorsuali.

Caratteristiche fondamentali del piano attestato di risanamento:

  • Natura volontaria e privata: Il piano attestato è essenzialmente un accordo negoziato tra il debitore e i suoi principali creditori, senza intervento del tribunale. Non c’è un’omologazione né un procedimento giudiziario, a differenza degli accordi di ristrutturazione ex art.57. Questo significa che il piano ha efficacia solo contrattuale: vincola solo i creditori che vi aderiscono (di norma formalizzando accordi bilaterali con il debitore) e non ha effetto sui creditori estranei. In altri termini, non esiste un meccanismo di “cram-down” nel piano attestato puro: l’impresa deve trovare un consenso volontario, seppur non necessariamente unanime, dei creditori per poterlo attuare. Il vantaggio è la rapidità e riservatezza: non serve attivare alcuna procedura pubblica.
  • Soglie e presupposti: Non esistono soglie di adesione minima fissate dalla legge per poter adottare un piano attestato (a differenza degli accordi ex 57 che richiedono almeno il 60% dei crediti). In teoria basterebbe l’accordo con uno o più creditori rilevanti per costruire un piano. In pratica, però, un piano attestato è efficace solo se coinvolge tutti (o la maggior parte) dei creditori strategici, altrimenti il rischio di azioni legali da parte dei non aderenti (pignoramenti, istanze di fallimento) rimane. L’art. 56 CCII prevede che l’imprenditore debba essere “in stato di crisi o insolvenza” per utilizzare questo strumento, quindi non è necessario essere formalmente insolventi – anzi è di solito usato prima che l’insolvenza conclamata si manifesti. Il target tipico sono aziende di medie-grandi dimensioni con struttura debitoria complessa: questo perché la predisposizione del piano e soprattutto l’attestazione sono operazioni onerose (richiedono consulenti finanziari, legali e un professionista attestatore retribuito), sostenibili di norma da aziende di una certa dimensione. Tuttavia, nulla esclude che anche una PMI possa avvalersene.
  • Contenuto del piano: Il piano di risanamento può prevedere qualsiasi misura utile a riequilibrare l’azienda. Ad esempio:
    • Ristrutturazione del debito: dilazioni dei termini di pagamento dei finanziamenti, rimodulazione dei tassi di interesse, riduzione (stralcio) parziale di alcuni crediti (tipicamente interessi moratori, o quota parte di crediti chirografari), conversione di debiti in strumenti partecipativi (quote societarie).
    • Apporto di nuova finanza: immissione di nuovo capitale (soci o investitori terzi), concessione di nuovi finanziamenti bancari o bond, spesso assistiti da privilegi o garanzie. Questi nuovi finanziamenti possono essere necessari per pagare i creditori strategici e rilanciare l’attività.
    • Riorganizzazione aziendale: vendita di asset non core per fare cassa, chiusura di filiali in perdita, riduzione del personale (con accordi sindacali), revisione del modello di business.
    • Accordi transattivi: patti di non petizione (i creditori acconsentono a non escutere i crediti per un certo periodo), accordi con fornitori per continuare a fornire beni/servizi a condizioni sostenibili durante il risanamento, possibili accordi con l’Erario (rateizzazioni) se la legge lo consente amministrativamente.

    Il piano deve essere accompagnato da dati finanziari previsionali che dimostrino la sostenibilità delle misure proposte: tipicamente un cash-flow forecast mensile e un conto economico e stato patrimoniale previsionali a 3-5 anni (piano industriale). Inoltre deve riportare le cause della crisi e come si intende rimuoverle. Non c’è un format rigido di legge, ma la prassi (Linee guida CNDCEC) suggerisce di includere: analisi della posizione debitoria, elenco creditori con importi e ipotesi di soddisfazione, piano di tesoreria, rapporto sull’andamento atteso.

  • Attestazione del professionista indipendente: Il fulcro qualificante è la relazione di attestazione redatta da un esperto indipendente (es. un commercialista o revisore con esperienza in crisi, iscritto all’albo dei gestori della crisi). L’attestatore deve verificare e dichiarare due cose fondamentali:
    1. Veridicità dei dati aziendali: deve controllare che i dati contabili e le informazioni fornite dall’impresa (su debiti, crediti, bilanci) siano corretti e non fuorvianti.
    2. Fattibilità e sostenibilità del piano: deve valutare, alla luce delle ipotesi formulate, se il piano è realisticamente idoneo a risanare l’esposizione debitoria e riequilibrare l’azienda. In particolare, deve attestare che l’impresa, eseguendo quel piano, è in grado di superare lo stato di crisi e che i creditori aderenti (e quelli eventualmente non aderenti se considerati nel piano) riceveranno un soddisfacimento non inferiore a quello ottenibile in una liquidazione fallimentare.

    L’attestazione conferisce credibilità al piano: le banche e i creditori tendono a fidarsi di più sapendo che un professionista terzo ha passato al vaglio i numeri. Inoltre, come vedremo, è anche condizione per i benefici legali del piano attestato (protezione da revocatoria fallimentare e esenzione fiscale). L’attestatore si assume una responsabilità importante e deve soddisfare requisiti di indipendenza (assenza di conflitti di interesse). La sua relazione va allegata al piano e comunicata ai creditori coinvolti.

  • Formalizzazione e adesione dei creditori: Il piano attestato in sé è un documento unilaterale dell’impresa con l’asseverazione dell’attestatore. Però, perché produca effetti, occorre che i creditori aderiscano. Come avviene ciò? In genere in modo contrattuale: il debitore e ciascun creditore firmano accordi bilaterali (ad esempio, una banca firma un accordo di rinegoziazione del mutuo alle nuove condizioni previste dal piano; un fornitore firma un accordo transattivo in cui accetta un pagamento parziale a saldo). Non c’è un “voto” collettivo né un’adesione formale unica, ma spesso si raccoglie il consenso scritto in parallelo da parte di tutti i principali creditori. Non serve l’unanimità: se la maggior parte aderisce e pochi no, il piano può essere comunque attuato con quelli consenzienti, mentre i non aderenti restano con i loro crediti invariati. Tuttavia, se i non aderenti sono significativi, l’impresa corre il rischio che questi agiscano per vie legali (pignoramenti, istanze di fallimento). Perciò nella prassi si cerca di ottenere almeno un’adesione di massa (diciamo l’80-90% dei debiti) per dichiarare il piano “riuscito”. Il CCII sottolinea l’importanza di coinvolgere almeno i creditori finanziari principali e parla di “classi maggioritarie”: concetto mutuato dal concordato, ad indicare che se il piano ha il placet dei principali gruppi di creditori, allora può dispiegare i suoi effetti protettivi.
  • Effetti legali del piano attestato: Pur essendo un accordo privatistico, la legge gli riconosce un effetto premiale rilevante: gli atti e i pagamenti eseguiti in attuazione del piano attestato non sono soggetti all’azione revocatoria fallimentare, a condizione che il piano sia stato concretamente idoneo a risanare l’impresa. Ciò significa che, se malauguratamente l’impresa fallisce successivamente, i creditori che avevano aderito e ricevuto pagamenti secondo il piano non dovranno restituirli al fallimento (come invece accadrebbe per pagamenti preferenziali ordinari nei 6 mesi prima del fallimento). È una tutela di “buon fine” per i creditori aderenti: essi sono incentivati ad accettare il piano sapendo che se poi le cose vanno male, non perderanno quanto incassato legalmente durante il risanamento. Attenzione: questa esenzione da revocatoria è subordinata al fatto che il piano fosse serio e attestato. Se emergesse che l’attestazione era falsa o che il piano non era idoneo (ad esempio, un “falso risanamento” per prendere tempo), la protezione potrebbe venir meno. Inoltre, la protezione copre solo atti esecutivi del piano, non eventuali distrazioni estranee. Un ulteriore beneficio è di natura fiscale: l’eventuale riduzione del debito ottenuta con il piano non genera plusvalenza tassabile per l’impresa, purché il piano sia pubblicato nel Registro delle Imprese. Questo è previsto dall’art. 88, co.4-ter del TUIR, introdotto nel 2020. Ad esempio, se i creditori rinunciano a €100 di credito, quei €100 per il debitore sono una sopravvenienza attiva che normalmente farebbe reddito imponibile; ma se ciò avviene nell’ambito di un piano attestato pubblicato, l’impresa non paga tasse su quei €100. È un incentivo fiscale significativo a usare lo strumento.
  • Limiti e differenze rispetto ad accordi omologati: Il piano attestato non offre, come detto, alcun meccanismo per forzare i creditori dissenzienti. Inoltre, non sospende di per sé le azioni esecutive: se si vuole protezione occorre parallelamente chiedere (se possibile) misure cautelari o, più efficacemente, presentare un concordato in bianco per congelare tutto e poi eventualmente rinunciarvi una volta attuato il piano. In pratica alcune aziende depositano un concordato preventivo con riserva per bloccare i creditori e nel frattempo finalizzare il piano attestato; poi, se il piano va in porto (adesioni ricevute), rinunciano al concordato. Va però fatto con cautela per evitare abusi (la Cassazione ha sanzionato concordati in bianco meramente dilatori, Cass. 13418/2023). Inoltre, a differenza di un concordato o accordo ex 182-bis, il piano attestato non consente di falcidiare i crediti erariali tramite transazione fiscale: il Fisco può partecipare solo nei limiti degli strumenti ordinari (rateizzazioni ex lege). Se servono tagli a IVA, interessi e sanzioni, è necessario un accordo di ristrutturazione con omologa e transazione fiscale ex art. 63 CCII, non potendo il Fisco aderire erga omnes privatamente.

Riassumendo, il piano attestato è la via maestra quando l’impresa ha buone chance di risanamento e riesce a coinvolgere spontaneamente i suoi principali creditori in un progetto di rientro. È ideale per evitare pubblicità e mantenere rapporti distesi con stakeholder, ma richiede consenso volontario e fiducia reciproca. Spesso viene impiegato come strumento preventivo: se funziona, l’azienda torna sana; se non funziona e sopravviene insolvenza, almeno i creditori avranno ottenuto ciò che potevano e i pagamenti fatti restano immuni da revocatoria.

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Iter pratico di un piano attestato

Di seguito delineiamo le fasi operative tipiche per predisporre e attuare un piano attestato di risanamento:

  1. Analisi preliminare e decisione: l’imprenditore, insieme ai propri consulenti finanziari e legali, analizza la situazione di crisi e valuta che esistono prospettive di risanamento (going concern recuperabile). Si opta per un piano attestato se si ritiene di poter ottenere la collaborazione della maggior parte dei creditori senza passare dal tribunale.
  2. Coinvolgimento dei creditori chiave informalmente: prima ancora di redigere il piano dettagliato, spesso l’azienda contatta confidenzialmente le banche principali e altri creditori importanti (es. fornitori critici) per sondare la disponibilità a ristrutturare i crediti. Ciò può avvenire con lettere riservate o incontri. Ad esempio, si anticipa: “Stiamo preparando un piano di rilancio, vi proporremo un allungamento del mutuo di 2 anni con interessi ridotti, siete disposti a valutare?”. Un feedback positivo incoraggia a procedere; se c’è rifiuto totale da parte di qualcuno, bisognerà capire come gestirlo (magari pagandolo integralmente fuori piano).
  3. Redazione del piano industriale finanziario: l’azienda elabora il piano di risanamento vero e proprio. Questo documento, spesso lungo decine di pagine, contiene: descrizione della storia e cause della crisi; bilanci storici riaggiustati; dettaglio dell’indebitamento (banche, bond, fornitori, fisco, leasing, ecc.); misure di efficientamento e rilancio (nuovi prodotti, nuovi soci, taglio costi); prospetti previsionali (P&L, balance sheet e cash flow a almeno 3 anni); e soprattutto la manovra finanziaria proposta, cioè come verranno trattati i debiti: quali allungati, quali stralciati, quali convertiti, eventuali iniezioni di equity, ecc. Spesso si includono uno schema di accordo da sottoporre ai creditori e un cronoprogramma.
  4. Nomina dell’attestatore: viene individuato un professionista indipendente di fiducia (di solito concordato con le banche, per assicurarsi che sia persona gradita e autorevole). L’attestatore firma un contratto di incarico con l’azienda e accede a tutti i dati necessari (data room contabile). Occorre fornirgli: situazione aggiornata crediti/debiti, stato ordini, business plan bozza, elenco cespiti, elenco garanzie prestate, e ogni informazione utile.
  5. Attività di verifica dell’attestatore: l’attestatore esegue due diligence sui numeri: controlla che i crediti siano esigibili, che i bilanci passati siano attendibili, verifica la lista debiti (chiede conferme ai creditori se necessario), valuta le ipotesi di piano (ad es. se prevede ricavi in aumento del 10%, verifica se c’è base contrattuale). Può chiedere aggiustamenti o maggior prudenza nel piano. Alla fine redige la Relazione di Attestazione, indirizzata all’azienda. In essa dichiara espressamente: “a mio giudizio, i dati aziendali sono completi e veritieri; il piano è fattibile e idoneo a garantire il risanamento dell’esposizione debitoria e il riequilibrio finanziario”. Indica anche che i creditori non aderenti non risulteranno pregiudicati (se il piano prevede di pagarli integralmente fuori accordo).
  6. Sottoscrizione degli accordi con i creditori: una volta ottenuta l’attestazione positiva, il debitore convoca i creditori e presenta il piano definitivo asseverato. A quel punto i creditori formalizzano la loro adesione sottoscrivendo gli accordi. A seconda dei casi può esserci:
    • Un unico accordo quadro firmato da tutti (non obbligatorio, ma in alcuni casi fattibile, es. accordo multilaterale).
    • Oppure contratti bilaterali separati (es. con ciascuna banca si firma un accordo di modifica del contratto di finanziamento; con ciascun fornitore una scrittura transattiva).
    • Talora un po’ di entrambe: accordo quadro con banche e documenti attuativi.
    • Il piano attestato stesso può essere firmato per presa d’atto dai creditori, ma il vincolo giuridico sta nei contratti.
  7. Pubblicazione (facoltativa ma consigliata): se si vuole godere dell’esenzione da revocatoria e del beneficio fiscale, si deposita il piano e l’attestazione presso il Registro delle Imprese (sezione atti societari). Questo lo rende conoscibile a terzi e dà data certa. In genere lo si fa subito dopo la firma degli accordi.
  8. Esecuzione del piano: da quel momento l’azienda opera secondo il piano. Ad esempio, effettua i pagamenti previsti (rate ai creditori finanziari, ecc.), adempie agli impegni (cessione di cespiti, aumento di capitale, ecc.). Spesso un piano attestato prevede un monitoraggio periodico da parte dell’attestatore o di un esperto terzo, che ogni 6-12 mesi verifica lo stato di avanzamento e relaziona ai creditori, soprattutto se il piano dura anni. Ciò avviene per consolidare la fiducia: non è imposto dalla legge, ma può essere pattuito nelle clausole (specie le banche lo richiedono).
  9. Chi uscirono e possibili criticità: se tutto va come pianificato, l’impresa esce dalla crisi e torna solvibile a regime. Se invece il piano non viene rispettato o le assunzioni si rivelano troppo ottimistiche, si potrebbero avere problemi: i creditori potrebbero considerare risolti gli accordi (spesso gli accordi contengono clausole risolutive al mancato pagamento di una rata) e agire legalmente. In tal caso, se l’insolvenza torna attuale, l’impresa dovrà forse ricorrere a un concordato preventivo o altre soluzioni più drastiche. Dunque la fase di esecuzione è delicata: serve rigore e spesso comunicazione trasparente con i creditori sullo stato di avanzamento.

Caso pratico – Piano Attestato

Caso Beta S.p.A.: Beta è un’azienda commerciale con 30 negozi, fortemente indebitata con banche (debiti finanziari €5 milioni) e proprietaria di diversi immobili ipotecati. A fronte di un crollo di fatturato, Beta accumula insoluti e rischia l’intervento delle banche. Beta tuttavia possiede un immobile non strategico del valore di circa €2 milioni che potrebbe vendere, e ha soci disposti a ricapitalizzare per €500.000 se le banche accettano di diluire il debito. Per evitare il default, Beta elabora un piano di risanamento.

  • Manovra proposta: Vendere l’immobile e destinare il ricavato (€2M) per rimborsare parzialmente le banche; farsi scontare dalle banche un ulteriore 20% di debito (circa €1M) in cambio del pagamento immediato; rifinanziare il residuo €2M su 8 anni; immettere €500k di equity fresco per investire nel marketing e rilanciare le vendite.
  • Attestazione: Beta incarica un nota società di revisione come attestatore. Questa analizza i conti e conferma che il piano è realistico: i €2M di nuova cassa (immobile) più €500k soci permetteranno di pagare subito €2M alle banche, le quali incasserebbero in totale €2,5M immediati, rinunciando a €1M, e si vedrebbero restituire €2M residui in 8 anni (con rate coperte dal flusso di cassa previsto). L’attestatore certifica che Beta, così deleveraggiata, tornerà in utile in 2 anni e non fallirà, e che le banche aderenti ricevono comunque più di quanto prenderebbero in uno scenario di liquidazione forzata (dove, stimando gli immobili, avrebbero forse €3M).
  • Adesioni: Le banche (4 istituti) concordano tutte: preferiscono incassare subito il grosso e accompagnare Beta nella ripresa piuttosto che farla fallire. Firmano ciascuna un accordo in questi termini, coordinato da un intercreditor agreement che garantisce parità di trattamento (pro-quota) e contestuale efficacia al closing (tutte le condizioni devono avverarsi insieme). I soci firmano l’impegno ad apportare €500k.
  • Formalizzazione: Beta deposita il piano attestato di risanamento e la relativa attestazione in Camera di Commercio. Questo pubblica atto indica a terzi l’esistenza del piano (anche se i dettagli finanziari possono essere sintetici).
  • Esecuzione: Beta vende l’immobile, incassa €2M, i soci versano €500k. Con €2,5M Beta paga le banche immediatamente come da accordi, ottenendo quietanze liberatorie per la parte di debito stralciata (€1M). Il restante debito €2M è rifinanziato con nuovi patti (nuovi piani di ammortamento, tasso ridotto dal 5% al 3%). Beta investe l’equity raccolta in un restyling dei negozi e campagne promozionali.
  • Rilancio: Grazie a minori oneri finanziari (debito dimezzato e tassi ridotti) e al rinnovato appeal dei negozi, Beta torna competitiva: le vendite risalgono e i flussi di cassa bastano a pagare le rate concordate. Dopo 3 anni, Beta è uscita dalla crisi, le banche l’hanno riclassificata come cliente solvibile e i rapporti commerciali con fornitori e clienti non sono mai stati interrotti (molti nemmeno hanno saputo del piano, data la riservatezza con cui è stato gestito).

Nota: in questo caso Beta avrebbe potuto fare anche un accordo ex 182-bis (avendo sicuramente >60% di adesioni), ma ha preferito il piano attestato per ridurre tempi e pubblicità. Le banche hanno collaborato sulla base della fiducia e dell’attestazione di un esperto terzo. Tutti i pagamenti fatti (es. €2,5M alle banche) sono esenti da revocatoria perché eseguiti in attuazione di un piano attestato pubblicato. Le banche dunque non rischiano dover restituire nulla se Beta fallisse in seguito. Beta inoltre non pagherà IRES sui €1M di debito condonato dalle banche, grazie all’esenzione ex art.88 TUIR.

Fac-simile di struttura di Piano Attestato

Di seguito riportiamo, a scopo orientativo, l’indice di un possibile Piano Attestato di Risanamento, utile come traccia per chi dovesse redigerne uno:

  • 1. Premessa e Dichiarazione d’Intenti: presentazione dell’azienda, dei firmatari, obiettivi del piano (evitare insolvenza, garantire continuità).
  • 2. Descrizione dell’Impresa e Cause della Crisi: settore di attività, organizzazione, analisi delle cause specifiche che hanno portato alla crisi (es. calo mercato, decisioni errate, COVID-19, ecc.).
  • 3. Situazione Economico-Patrimoniale: dati finanziari aggiornati, elenco degli attivi (immobili, impianti, magazzino, crediti da clienti, partecipazioni) ed elenco dei passivi (debiti bancari con dettagli di tasso e scadenza, debiti verso fornitori, debiti tributari e previdenziali, altri debiti). Evidenziare eventuali garanzie (ipoteche, pegni) e distinguere creditori privilegiati e chirografari.
  • 4. Stato di Crisi: evidenze di insolvenza prospettica (es. indicatori di liquidità, covenant bancari violati, insoluti), eventuali procedure legali avviate (pignoramenti in corso, decreti ingiuntivi, ecc.).
  • 5. Piano Industriale di Risanamento: misure sul core business (chiusura punti vendita non redditizi, nuovi investimenti su prodotti a margine maggiore, riduzione costi del personale del X% tramite cassa integrazione o accordi sindacali, ecc.), strategia di rilancio commerciale (marketing, nuovi mercati). Tabelle di ricavi previsti, costi e margini per i prossimi 3-5 anni.
  • 6. Manovra Finanziaria: sezione cruciale che dettaglia la proposta ai creditori:
    • 6.1 Banche: elenco di ogni banca con il suo credito e proposta (es. Banca A: credito 1.000. – Proposta: paga 600 immediatamente con cessione immobile + 400 ristrutturati in 5 anni al 2% tasso). Indicare se è richiesta rinuncia a parte del credito.
    • 6.2 Fornitori: criterio di pagamento (es. “fornitori strategici: pagamento 50% entro 6 mesi, saldo 50% in 12 mesi; fornitori residuali: pagamento integrale a 12 mesi, previa rinuncia interessi moratori”).
    • 6.3 Erario e contributi: descrivere eventuali rateazioni accordate (NB: se si intende chiedere transazione fiscale con stralcio, ciò esula dal piano attestato e lo si menzionerebbe solo come ipotesi da trattare in altra sede; tipicamente qui si propone il pagamento integrale di IVA, ritenute, e la dilazione di altri tributi nei limiti consentiti da norme tributarie).
    • 6.4 Nuova Finanza: indicare eventuali nuovi apporti (soci, finanza ponte). Se si chiede alle banche nuova finanza a breve, specificarne il privilegio (es. super-senior loan prededucibile ex art. 22 CCII su autorizzazione tribunale in composizione negoziata).
    • 6.5 Dismissioni di asset: quali beni verranno venduti e proventi attesi, destinazione di tali fondi (ad es. “vendita capannone non utilizzato per 800k, interamente destinati al pagamento delle banche classe B”).
    • 6.6 Calendario Pagamenti: un prospetto che per ciascun creditore o classe di creditori indica quando e quanto sarà pagato (es. banche: subito tot, poi rate semestrali; fornitori: tot al mese X; ecc.).
  • 7. Proiezioni Finanziarie: presentare bilanci previsionali post-manovra, almeno per il periodo di esecuzione del piano. Includere un conto economico atteso, uno stato patrimoniale atteso e soprattutto un budget di cassa mensile che mostri come l’azienda, con la riduzione/dilazione dei debiti, riuscirà a far fronte alle uscite e rimanere liquida. Evidenziare indici come DSCR (Debt Service Coverage Ratio) se >1, a supporto della sostenibilità.
  • 8. Attestazione del Professionista Indipendente (in allegato): qui si fa riferimento all’attestazione allegata, riportando eventualmente un estratto in cui l’attestatore dichiara la veridicità dei dati e la fattibilità del piano. L’attestazione completa sarà allegato A del documento.
  • 9. Clausole e Condizioni dell’Accordo: eventuali condizioni sospensive (es. “efficacia del piano condizionata all’adesione di banche rappresentanti almeno l’80% del debito bancario”), clausole risolutive (es. se l’azienda non paga puntualmente due rate, l’accordo decade), impegni reciproci (es. l’azienda si impegna a fornire report trimestrali ai creditori, i creditori rinunciano a intraprendere azioni esecutive salvo in caso di inadempimento).
  • 10. Aspetti Legali: richiamo all’art. 67 LF (nel CCII, art. 56) per la non assoggettabilità a revocatoria degli atti esecutivi; menzione dell’eventuale pubblicazione camerale; accordo sulla giurisdizione competente in caso di controversie (Foro).
  • Allegati: Relazione di Attestazione; Elenco completo creditori con evidenza di chi aderisce; Eventuali perizie di stima (se ci sono asset da vendere); Situazioni contabili dettagliate.

(Il livello di dettaglio effettivo varia caso per caso. Un piano per una grande impresa potrà essere molto articolato; per una PMI basterà un documento più snello ma con i punti chiave comunque coperti.)

Accordi di Ristrutturazione dei Debiti (artt. 57-61 CCII)

Gli Accordi di Ristrutturazione dei Debiti (ARD) sono strumenti di composizione della crisi che si collocano a metà strada tra i piani puramente privati e il concordato preventivo. Introdotti originariamente nel 2005 (art. 182-bis L.F.) e ora disciplinati dagli artt. 57-60 CCII, gli accordi di ristrutturazione consistono in uno o più accordi negoziati privatamente tra l’impresa debitrice e una parte dei suoi creditori, che però acquistano efficacia generale grazie all’omologazione del Tribunale. In sostanza: l’imprenditore concorda un piano con una maggioranza qualificata di creditori (almeno il 60% del totale dei crediti), dopodiché chiede al tribunale di emettere un decreto di omologazione che estende e rende vincolante l’accordo (sia per i creditori aderenti che, entro certi limiti, anche per alcuni non aderenti).

Ecco i tratti essenziali degli accordi di ristrutturazione:

Assistenza per i sovraindebitati

Saldo e stralcio

 

  • Presupposti e maggioranza richiesta: l’impresa deve trovarsi in stato di crisi o insolvenza (come per il piano attestato) e deve aver raggiunto un accordo con creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali. La percentuale si calcola sul valore dei crediti (non per teste) e sul totale dei debiti finanziari e commerciali dell’impresa. Non è richiesta uniformità di trattamento né classi, però spesso i creditori vengono distinti per tipologia durante le trattative (banche, bondholder, fornitori). Il 60% è la regola generale per un accordo ordinario. Il CCII ha introdotto anche il concetto di accordo “agevolato” con soglia al 30%: se l’imprenditore non richiede misure protettive o dilazioni forzose e l’accordo non prevede l’intervento del giudice in fase esecutiva (nessuna moratoria imposta ai non aderenti), allora basta il 30% di adesioni per poter presentare l’accordo in omologazione. Questo premia gli accordi che restano essenzialmente volontari e non comprimono i dissenzienti: ad esempio, se un debitore trova il 30% di creditori disposti a tagliargli il debito mentre gli altri saranno pagati integralmente alla scadenza originale (nessuna modifica coattiva per loro), l’accordo può essere omologato pur con minoranza di adesioni. In pratica, l’accordo agevolato serve se pochi grandi creditori si accordano e i piccoli verranno soddisfatti regolarmente (o fuori accordo).
  • Contenuto del piano e attestazione: l’accordo deve essere accompagnato da un piano di ristrutturazione simile a quello del piano attestato, che indichi modalità e tempi di pagamento dei creditori e le eventuali garanzie, nuovi finanziamenti ecc. Anche qui è obbligatoria l’attestazione di un professionista indipendente che certifichi veridicità dei dati e fattibilità del piano, con una dichiarazione specifica importantissima: l’attestatore deve dichiarare che i creditori non aderenti all’accordo saranno pagati integralmente entro 120 giorni dall’omologazione (se debiti scaduti) o entro 120 giorni dalla scadenza originaria (se non ancora scaduti). Questa condizione (ripresa dall’ex art.182-bis L.F.) garantisce che i “dissenzienti” non vengano danneggiati: in teoria, loro dovrebbero ricevere comunque il 100% del dovuto entro tempi brevi. L’attestazione sulla “capacità dell’accordo di assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei” è un requisito legale perché il tribunale possa omologare. Di fatto, se l’accordo prevede che i non aderenti siano pagati cash all’omologa o poco dopo, essi non subiscono alcuno haircut. Ecco perché il più delle volte gli accordi di ristrutturazione si fanno con banche e grandi creditori, lasciando fuori i piccoli che verranno pagati per intero comunque (magari grazie alla nuova finanza o ai sacrifici fatti dai partecipanti all’accordo).
  • Procedura di omologazione in tribunale: una volta sottoscritto l’accordo con la maggioranza richiesta, l’imprenditore lo deposita presso il Tribunale competente, allegando: piano dettagliato, attestazione, elenchi completi dei creditori (distinguendo aderenti e non), una relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale e sull’accordo stesso. Da quel momento si apre un procedimento giudiziale camerale. Il tribunale, nei 30 giorni successivi, verifica la regolarità formale e sostanziale. I creditori non aderenti hanno il diritto di proporre opposizione all’omologazione entro 30 giorni dalla pubblicazione del deposito dell’accordo (la pubblicità avviene tramite iscrizione nel Registro Imprese). Se nessuno si oppone, il tribunale può emettere subito decreto di omologazione. Se ci sono opposizioni (es. un creditore estraneo contesta di non essere pagato integralmente, o ritiene che l’accordo lo pregiudichi), il tribunale fissa udienza e decide. L’omologazione viene concessa se:
    • risulta rispettata la soglia di consenso (60% o 30% in caso di accordo agevolato),
    • l’accordo appare idoneo e l’attestazione è positiva circa il pagamento integrale degli estranei,
    • l’impresa non è irreversibilmente decotta (il tribunale valuta che l’accordo sia più utile del fallimento),
    • le eventuali opposizioni dei creditori estranei vengono giudicate infondate (ad esempio perché effettivamente saranno pagati integralmente come promesso).

    Se tutto è in ordine, il tribunale omologa con decreto (reclamabile in Corte d’Appello). Con l’omologazione, l’accordo acquista efficacia piena e vincola tutti i creditori aderenti; inoltre consente alcuni effetti verso i non aderenti (limitati, come vedremo).

  • Effetti dell’accordo omologato: l’accordo di ristrutturazione omologato produce vari effetti:
    • Vincolatività per i partecipanti: è come un contratto definitivo: i creditori aderenti sono obbligati a rispettarne i termini (non possono pretendere oltre quanto previsto, né agire esecutivamente in difformità). Se qualche aderente ci ripensasse, l’impresa può opporre l’accordo omologato come titolo.
    • Moratoria per i non aderenti limitata: a differenza del concordato, i creditori estranei non vedono modificato il loro credito (devono essere pagati integralmente e puntualmente per legge). Tuttavia, l’art. 60 CCII consente che l’omologazione “impedisca ai creditori estranei di iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio del debitore sino all’adempimento dell’accordo”. In pratica, se l’accordo prevede che i non aderenti saranno pagati entro 120 giorni, costoro devono attendere tale termine e non possono nel frattempo attaccare i beni. È una sorta di standstill legale per dare respiro al debitore e tempo di eseguire i pagamenti promessi. Non possono però essere imposti a loro tagli o dilazioni oltre quanto attestato (se l’accordo li prevede, di fatto diventano creditori aderenti se accettano, altrimenti l’omologa non sarebbe concessa).
    • Esonero da revocatoria e prededuzione: simile al piano attestato, anche qui gli atti esecutivi dell’accordo godono di esenzione da revocatoria (perché autorizzati e considerati parte di un piano di risanamento). Inoltre, i nuovi finanziamenti eventualmente erogati in funzione dell’accordo omologato (es. linea di credito per pagare i creditori estranei) sono considerati prededucibili in caso di successiva procedura (art. 99 CCII), incentivando le banche a finanziare la buona riuscita dell’accordo.
    • Cessazione delle misure protettive: se l’imprenditore, contestualmente al deposito dell’accordo, aveva chiesto e ottenuto misure protettive (similari a quelle del concordato in bianco), con l’omologazione tali misure decadono naturalmente (non servono più).
    • Riduzione dei debiti: ovviamente, l’effetto principale è la ristrutturazione dei debiti come pattuito: le rinunce di credito da parte degli aderenti diventano definitive, i nuovi piani di pagamento diventano effettivi e legalmente sanzionati. Se l’accordo prevedeva stralci, il debitore si libera di quelle porzioni di debito all’esito dell’omologa e relativo adempimento.
  • Accordi ad efficacia estesa (art. 61 CCII): Il CCII ha rafforzato lo strumento introducendo la possibilità di estendere alcuni effetti dell’accordo anche ai creditori non aderenti appartenenti a determinate categorie omogenee, se ricorrono condizioni stringenti. In particolare, se l’accordo coinvolge creditori finanziari (banche, obbligazionisti) che rappresentano almeno il 75% dei crediti di quella categoria, l’imprenditore può chiedere al tribunale di estendere le medesime condizioni dell’accordo anche al restante 25% di finanziatori dissenzienti. Questa è una forma di cram-down settoriale: pensiamo a un pool di banche, 4 su 5 aderisce (80%) e 1 no; il tribunale può decidere che l’accordo vale anche per la banca che non ha aderito, obbligandola ad accettare la ristrutturazione (purché riceva almeno quanto otterrebbe in caso di fallimento del debitore). Condizioni perché ciò avvenga:
    • I creditori da “cramdownare” devono essere della stessa categoria omogenea degli aderenti (stessa causa di prelazione, tipicamente tutti chirografari finanziari).
    • La percentuale di adesione in quella categoria deve essere minima del 75%.
    • L’accordo deve essere conveniente per i dissenzienti: cioè l’attestatore e il tribunale valutano che quei dissenzienti riceveranno almeno quanto avrebbero ricevuto in un fallimento/liquidazione.
    • Ai non aderenti non si possono imporre obblighi aggiuntivi rispetto a ciò che subiscono gli aderenti: es. non si può chiedere loro di erogare nuova finanza o mantenere fidi aperti oltre la scadenza. Possono solo essere passivamente coinvolti.
    • Il tribunale valuta equità e assenza di discriminazioni sostanziali.

    L’efficacia estesa è dunque un meccanismo per evitare che pochi creditori opportunisti blocchino un accordo condiviso dalla stragrande maggioranza (il classico holdout). Nota: l’efficacia estesa è possibile solo con omologazione (è un atto d’autorità). Senza omologa, l’accordo rimane puramente contrattuale e non tocca i terzi dissenzienti. Anche la convenzione di moratoria ha un meccanismo simile che vedremo, ma in generale il CCII prevede questa estensione proprio in art. 61, come sviluppo dell’art. 182-septies L.F. introdotto nel 2016.

  • Transazione fiscale e contributiva integrata: l’accordo di ristrutturazione può includere anche la ristrutturazione dei debiti tributari e previdenziali, attraverso la cosiddetta transazione fiscale e contributiva (ex art. 182-ter L.F., ora artt. 63-64 CCII). Approfondiremo più avanti i dettagli, ma anticipiamo che l’Agenzia delle Entrate e l’INPS possono aderire all’accordo prevedendo stralci di sanzioni e interessi e, in alcuni casi, anche del capitale (ad esempio IVA e ritenute, oggi possibili da ridurre purché si offra almeno il valore di liquidazione). Se però l’Erario non aderisce, è possibile oggi ottenere comunque l’omologazione con cram-down fiscale (art. 63 CCII), ossia far approvare l’accordo anche senza il consenso del Fisco, purché la proposta soddisfi il Fisco almeno quanto un fallimento e il suo voto sarebbe determinante per raggiungere le percentuali (tratteremo anche questo sotto).

In sintesi, l’accordo di ristrutturazione è lo strumento principe quando l’impresa vuole un compromesso tra flessibilità negoziale e certezza legale. Rispetto al piano attestato, richiede il coinvolgimento del tribunale (anche se limitatamente all’omologazione finale) ma consente di avere un titolo esecutivo e vincolante e di poter forzare la mano ai pochi creditori dissenzienti (tramite efficacia estesa e protezione dai loro attacchi temporanei). Rispetto al concordato preventivo, è più snello (non c’è votazione di tutti i creditori, solo accordi coi principali), mantiene un livello di riservatezza migliore (fino all’omologa è tutto abbastanza contenuto) e soprattutto consente di pagare integralmente i creditori minori evitando di coinvolgerli in una procedura complessa. È però utilizzabile solo se l’impresa riesce a ottenere il consenso del 60% del ceto creditorio: se c’è eccessiva frammentazione o disaccordo diffuso, bisognerà ricorrere al concordato che prevede il voto maggioritario ma coinvolge tutti.

Quando usare l’accordo 182-bis? Tipicamente nei casi in cui la crisi è significativa ma circoscritta ai debiti finanziari: ad esempio ristrutturazione di esposizioni bancarie (molto comune: debt restructuring agreement con pool banche), oppure in presenza di obbligazionisti (bond restructuring) dove c’è magari un trustee o un comitato che rappresenta gran parte del debito. Si può usare anche includendo fornitori grandi se neccessario. Meno usato se i creditori sono migliaia di piccoli (lì conviene concordato). Spesso l’accordo è preferito perché evita il troppo intervento giudiziale del concordato: non c’è commissario giudiziale, non c’è voto formale, i rapporti contrattuali non vengono travolti (l’impresa continua ad adempiere i debiti estranei secondo accordi).

Vediamo un esempio sintetico per concretizzare:

Caso Gamma S.r.l. – Accordo di Ristrutturazione 182-bis

Situazione: Gamma S.r.l. ha debiti totali per 10 milioni. Di questi, 7 milioni verso banche (tre istituti), 1 milione verso il fisco (IVA e IRAP arretrata) e 2 milioni verso fornitori vari. Gamma non riesce a sostenere le rate bancarie e rischia insolvenza. Prevede però di poter ripagare circa 6 milioni in totale nei prossimi anni. Decide di tentare un accordo ex art.57 CCII.

  • Proposta ai creditori: Gamma offre alle banche di pagare 5 milioni su 7 (stralcio ~30%) tramite un nuovo finanziamento ponte e cessione di un immobile, con il residuo 2 milioni convertiti in una partecipazione al capitale sociale (le banche diventano socie al 20%). Ai fornitori (2M) offre pagamento integrale ma dilazionato in 24 mesi (vuole tenerli buoni). All’Erario propone una transazione: pagare l’intero debito fiscale di 1M senza sanzioni e interessi, rateizzato in 5 anni (quindi riduzione del carico, ad es. ~1,2M diventano 1M).
  • Adesioni: Le banche, che rappresentano il 70% del debito totale, aderiscono tutte perché ritengono di ottenere un recupero migliore (5M subito+quota capitale) rispetto al fallimento. I fornitori non sono formalmente coinvolti (verranno pagati a parte). L’Agenzia delle Entrate è incerta, ma alla fine non aderisce formalmente (vuole mantenere il 100% con interessi).
  • Soglia: Gamma ha l’adesione del 70% (banche), supera il 60% richiesto. Il fatto che il Fisco non aderisca è un problema, perché quell’1M rappresenta 10% dei crediti e poteva far fallire l’accordo. Tuttavia, grazie alle nuove norme, Gamma può chiedere al tribunale l’omologazione con cram-down fiscale: dimostra che in caso di fallimento l’Erario recupererebbe solo il 20% (200k) mentre con l’accordo ha 1M garantito in 5 anni, quindi è più conveniente.
  • Procedura: Gamma deposita l’accordo firmato dalle banche e la proposta di transazione fiscale non accettata. Allega l’attestazione che certifica che fornitori e Fisco (estranei) saranno pagati integralmente nei termini (infatti i fornitori in 24 mesi integrale, il Fisco 100% in 60 mesi – un po’ oltre i 120 gg, ma il tribunale può comunque valutare equità). Il tribunale concede subito misure protettive in attesa (sospende le esecuzioni).
  • Omologazione: Nessun fornitore fa opposizione (sanno che verranno pagati integralmente, anche se aspettano). L’Agenzia delle Entrate presenta osservazioni, ma Gamma chiede l’omologa forzata ex art.63 CCII. Il tribunale verifica: i crediti fiscali sono determinanti per la maggioranza? Sì, senza di loro c’è il 70% ma con loro la percentuale salirebbe di più (comunque la soglia del 60 è già raggiunta, qui c’è da ignorare il loro dissenso). Vede che l’attestazione dice che prendono di più dell’alternativa. Decide di omologare lo stesso l’accordo con transazione fiscale non approvata – primo caso nel distretto. (Questo riflette il nuovo potere del giudice di superare l’opposizione fiscale in concordato o accordo, confermato da prassi come Trib. Cagliari 8/11/2024).
  • Esecuzione: Dopo il decreto, Gamma esegue le operazioni: cede l’immobile, ottiene il nuovo prestito per pagare le banche i 5M concordati; emette quote societarie sottoscritte dalle banche per 2M (così si estingue quel debito convertendolo in capitale); inizia a pagare i fornitori secondo scadenze pattuite; inizia a versare trimestralmente le rate al Fisco (che suo malgrado deve accettarle, essendo omologato il piano). Le azioni esecutive restano bloccate perché Gamma sta rispettando l’accordo.
  • Risultato: Gamma riduce drasticamente i debiti (da 10M a 6M effettivamente da rimborsare), migliora i flussi di cassa, e grazie all’ingresso delle banche nel capitale rafforza il patrimonio. Dopo 2 anni torna in utile e rifinanzia il debito residuo a migliori condizioni. I fornitori sono stati tutti soddisfatti (nessuna perdita per loro, solo attesa). Le banche hanno evitato perdite peggiori e ora partecipano anche agli utili futuri come soci. L’Erario ottiene tutto il dovuto (solo più diluito), il che è comunque più di quanto avrebbe visto in caso di insolvenza immediata. L’accordo dunque ha risanato Gamma.

Nota: Senza l’accordo di ristrutturazione omologato, Gamma sarebbe probabilmente finita in concordato preventivo o fallimento. Con l’accordo, c’è stata la massima flessibilità negoziale (ad esempio la conversione di debito in equity, cosa che nel concordato non è automatica perché i creditori chirografari non possono imporre una tale soluzione) unita alla certezza giuridica di un provvedimento del giudice che blocca eventuali “scorribande” di creditori esterni e tiene insieme l’intesa.

Schema di Accordo di Ristrutturazione ex art. 57 CCII (esempio)

(Segue uno schema semplificato di clausole che potrebbero trovarsi in un accordo di ristrutturazione, per dare un’idea di come è strutturato il documento contrattuale che i creditori firmano. È solo un esempio indicativo.)

Accordo di Ristrutturazione dei Debiti ai sensi dell’art. 57 D.Lgs. 14/2019 (Codice della Crisi)

Carta di credito con fido

Procedura celere

 

Tra: Gamma S.r.l., con sede in …, C.F./P.IVA …, in persona del legale rappresentante pro-tempore Sig. … (“Debitore”);

E: (1) Banca X S.p.A., con sede in …, C.F. …, iscritta all’Albo banche … (“Banca X”);
(2) Banca Y S.p.A., con sede in … (“Banca Y”);
(3) Finanziaria Z S.r.l., con sede in … (“Finanziaria Z”);
(I suddetti, collettivamente “Creditori Aderenti”.)

(Premessa)
Le Parti convengono e premettono che:
a) Gamma S.r.l. versa in stato di crisi finanziaria, con un indebitamento complessivo di €10.000.000 e temporanea carenza di liquidità;
b) Il Debitore ha predisposto un piano di risanamento dell’esposizione, datato 01/03/2025, recante le misure di cui al presente accordo, piano attestato dal professionista indipendente Dr. Tizio Caio in data 02/03/2025 ai sensi dell’art. 56 CCII;
c) I Creditori Aderenti, che rappresentano complessivamente il 65% dell’ammontare dei crediti vantati verso il Debitore, intendono aderire alla proposta di ristrutturazione come di seguito delineata;
d) Il Debitore intende quindi stipulare il presente accordo e successivamente domandarne l’omologazione al Tribunale ai sensi dell’art. 57 CCII, estendendone gli effetti ai creditori eventualmente non aderenti nei limiti di legge;

(Oggetto dell’Accordo)

  1. Ristrutturazione dei debiti finanziari: I crediti di Banca X (€3.000.000) e Banca Y (€2.000.000) sono ridotti e ristrutturati come segue:
    • €2.500.000 complessivi saranno pagati in contanti entro 30 giorni dall’omologazione, in misura proporzionale (Banca X €1.500.000; Banca Y €1.000.000), a soddisfo parziale e transattivo dei rispettivi crediti (stralcio di €1.000.000 rispetto al dovuto originario);
    • Il residuo credito di Banca X (€1.500.000) sarà convertito in una partecipazione nel capitale sociale del Debitore pari al 15% delle quote, mediante apposito aumento di capitale riservato a Banca X sottoscritto tramite compensazione di crediti ex art. 1252 c.c., da eseguirsi entro 60 giorni dall’omologazione;
    • Il residuo credito di Banca Y (€500.000) sarà rimborsato in 36 rate mensili posticipate di capitale oltre interessi al tasso fisso del 2% annuo, a decorrere dal 1° giorno del terzo mese successivo all’omologazione. Il pagamento anticipato è sempre ammesso senza penale;
    • Finanziaria Z accetta uno stralcio integrale del suo credito (€500.000) rinunciando ad ogni pretesa (remissione del debito), condizionato all’integrale adempimento del presente accordo verso gli altri creditori e all’omologazione. (Qualora l’accordo non fosse omologato, il credito di Z resterà dovuto per intero).
  2. Debiti verso fornitori: I crediti commerciali vantati dai fornitori (pari a €2.000.000 circa, v. elenco allegato) saranno pagati integralmente dal Debitore al di fuori del presente accordo, secondo le scadenze contrattuali originarie ovvero secondo gli accordi individuali già presi con ciascuno di essi. Le Parti danno atto che i fornitori non subiscono alcuna modifica dei loro diritti, né ad essi è richiesta adesione al presente accordo.
  3. Debiti fiscali e previdenziali: Il Debitore si impegna a definire il debito tributario di €1.000.000 mediante adesione alla procedura di transazione fiscale ex art. 63 CCII come da proposta allegata (All. X), che prevede il pagamento integrale del capitale in 5 anni e l’abbattimento di sanzioni e interessi. L’efficacia del presente accordo è condizionata all’omologazione anche della suddetta transazione fiscale, eventualmente anche in mancanza di adesione formale dell’Erario ai sensi dell’art. 63 co.3 CCII.
  4. Nuova finanza prededucibile: Banca X si impegna a erogare, entro 10 giorni dall’omologazione, un nuovo finanziamento di €1.000.000 a favore del Debitore (di cui €800.000 destinati ai pagamenti di cui al punto 1 e €200.000 a spese di esercizio), con rimborso in prededuzione ex art. 99 CCII in caso di successiva procedura concorsuale. Tale finanziamento avrà durata 5 anni, tasso Euribor+1%, e sarà assistito da privilegio ai sensi dell’art. 6 DL 118/2021 convertito (pegno su magazzino). L’erogazione è condizionata all’omologazione definitiva.
  5. Adempimenti societari: Entro 30 giorni dall’omologazione, il Debitore convocherà un’assemblea straordinaria per deliberare l’aumento di capitale riservato a Banca X come da punto 1. In caso di mancata esecuzione dell’aumento per fatto non imputabile a Banca X, il Debitore sarà tenuto a corrispondere immediatamente a Banca X un importo aggiuntivo di €1.000.000 a titolo risarcitorio (clausola penale).
  6. Attestazione e conferma di miglior soddisfacimento: Le Parti prendono atto dell’attestazione del Prof. Tizio Caio in data 02/03/2025, allegata sub Y, che conferma la veridicità dei dati aziendali e l’idoneità del piano di cui al presente accordo ad assicurare il regolare adempimento dei creditori estranei nei termini previsti e un soddisfacimento per tutti i creditori non inferiore a quello ottenibile in una liquidazione giudiziale.
  7. Deposito e Omologazione: Il Debitore depositerà il presente accordo presso il Tribunale di … entro 7 giorni dalla sottoscrizione, richiedendone l’omologazione ex art. 57 CCII e domandando, se necessario, l’estensione degli effetti ai sensi dell’art. 61 CCII e l’omologazione della transazione fiscale ex art. 63 CCII anche in mancanza di adesione formale dell’Erario (c.d. cram-down). I Creditori Aderenti si impegnano a sostenere tale ricorso e a non revocare il consenso prima dell’esito.
  8. Clausola risolutiva espressa: Il presente accordo si intenderà risolto di diritto (ex art. 1456 c.c.) in caso di mancato pagamento da parte del Debitore di una qualsiasi rata dovuta ai sensi dello stesso (punto 1.iii) entro 30 giorni dalla relativa scadenza, ovvero in caso di apertura di una procedura di liquidazione giudiziale a carico del Debitore prima del completamento dei pagamenti pattuiti. In tal caso, restano fermi i pagamenti e le cessioni già eseguiti, salvo diverse disposizioni di legge concorsuale.
  9. Efficacia nei confronti dei terzi: Le Parti riconoscono che i creditori estranei (in particolare i fornitori e gli enti fiscali) non sono vincolati dal presente accordo se non per gli effetti di legge conseguenti all’omologazione (art. 60 co.3 CCII: divieto temporaneo di azioni esecutive sino all’adempimento integrale, ecc.). In ogni caso, il Debitore si obbliga a soddisfare integralmente i creditori estranei come da punto 2 e 3 supra, tenendo indenni i Creditori Aderenti da eventuali pregiudizi derivanti da iniziative di terzi estranei.
  10. Disposizioni finali: (varie di stile, es. spese a carico del Debitore, foro esclusivo competente per controversie – Tribunale … – legge applicabile italiana, ecc.).

Firmato digitalmente: Debitore (Gamma S.r.l.) — Creditori Aderenti: Banca X, Banca Y, Finanziaria Z.
Data: …/…/2025

(Segue allegato: Piano di Ristrutturazione 01/03/2025; Relazione Attestatore 02/03/2025; Elenco creditori completa; Proposta Transazione Fiscale).

Piani di Ristrutturazione Soggetti a Omologazione (PRO – art. 64-bis CCII)

Una delle novità più rilevanti introdotte dal correttivo 2022 (D.Lgs. 83/2022) è il Piano di Ristrutturazione Soggetto a Omologazione (PRO). Questo istituto, disciplinato dagli artt. 64-bis e 64-ter CCII, rappresenta un tentativo di creare un ponte tra la negoziazione privata e la procedura concorsuale di concordato. In sostanza, il PRO consente al debitore di proporre egli stesso un piano ai creditori, suddivisi in classi, e sottoporlo direttamente all’omologazione del tribunale, senza passare per una votazione formale dei creditori come avverrebbe in un concordato preventivo tradizionale.

Cessione crediti fiscali

procedure celeri

 

Caratteristiche salienti del PRO:

  • Natura e finalità: Il PRO è definito come uno strumento di regolazione della crisi finalizzato a favorire la continuazione dell’attività d’impresa (in via diretta, cioè col debitore stesso, o indiretta, cioè tramite terzi acquirenti). È stato pensato per accelerare le ristrutturazioni complesse eliminando alcuni formalismi del concordato. In pratica, il PRO è un piano unilaterale del debitore, ma soggetto a conferma giudiziale, con effetti vincolanti erga omnes una volta omologato. È uno strumento “nuovo” nel panorama italiano, introdotto per recepire la logica dei “piani di ristrutturazione preventiva” della direttiva UE.
  • Classi di creditori e trattamento derogatorio: Il debitore deve suddividere i creditori in classi omogenee per posizione giuridica e interesse economico. Ciò richiama il meccanismo del concordato: si possono creare classi ad esempio di creditori finanziari chirografari, creditori privilegiati ipotecari, ecc., separandoli se hanno cause di prelazione diverse o interessi divergenti. Il piano PRO può prevedere trattamenti differenziati tra classi e anche tra creditori all’interno della stessa classe (purché omogenei), in deroga alle regole della par condicio e della responsabilità patrimoniale codicistica. Ad esempio, si possono falcidiare i creditori chirografari, proporre conversione di debito in capitale per alcuni, soddisfare solo in parte i privilegiati se c’è incapienza, ecc., esattamente come in un concordato, senza il consenso individuale di tutti questi creditori (basterà rispettare le maggioranze eque per classi).
  • Maggioranze e consenso richiesto: La particolarità del PRO è che non prevede un voto in adunanza come il concordato, bensì richiede che il piano ottenga l’approvazione a maggioranza in ciascuna classe di creditori. In pratica, si raccolgono adesioni o consensi dalle varie classi: se tutte le classi votano a favore a maggioranza (maggioranza semplice in valore, salvo diverse disposizioni? Il CCII sembra intendere maggioranza >50% del valore dei crediti per classe), allora il tribunale può omologare. Se una o più classi sono dissenzienti, la legge prevede la possibilità di un cram-down interclassi (omologazione nonostante il dissenso di una o più classi) purché siano rispettate alcune condizioni di tutela:
    • Almeno una classe di creditori non inferiore (in rango) e interessata ha approvato il piano.
    • Le classi dissenzienti non ricevono meno di quanto otterrebbero nella liquidazione giudiziale (best interest test).
    • Eventuali classi junior (di rango inferiore) non ricevono più delle classi senior dissenting (principio di priorità relativa).
    • Il piano non altera l’ordine delle cause di prelazione oltre quanto ammesso.

    Queste regole riprendono la logica del cross-class cram-down della direttiva UE. In sostanza, il tribunale può ugualmente omologare il piano anche se non c’è unanimità di classi, imponendolo ai dissenzienti, a condizione di equità. Ad esempio, se i chirografari approvano e i privilegiati ipotecari no, ma al privilegiato viene offerto comunque almeno il valore di realizzo del bene, il tribunale potrebbe forzare l’omologa (questo è tema delicato: va visto in pratica, e la giurisprudenza iniziale è altalenante, vedi Trib. Lucca 17/2/2023 che negava l’estensione forzata in continuità).

  • Procedura e termini: Il PRO si svolge in tribunale in modo analogo a un concordato ma più semplice:
    • Il debitore deposita la domanda di omologazione del piano allegando il piano dettagliato, l’attestazione di un professionista sulla fattibilità e sulla soddisfazione non inferiore all’alternativa (obbligatoria anche qui), l’elenco classi e trattamenti proposti, l’indicazione di quali creditori hanno espresso consenso (immaginiamo raccolto per iscritto individualmente o per deliberazione equipollente).
    • Può contestualmente chiedere misure protettive come nel concordato per bloccare azioni.
    • Si fissa un termine entro cui i creditori di ciascuna classe possono formalizzare la loro adesione o dissenso al piano (di solito scrivendo al commissario/ausiliario nominato o presentando osservazioni).
    • Se la maggioranza di ogni classe aderisce (o se le condizioni per cram-down sono soddisfatte con almeno una classe consenziente, etc.), il tribunale procede all’udienza di omologazione. I creditori contrari possono fare opposizione.
    • Il tribunale omologa se riscontra il rispetto di tutte le condizioni di legge e rigetta eventuali opposizioni infondate.

    I tempi dovrebbero essere più rapidi di un concordato, perché non c’è tutta la fase di voto con adunanza: si può procedere in tempi relativamente brevi se i consensi per classe sono già raccolti (l’iter potrebbe ricordare quello degli accordi 182-bis, ma con classi).

  • Differenze rispetto al concordato preventivo:
    • Nel PRO non c’è la figura del commissario giudiziale obbligatorio sin dall’inizio (il tribunale può nominarne uno ad hoc se serve, ma non è automatico), mentre nel concordato sì. Ciò riduce costi e formalità.
    • Non c’è una adunanza dei creditori con relative maggioranze trasversali. Conta il voto per classi, quindi il peso è più “qualitativo”. Nel concordato occorre anche la maggioranza assoluta dei crediti votanti globali (salvo cram-down), qui no.
    • Il PRO è pensato per derogare all’absolute priority rule (APR) consentendo soluzioni più flessibili, finché nessuno prende meno che in liquidazione. Ad esempio, teoricamente potrebbe consentire di lasciare una partecipazione ai soci anche se i chirografari non vengono pagati integralmente, cosa che nel concordato standard è controversa a meno di super soddisfazione dei creditori (nel PRO è ammessa più libertà purché classi votino).
    • Non c’è soglia minima di passivo per il PRO; come il concordato, è per imprenditori soggetti al fallimento.
    • L’effetto finale è simile a un concordato omologato: il PRO omologato è vincolante per tutti i creditori, con eventuale forza di legge nel ristrutturare i debiti.
  • Vantaggi del PRO: maggiore controllo al debitore (è il debitore che propone e guida, senza attendere voti di assemblee), snellimento procedurale (meno fasi, niente voto formale assembleare), e possibilità di cram-down interclassi strutturato se certe classi dissentono. In pratica, se una classe dice no ma il piano è equo, il tribunale può imporlo: nel concordato pure c’è un meccanismo simile (art. 112 CCII consente omologa se >50% classi approvano e dissenzienti non peggiori di liquidazione), ma il PRO è costruito con l’idea di usarlo più agevolmente. Inoltre, il PRO può essere utile quando non c’è tempo o modo di ottenere il 60% di adesioni per un accordo ex 57, ma l’imprenditore vuole comunque evitare la votazione lunga del concordato: col PRO può presentare un piano e convincere almeno le classi principali a sostenere, lasciando al giudice l’ultima parola sulle classi contrarie.
  • Svantaggi e criticità: essendo nuovo, la prassi è limitata e ci sono incognite (già emerse in prime pronunce). Ad esempio, in Trib. Vicenza 7/11/2023 è stato omologato il primo PRO (nel caso ex SAFI, pare) con cram-down di classi dissenzienti, testando la normativa. Ma il Trib. Lucca 2023 ha interpretato restrittivamente il cram-down in continuità dicendo che se qualche classe non approva, l’art. 88 CCII (concordato) non permette l’omologa ex officio – interpretazione discutibile e forse superata dal correttivo 2024. C’è da considerare come i creditori reagiranno: non avendo un voto formale, potrebbero sentirsi “espropriati” di potere contrattuale, anche se possono opporsi in tribunale. Il PRO richiede comunque preparazione notevole (classi, attestazioni, etc) e se rigettato porta a un nulla di fatto. Infine, il PRO non consente quell’accordo “consensuale” come il 182-bis dove i creditori firmatari sono più coinvolti: è più calato dall’alto, perciò forse banche e soggetti istituzionali potrebbero preferire comunque trattative ex 182-bis dove hanno più voce diretta.

In generale, il PRO è indicato quando c’è bisogno di ristrutturare in fretta e magari non si ha il consenso di tutti i gruppi, ma l’azienda è salvabile e può convincere almeno una buona parte dei creditori. Potrebbe essere un’alternativa ad un concordato preventivo in continuità, con meno stigma e senza il bisogno di passare per il voto di tutti. È insomma un concordato “fast-track” su iniziativa del debitore.

Esempio rapido di quando usare il PRO: un’azienda con 4 classi di creditori (banche garantite, fornitori chirografari, obbligazionisti, Fisco) in cui i fornitori e il fisco non vogliono accordarsi. Il debitore propone comunque un piano equo (fornitori al 30%, banche ristrutturate, obbligazionisti convertiti in equity, Fisco 100% dilazionato) e lo porta in tribunale come PRO. Se banche e obbligazionisti (classi principali in valore) aderiscono formalmente, il giudice potrebbe omologare anche se fornitori e fisco si oppongono, constatando che prendono il best interest. Questo risolve la crisi senza dover avere 60% adesioni (forse non raggiungibile).

PRO e composizione negoziata: spesso il PRO può emergere come sbocco della composizione negoziata, quando l’esperto vede che non c’è unanimità ma il debitore ha comunque un buon piano. Il CCII incoraggia questa via: ha inserito il PRO nel Titolo II accanto alla composizione negoziata come “strumento di rottura innovativo”. Ad esempio, Trib. Milano 24/10/2024 ha ammesso PRO in continuità dopo CN, definendolo nuovo e rapido strumento. Dunque, se la trattativa stragiudiziale non ottiene accordo sufficiente per 182-bis, l’imprenditore può trasformare la proposta in un PRO e andare dal giudice.

Esempio schematico – PRO: Data la complessità, qui solo un mini scenario: Delta S.p.A., insolvente, propone un PRO dove:

  • Creditori ipotecari (banche): 100% in 15 anni rinegoziato, con interessi ridotti; loro classe approva (rappresentano 60% crediti tot).
  • Creditori chirografari: 40% su 5 anni, classe non approva (rappresentano 30% crediti, si oppongono).
  • Fisco: 100% in 4 anni (classe piccola 5%, vota contro perché voleva interessi).
  • Fornitori strategici: 60% in 2 anni (classe 5%, approvano perché comunque prendono più di altri).

Classi che approvano: ipotecari e fornitori. Classi contro: chirografari e Fisco. Il tribunale valuta: ipotecari (classe senior) hanno detto sì; chirografari ricevono 40% che è >0% che avrebbero in fallimento (supponiamo no attivo residuo oltre ipoteche); Fisco riceve 100% (quindi non pregiudicato, solo attesa). Il giudice dunque omologa forzatamente il PRO nonostante 2 classi su 4 contrarie, perché nessuna classe inferiore prende più di una superiore (fornitori prendono 60% che è >40% chirograf, ma fornitori erano molto più piccoli e li hanno approvati, situazione borderline però). Diciamo ammettiamo sussistano le condizioni di legge. Risultato: Delta esce dal procedimento con un piano omologato dal giudice che impone anche a chirografari e Fisco il rispetto (chirografari si vedranno ridotto il credito e non potranno pretendere altro). Se non avesse potuto usare PRO, Delta avrebbe dovuto fare un concordato preventivo e convincere con voti, o un 182-bis che non avrebbe raggiunto 60% (perché i chirografari e Fisco insieme >40% avrebbero bocciato).

Stato dell’arte al 2025: i PRO sono ancora pochissimi ma stanno crescendo. Il primo PRO omologato in Italia (Tribunale di Vicenza, 7 novembre 2023) ha rappresentato un caso pilota: i giudici hanno applicato l’art. 64-ter CCII di cram-down interclassista, ritenendo soddisfatte le condizioni di legge e confermando il piano nonostante classi dissenzienti. Questo segna un precedente importante. Altre decisioni (Trib. Milano 2024, Trib. Roma 2024) hanno mostrato apertura al PRO e ne hanno definito contorni: ad esempio Trib. Roma 3/7/2024 ha omologato un concordato semplificato post negoziazione, evidenziando la differenza col PRO (che richiede invece classi e omologa ordinaria). La Cassazione non si è ancora pronunciata sui PRO (istituto troppo nuovo), ma è verosimile che ne delineerà i limiti in futuro. Intanto, gli operatori lo considerano uno strumento di riserva: utile in casi complessi dove c’è rischio di stallo, ma da maneggiare con cautela.

Convenzioni di Moratoria (art. 62 CCII)

La Convenzione di Moratoria è uno strumento stragiudiziale e temporaneo pensato per affrontare situazioni di crisi transitoria attraverso un accordo di sospensione dei pagamenti tra il debitore e i creditori, in particolare quelli finanziari. Prevista dall’art. 62 CCII, la convenzione di moratoria consente di differire le scadenze dei debiti o sospendere le azioni di recupero per un periodo limitato, senza tuttavia comportare rinunce definitive ai crediti. È quindi una sorta di “accordo-ponte” che dà respiro all’impresa in attesa che attui misure di riorganizzazione o che si manifestino miglioramenti (es. stagionalità, incassi futuri).

Caratteristiche principali:

  • Contenuto e scopo: Nella convenzione di moratoria, il debitore e i creditori stabiliscono proroghe dei termini di pagamento, sospensioni temporanee di quote capitale o interessi, standstill nelle azioni legali, o altre misure volte solo a guadagnare tempo, senza ridurre l’importo dei crediti. Ad esempio, possono concordare: “nessun pagamento delle rate di mutuo da aprile a settembre; ripresa pagamenti da ottobre con piano allungato di 6 mesi”, oppure “rinuncia a escutere le garanzie per 12 mesi, salvo revisione al termine”. Importante: non c’è alcuna rinuncia definitiva al credito né falcidia – le obbligazioni rimangono, solo che vengono congelate per un po’. Per questo la legge parla di “misura che non comporta rinuncia al credito”.
  • Ambito tipico: Le moratorie trovano tipicamente applicazione con i creditori bancari o finanziari. Infatti l’art. 62 fu pensato anche per dare veste legale agli accordi promossi dall’ABI (Associazione Bancaria Italiana) in situazioni di emergenza (es. la “moratoria ABI 2015” per PMI o quelle Covid 2020). Tuttavia, sono possibili anche con altre categorie omogenee, ad esempio tutti i fornitori di un certo tipo potrebbero accettare di prorogare le scadenze fatture di qualche mese (meno frequente in pratica senza il cappello di una procedura).
  • Maggioranza necessaria ed efficacia erga omnes: L’aspetto notevole è che una convenzione di moratoria può diventare vincolante anche per i creditori che non l’hanno sottoscritta, a condizione di:
    • Coinvolgere una categoria omogenea di creditori (ad es. tutti i chirografari finanziari, o tutti i privilegiati di un certo tipo).
    • Raggiungere l’adesione di almeno il 75% del totale dei crediti di quella categoria.
    • Informare tutti i creditori della categoria dell’avvio delle trattative e metterli in condizione di partecipare (trasparenza e pari opportunità).
    • Un professionista indipendente attesti che la convenzione è idonea a gestire provvisoriamente la crisi e che i creditori non aderenti non risultano pregiudicati rispetto alla situazione di un eventuale fallimento aperto alla data dell’accordo.

    Se queste condizioni sono soddisfatte, la convenzione “è efficace anche nei confronti dei creditori non aderenti appartenenti alla medesima categoria”. In pratica, la moratoria si estende anche ai dissenzienti.

  • Limiti a tutela dei dissenzienti: La legge impone che la moratoria non possa imporre ai non aderenti obblighi aggiuntivi oltre la sospensione del pagamento. Ad esempio, non si può obbligare un creditore che non firma a concedere nuova finanza, né a mantenere aperte linee di fido oltre il pattuito. L’unico effetto sui non aderenti è che devono attendere il termine della moratoria per essere pagati, ma conserveranno il loro credito invariato e potranno pretendere poi le somme con gli interessi originari. Inoltre, i non aderenti devono comunque ricevere almeno quanto avrebbero preso in un fallimento aperto subito (questo in realtà, trattandosi di sola dilazione senza stralci, è tendenzialmente ovvio: se l’impresa non fallisce subito e continua l’attività, potenzialmente loro non sono danneggiati, anzi è nel loro interesse se con la moratoria l’impresa evita il default e poi li paga interi).
  • Procedura di comunicazione e opposizione: Affinché l’estensione sia valida, il debitore deve comunicare la convenzione e la relazione dell’attestatore a tutti i creditori non aderenti (raccomandata A/R o PEC). Da quel momento, i non aderenti hanno 30 giorni per proporre opposizione al tribunale competente. Se non presentano opposizione entro i termini, la convenzione diventa efficace anche per loro come se avessero aderito. Se invece presentano opposizione, il tribunale la esamina in camera di consiglio e decide con sentenza (reclamabile). Durante la pendenza, presumibilmente la convenzione è sospesa per quell’opponente (la norma non lo dice espressamente, ma in genere l’opposizione ha effetto sospensivo finché non deciso). Il tribunale omologherà la moratoria anche sul dissenziente se ritiene che le condizioni di legge c’erano (75% adesione, info, attestazione, nessun pregiudizio). Altrimenti, l’opponente non sarà vincolato.
  • Durata tipica: La convenzione è temporanea per definizione. La legge non dà un limite fisso, ma dalla prassi si intende un orizzonte di 12 mesi, eventualmente 18 in casi particolari. Difficile immaginare moratorie oltre 1-2 anni. Infatti, l’art. 62 richiede l’attestazione che la convenzione è idonea a “disciplinare provvisoriamente gli effetti della crisi” – l’idea è che sia un respiro breve. Il correttivo 2024 ha precisato (par. 5 dell’art.62 modif.) che le opposizioni vanno decise con sentenza e reclamo in Corte d’Appello entro tempi brevi, in modo coerente con la natura transitoria.
  • Esempi d’uso: Nel 2020 con la pandemia, il Governo e ABI promulgarono una moratoria generalizzata per mutui PMI (ex lege), e parallelamente tante imprese hanno stipulato convenzioni con banche per spostare pagamenti di rate di 6-12 mesi. La convenzione di moratoria ex art. 62 recepisce a regime tali pratiche. Ad esempio, un’impresa con 5 banche finanziatrici, riesce a farsi firmare da 4 su 5 (che rappresentano l’80% dell’esposizione) un accordo di standstill di 1 anno: quell’accordo, comunicato alla banca dissenziente, se non oppone, vincola anche la quinta banca. La quinta banca quindi non potrebbe, ad esempio, revocare il fido o incamerare la garanzia fino a scadenza della moratoria (il suo credito resta, ma temporaneamente congelato). In pratica è un meccanismo di tutela della maggioranza: le banche aderenti in maggioranza vogliono dare tempo al debitore di rimettersi, la minoranza non può mandare all’aria l’intesa comune agendo per conto proprio nel frattempo.
  • Rapporto con altre procedure: La convenzione di moratoria può essere un esito della composizione negoziata (spesso l’esperto porta a casa almeno una moratoria di breve dai creditori finanziari come risultato immediato). Può anche preludere ad un successivo accordo di ristrutturazione o concordato: es., si fa una moratoria 6 mesi per preparare un piano più strutturato. È considerata parte degli “strumenti negoziali” complementari.
  • Importanza pratica: Onestamente, è uno strumento di natura limitata. Non risolve la crisi, la congela soltanto temporaneamente. Quindi serve solo se la crisi è effettivamente temporanea oppure se occorre tempo per attuare misure (es. attendere esito di una dismissione, di un aumento di capitale, di un piano attestato in corso). Spesso si utilizza la moratoria come “fase 1”: prima blocco il fuoco (moratoria), poi presento il piano di risanamento (fase 2). La sua efficacia vera è data dalla adesione altissima richiesta (75%). Non è facile avere il 75% di categorie come fornitori, ma per banche è plausibile (se il pool è coordinato). Inoltre l’opposizione di anche un solo grosso non aderente, se convinto, può vanificare l’effetto.

In conclusione, la convenzione di moratoria è uno strumento aggiuntivo nel toolkit: utile per prendere tempo legalmente, con la benedizione di un attestatore e (in caso di opposizione) del giudice, evitando che un creditore isolato precipiti il default mentre gli altri sono d’accordo nel pazientare.

Simulazione breve – Convenzione di moratoria:

Omega S.p.A. ha 4 banche creditrici (A, B, C, D) con esposizione totale €10 milioni. L’azienda subisce un incendio che blocca la produzione per 6 mesi; si prevede incasso assicurazione ma tra 8 mesi. Per evitare di saltare le rate, Omega negozia con le banche: A, B, C (80% del debito) firmano una convenzione in cui tutte le rate di capitale e interessi da luglio a dicembre sono sospese, i piani di ammortamento si allungano di 6 mesi, e le banche rinunciano ad escutere pegni o ipoteche nel periodo. Banca D (20% del debito) rifiuta di firmare. Omega comunque pubblica la convenzione e la notifica a D con attestazione di un esperto che conferma che D non sarà pregiudicata (tra 6 mesi riprenderà a incassare tutto, e la sua posizione è garantita da ipoteca il cui valore copre il debito). D ha 30 giorni per opporsi: se non lo fa, la moratoria vincola anche D, che non potrà ad esempio iniziare un pignoramento nel frattempo. D, valutato che tanto tra 6 mesi incasserà anche arretrati con interessi normali e che un’azione ora porterebbe a fallimento di Omega (facendole forse perdere di più), decide di non opporsi. La convenzione diviene effettiva per tutte le banche. Omega ottiene i 6 mesi di ossigeno, riceve l’indennizzo assicurativo e a gennaio riprende i pagamenti verso tutti. Nessuna banca ha perso capitale o interessi (solo ritardati), e l’impresa ha evitato il default in un momento di stress temporaneo.

Se D avesse opposto, il tribunale probabilmente avrebbe omologato comunque la moratoria (vedendo che D non ci rimette nulla se aspetta, rispetto al fallimento immediato ci guadagna), salvo eventuali cavilli procedurali.

Vantaggio: questo meccanismo ha formalizzato quell’accordo di fatto che in passato esisteva ma rendeva D potenzialmente libera di agire. Così, D è stata “tenuta in riga” dalla maggioranza.

La convenzione di moratoria, essendo appunto breve e granulare, è definita da alcuni un istituto di importanza marginale nella regolazione della crisi. Ciò è vero: in caso di crisi serie servono strumenti più incisivi. Ma in contesti dove la crisi è temporanea (es. shock esterno, crisi di liquidità momentanea), può essere la soluzione più semplice: nessuna procedura, nessun sacrificio permanente per nessuno, solo “aspettiamo tutti un attimo”.

Profili Giuridici, Fiscali e Contabili dei Piani di Ristrutturazione

La scelta e l’attuazione di uno strumento di ristrutturazione del debito comporta riflessi su più piani: giuridico (sotto il profilo civilistico e concorsuale), fiscale (tassazione degli effetti dell’accordo) e contabile (rappresentazione nei bilanci). In questa sezione evidenziamo alcuni punti chiave di questi profili trasversali.

Aspetti giuridici e civilistici

  • Effetto sugli stakeholders dissenzienti: Una questione di principio fondamentale è come sia possibile “forzare” i creditori non consenzienti a subire un accordo o un piano. Giuridicamente ciò rappresenta un’eccezione ai principi di autonomia contrattuale e vincolatività solo tra le parti contrattuali (artt. 1372 e 1411 c.c.). Il legislatore concorsuale però deroga consapevolmente a questi principi per favorire il superamento della crisi: concordato preventivo e accordi omologati vincolano tutti i creditori, anche i dissenzienti, se approvati dalle maggioranze legali. Così pure i piani di ristrutturazione soggetti a omologazione (PRO) vincolano intere classi di creditori per decisione giudiziale. È una compressione dei diritti individuali giustificata dall’interesse superiore alla conservazione dei valori aziendali e alla parità di trattamento complessiva. Pertanto, ad esempio, l’art. 61 CCII legittima che un accordo 182-bis omologato estenda effetti a non aderenti di categoria, e l’art. 112 CCII (concordato) consente omologa anche con classi contrarie in certe condizioni. Questa logica è stata ritenuta conforme alla Costituzione (Corte Cost. 190/2023 ha respinto dubbi su segnalazioni Fisco e meccanismi del CCII).
  • Autonomia dell’imprenditore durante la ristrutturazione: Uno dei vantaggi degli strumenti negoziali (piani attestati, accordi prima dell’omologa, composizione negoziata) è che l’imprenditore resta in sella e conserva il potere di gestione, a differenza della liquidazione giudiziale dove viene spossessato e il curatore subentra. Ciò consente all’impresa di continuare ad operare, stipulare contratti, pagare fornitori strategici ecc., il che può essere essenziale per la continuità. Tuttavia, la legge impone obblighi di buona fede e trasparenza: il debitore in trattativa non deve compiere atti che frustrino l’accordo o danneggino i creditori (ad esempio occultare attivo, favorire occultamente qualcuno). In caso di scorrettezze, alcuni benefici decadono – p.es. nella moratoria se l’informativa non è completa per tutti, i non aderenti non sono vincolati. Nei concordati, la gestione è vigilata dal commissario e ogni atto straordinario dev’essere autorizzato, evidenziando come nelle procedure giudiziali l’autonomia sia compressa.
  • Trattamento dei creditori privilegiati: Un aspetto giuridico delicato è come si possono alterare i diritti dei creditori garantiti da pegno, ipoteca o privilegio generale. La regola di base è che un concordato non può ridurre l’importo dei privilegiati oltre la parte incapiente (devono prendere almeno quanto il valore sottostante la garanzia). La Cassazione (sent. 10884/2020) ha chiarito che i creditori con privilegio generale mobiliare (es. privilegi ex art. 2751-bis c.c., come dipendenti per TFR) non possono essere falcidiati nel concordato più di quanto avrebbero in liquidazione, salvo rare eccezioni di legge. Anche nei piani e accordi negoziali, di solito i privilegiati vengono soddisfatti integralmente o con limitate dilazioni, altrimenti sarebbero facilmente dissenzienti e opporrebbero. Nel PRO invece c’è margine per deviare dall’ordine legale, ma con la salvaguardia del best interest test e priorità (non far prendere a chirografi più che a privilegiati se questi votano contro, ecc.). Ad ogni modo, la par condicio creditorum (artt. 2740-2741 c.c.) viene “piegata” dagli strumenti di ristrutturazione: si accetta che alcuni prendano meno, altri più, ma con criteri di meritevolezza economica (ad es. garantendo almeno il valore di liquidazione ai prelatizi). Tribunali come quello di Napoli (ord. 2024) hanno persino esteso gli effetti di un piano attestato ai soci garanti (dichiarando non escutibili per le obbligazioni coperte dal piano), approccio innovativo che fa leva sull’interpretazione teleologica della norma per ampliare la tutela del risanamento.
  • Nuova finanza e continuità aziendale: Giuridicamente rilevante è il trattamento della finanza “fresh money” immessa nel contesto di una ristrutturazione. La legge incentiva ciò offrendo la prededuzione in caso di successivo fallimento (art. 99 CCII e, prima, art. 182-quater L.F.) e l’esenzione da revocatoria, per i finanziamenti in esecuzione o funzionali di accordi e concordati omologati. Significa che chi presta soldi all’impresa per salvarla sarà rimborsato con priorità (se poi le cose vanno male), per incoraggiarlo. Questo è fondamentale nelle negoziazioni con banche: spesso si chiede alla banca di dare nuovi fondi per liquidità o investimenti nel piano, e la banca valuta quei privilegi legali. Altro aspetto: la possibilità di continuare contratti pendenti (leasing, forniture) nonostante la crisi. Nel concordato l’impresa può chiedere di sciogliere o sospendere contratti con autorizzazione del tribunale, oppure di mantenerli. Nella composizione negoziata c’è libertà contrattuale e si può contrattare col fornitore la prosecuzione (non c’è vincolo di legge di mantenimento, ma spesso conviene ad entrambi proseguire l’attività).
  • Soluzioni liquidatorie semplificate: Qualora la ristrutturazione non riesca e si vada a liquidazione, il CCII prevede meccanismi come l’esdebitazione del fallito persona fisica dopo 3 anni (fresh start) e il concordato semplificato post-composizione negoziata (che consente di vendere asset in continuità senza voto creditori). Questo per completezza: se falliscono i tentativi di ristrutturare con le banche, c’è comunque un esito per chiudere dignitosamente la vicenda.

Aspetti fiscali

La ristrutturazione del debito ha diverse rilevanze fiscali, sia per l’impresa debitrice sia per i creditori (specialmente se essi “perdonano” parte dei crediti). Ecco i punti chiave:

  • Sopravvenienze attive da riduzione dei debiti: Quando un creditore rinuncia a una parte del proprio credito (ad esempio in un accordo stragiudiziale o in un concordato, se i chirografari vengono pagati al 40%, il 60% è condonato), per il debitore si genera contabilmente una sopravvenienza attiva (un provento straordinario) pari all’importo del debito estinto senza esborso. Ordinarimente, queste sopravvenienze sarebbero tassabili come componenti positive di reddito nell’esercizio in cui si manifestano (art. 88 TUIR). Ciò costituirebbe un paradosso: un’azienda già in difficoltà che fa un accordo si troverebbe a pagare imposte sui debiti cancellati. Per evitare ciò, il legislatore fiscale è intervenuto: l’art. 88, comma 4-ter TUIR (introdotto dal DL 34/2020 “Rilancio”) dispone che non concorrono a formare il reddito imponibile le sopravvenienze attive derivanti da debiti scaduti cancellati per effetto di accordi di ristrutturazione omologati, piani attestati pubblicati o concordati preventivi. In particolare:
    • Se un concordato (anche semplificato) o un accordo ex art.57 viene omologato, le riduzioni di debito in esso previste sono esenti da IRES/IRPEF per il debitore. (Restano però indeducibili per il creditore le relative perdite su crediti, salvo eccezioni di legge).
    • Se un piano attestato di risanamento è “pubblicato” nel registro imprese, analogamente le riduzioni di debito non creano imponibile. Il riferimento alla pubblicazione è importante: serve una pubblicità ufficiale perché il Fisco accetti l’esenzione, per evitare abusi (non tutte le riduzioni negoziate privatamente sono esenti, deve essere parte di un piano di risanamento ex lege).
    • Queste norme sono state confermate e integrate dalle circolari dell’Agenzia Entrate (es. circ. 40/E 2008 e succ.). Dunque, in pratica, nessuna tassa sui debiti perdonati nell’ambito di procedure concordatarie o accordi/piani regolati dal CCII. Questa è una garanzia fondamentale per il successo delle ristrutturazioni (altrimenti la pressione fiscale vanificherebbe parte dei benefici).
  • Deduzione delle perdite per i creditori: Dal lato dei creditori, soprattutto banche, la quota di credito falcidiata è una perdita su crediti deducibile fiscalmente se rispettate certe condizioni. Per gli istituti finanziari IFRS, la svalutazione è spesso già dedotta secondo regole di impairment. Per i creditori soggetti a IRES in ordinario, l’art. 101 TUIR prevede deducibilità delle perdite su crediti quando risultano da elementi certi e precisi, tra cui rientrano le procedure concorsuali e gli accordi omologati. Quindi, se una banca rinuncia a €100 in un accordo ex 182-bis omologato, quella è deducibile come perdita su crediti (nessuna imposizione per la banca, a parte l’effetto IVA se mai). Questo facilita il fatto che le banche possano accettare stralci, sapendo di poter dedurre la perdita (Con circ. 26/2013 fu chiarito che i piani attestati pubblicati sono equiparati per certe deduzioni, e la legge delega 155/2017 ha poi uniformato).
  • Trattamento IVA e imposte indirette: Bisogna considerare l’IVA sui crediti dei fornitori: quando un fornitore non riesce a incassare fatture per via di un accordo concorsuale, la normativa consente il recupero dell’IVA non incassata (nota di variazione in diminuzione) al verificarsi di procedure concorsuali certificate. Ad esempio, se in un concordato un fornitore viene pagato 40 su fattura 100+IVA, il fornitore può emettere nota di credito per l’IVA sulla parte non incassata, recuperandola. Recenti modifiche normative hanno anticipato il momento in cui ciò è possibile (già dalla omologazione di un concordato o accordo senza attendere la chiusura). Quindi i creditori non pagati integralmente non rimangono neppure con l’IVA a carico. Dal lato debitore, se un debito commerciale viene stralciato, l’IVA sulla fattura originaria – se già detratta – resta detratta (non va rettificata in capo al debitore; è il creditore che emette nota di variazione per recuperare la sua IVA a debito, generando una corrispondente minore detrazione per il debitore? Tema tecnico: in fallimento è certo, in concordato la variazione è ammessa). Comunque, in molti casi il debitore non deve restituire IVA sulle forniture non pagate, perché la variazione IVA è onere del fornitore creditore (che la userà per ridurre la propria IVA a debito).
  • Cram-down fiscale: Una grande novità del CCII (art. 63) è la possibilità di omologare accordi e concordati anche senza il voto favorevole dell’Erario e degli enti previdenziali, se la proposta è conveniente per essi rispetto alla liquidazione. Fiscalmente, questo “cram-down” non genera un conflitto col divieto di “remissione di tributi”? Il legislatore ha modificato l’art. 182-ter L.F. e ora art. 63 CCII per permettere di includere nel piano stralci di IVA e ritenute (che prima erano intoccabili) purché i creditori pubblici ottengano almeno il 20% e non meno del realizzo fallimentare. L’Agenzia Entrate ha accettato questo quadro (norma interna lo consente, recependo la direttiva). Quindi, se il tribunale approva un concordato che taglia l’IVA al 30% contro il parere dell’AE, quell’IVA non versata diventa per definizione una sopravvenienza attiva esente per il debitore (piano omologato) e il Fisco la contabilizza come perdita (il tributo non incassato). Ci furono dubbi di costituzionalità, ma la Consulta li ha rigettati (sent. 21/09/2023 n.190) dichiarando la norma su soglie di allerta Fisco e transazione fiscale forzata non manifestamente illegittima, demandando al legislatore le rifiniture. Quindi il sistema regge: il Fisco può essere crammed-down, e il debitore ne beneficia (debito fiscale ridotto anch’esso esente tasse ovviamente, sarebbe tautologico tassarlo).
  • Imposte d’atto: La stipula di accordi e piani può comportare atti (aumenti di capitale, cessioni beni) soggetti a imposte indirette. Il legislatore ha previsto alcuni benefici: ad esempio, gli atti e i provvedimenti relativi alle procedure concorsuali, concordati e accordi omologati sono spesso esenti da imposta di bollo, registro e altre tasse (se finalizzati all’esecuzione del piano), in quanto considerati atti esecutivi di procedura concorsuale (cfr. art. 2503 c.c. per l’aumento capitale con compensazione crediti in concordato – no tassa su capitale). Le esenzioni vanno verificate caso per caso (il concordato preventivo gode di esenzione imposta di registro su decreto omologa, le transazioni fiscali sono esenti bollo etc.). Non entriamo nel dettaglio, ma è un panorama favorevole: lo Stato preferisce far riuscire il risanamento anche rinunciando a piccoli introiti fiscali diretti, confidando di recuperarli nel lungo termine dall’azienda risanata.
  • Fiscalità internazionale: se i creditori sono esteri, potrebbero applicarsi regole locali su perdite o segnalazioni (non approfondiamo qui). Se l’impresa ha sede in Italia, valgono le regole italiane illustrate.

Aspetti contabili

Dal punto di vista contabile, la ristrutturazione del debito si riflette sia nei bilanci dell’impresa debitrice che in quelli dei creditori finanziari. Alcuni concetti chiave (in base ai principi italiani OIC e agli IFRS):

  • Ristrutturazione con sostanziale modifica dei termini: Il principio contabile OIC 19 (strumenti finanziari) e lo IAS 39/IFRS 9 prevedono che se un debito viene soggetto a modifica sostanziale (substantial modification, ad es. riduzione del valore attuale >10%), allora si contabilizza come estinzione del debito originario e rilevazione di un nuovo debito. Ciò comporta l’emersione a conto economico di un provento pari alla differenza tra valore contabile del debito vecchio e fair value del debito nuovo. Tale provento altro non è che la sopravvenienza attiva di cui parlavamo prima, che per fortuna non sarà tassata se piano attestato/paccordo ecc. In pratica: se avevo debito 100 e con l’accordo ne devo dare 60, contablemente elimino debito 100, metto nuovo debito 60 (se c’è, oppure 0 se condono totale), e contropartita P&L +40 di utile. Questo utile sarà poi rettificato extracontabilmente per non tassarlo, ma in bilancio appare migliorando il patrimonio netto (perché riduce le passività). Attenzione: se la modifica non è sostanziale (es. semplice dilazione di pochi mesi senza stralcio significativo), allora contab. non si estingue, si rimodula il piano di ammortamento del debito (amortized cost). La differenza di interessi eventualmente è rilevata per competenza su nuova base.
  • Classificazione in bilancio: Finché un accordo è in discussione, i debiti oggetto di possibile rinegoziazione possono avere in bilancio classificazione a breve o lungo termine a seconda dello stato. Ad esempio, se un mutuo è in default e sto trattando, potrebbe dover essere tutto esposto a breve (corrente) perché tecnicamente esigibile. Dopo la ristrutturazione, se ottenuta dilazione, la parte lunga torna in passivo consolidato a lungo. La nota integrativa deve spiegare la situazione della crisi, l’esistenza di piani o accordi in corso di omologa, ecc., per dare un quadro chiaro.
  • Effetti sui numeri di bilancio: Ovviamente, una volta ridotto il debito, i ratios finanziari migliorano (debito/equity, debt/EBITDA), quindi l’impresa appare più solvibile. Inoltre la riduzione di interessi futuri migliora il conto economico. D’altro canto, se vi sono costi della ristrutturazione (es. consulenze, penali pagate, costi legali), vanno spesati a CE (o capitalizzati se collegati ad un finanziamento nuovo come costi di transazione attivi da ammortizzare). Frequentemente, l’anno del risanamento mostra un utile di bilancio proprio per l’effetto contabile dello stralcio debiti – utile che però è “figurativo” e non distribuibile se esente tasse.
  • Contabilizzazione per i creditori: Una banca creditrice che accetta un haircut contab. registrerà una perdita su crediti (fondo svalutazione o diretta a CE). Le banche IFRS fanno test di impairment: la ristrutturazione normalmente qualifica come “modifica concessione” (forbearance) e se sostanziale porterebbe a derecognition del credito e riconoscimento di nuovo attivo (oppure a mantenimento ma con stage peggiorato). In sostanza, la banca rifletterà la perdita immediatamente nel conto economico (riducendo il proprio patrimonio di vigilanza). Ciò incide sulle sue decisioni: spesso preferisce spalmare la perdita su più esercizi (facendo una moratoria e poi un piccolo stralcio) che una tantum grande. Il quadro regolamentare IFRS9 ora costringe a evidenziare le sofferenze subito, ma se c’è accordo formalizzato, la banca può classificare il credito come “ristrutturato” e magari ridurre l’accantonamento se il debitore rispetta il nuovo piano.
  • Piani in continuità vs liquidazione: Ai fini contabili, un’impresa in concordato preventivo in continuità mantiene i criteri di valutazione di going concern (valori di funzionamento) se il piano prevede la prosecuzione. Se invece fa un concordato liquidatorio, deve forse redigere bilancio in ottica di cessazione (valori di realizzo). Nel periodo di composizione negoziata, l’impresa rimane going concern se c’è ragionevole aspettativa di risanamento; se pende istanza di fallimento e trattative incerte, a volte i revisori chiedono richiamo di continuità. La deliberazione di allerta o segnalazioni non generano da sole discontinuità contabile.
  • Esempio contabile semplificato: un debito di 100 viene ridotto a 60 con accordo omologato. In bilancio del debitore: passività diminuisce di 40, conto economico +40 ricavo straordinario (esente da tasse). Patrimonio netto +40. In banca creditrice: asset crediti -40, conto economico -40 (accantonamento o perdita diretta), patrimonio netto -40 (al netto imposte differite attive eventuali). Se quell’accordo comporta anche nuova finanza di 10, il debitore registra +10 di debito nuovo in passivo e +10 di cassa attivo; la banca +10 di credito nuovo (valutato a fair value, se tasso di mercato va a 10).

In sintesi, i riflessi contabili seguono la sostanza economica: la riduzione del debito appare come un profitto per l’impresa, migliorandone i ratios, ed una perdita per i creditori, peggiorandone i conti. I principi contabili assicurano che i bilanci riflettano l’effetto del “give and take” degli accordi di ristrutturazione.

Nota: I principi IFRS9 aggiungono concetti come “expected credit losses” già anticipando la perdita prima ancora che l’accordo sia finalizzato, se c’è default probabile. Quindi spesso la banca ha già svalutato molto prima di firmare l’accordo, e quando l’accordo arriva la perdita addizionale è minore.

Prassi Applicativa e Giurisprudenza (aggiornamento 2025)

Le procedure di ristrutturazione sono fortemente influenzate dalla prassi degli operatori (banche, professionisti, camere di commercio) e dai pronunciamenti giurisprudenziali di merito e di legittimità. Riassumiamo alcuni sviluppi notevoli degli ultimi anni in Italia, che completano il quadro normativo.

  • Linea delle Corti Superiori (Cassazione): La Suprema Corte ha affrontato diversi aspetti degli accordi di ristrutturazione e del concordato:
    • Cass. 10884/2020 ha stabilito un importante principio sui privilegi generali nel concordato: non possono essere decurtati oltremisura. In pratica, i creditori privilegiati generali (es. INPS per contributi) devono ricevere almeno quanto spetterebbe loro in caso di fallimento, a meno che rinuncino espressamente. Questo ribadisce la tutela della cause di prelazione.
    • Cass. 18021/2023 si è espressa sul concordato semplificato ex art. 25-sexies CCII: ha chiarito che è uno strumento residuale, utilizzabile solo se la composizione negoziata non ha portato ad altre soluzioni. Dunque se un debitore vuole usarlo senza aver seriamente negoziato prima, c’è abuso. Ciò a tutela dei creditori: il semplificato salta il loro voto, quindi va applicato rigorosamente solo dove previsto.
    • Cass. 13418/2023 (Sez. I) ha confermato il potere del tribunale di rigettare un concordato con riserva abusivo, presentato solo per guadagnare tempo senza prospettare alcuna soluzione concreta. Quindi i giudici possono vigilare contro i filing opportunistici.
    • Corte Costituzionale 190/2023 – come accennato – ha affrontato questioni di legittimità su segnalazioni e trattamento dei crediti erariali, respingendo i dubbi e sostanzialmente avallando la riforma, pur invitando a monitorare (ha definito l’allerta come politica legislativa non irragionevole in quel contesto).
    • Corte Cost. 6/2024 su liquidazione controllata ed esdebitazione, ha ritenuto conforme a Costituzione l’automatismo di esdebitazione dopo 3 anni dei debiti residui per il fallito persona fisica (nessuna violazione art. 3 e 24, bilanciato da diritto al fresh start).
  • Giurisprudenza di merito (Tribunali): Nei primi anni di applicazione del CCII, molti tribunali si sono pronunciati su aspetti nuovi:
    • Trib. Lucca, 17.02.2023 n.62: ha analizzato il cross-class cram-down nel concordato. Ha sostenuto che l’attuale art. 88 comma 2-bis CCII (post correttivo) non consente di omologare un concordato in continuità aziendale se c’è il voto favorevole di alcune classi ma altre dissentono, ovvero che la norma non prevede un cram-down interclassi automatico in continuità. Questa è un’interpretazione restrittiva che altri tribunali non condividono – è un tema aperto, con alcuni giudici più inclini a forzare l’omologa se c’è convenienza per tutti i creditori. In effetti, successivamente alcuni correttivi hanno chiarito meglio la possibilità di cram-down, e altre pronunce (es. Trib. Milano e Roma) hanno preso posizioni differenti.
    • Trib. Milano e Trib. Torino (2022-2023): sono stati tra i più attivi nell’applicazione della composizione negoziata. Hanno emanato provvedimenti su:
      • Autorizzazione di nuovi finanziamenti prededucibili in composizione negoziata (Trib. Milano 08/11/2022 ad esempio ha autorizzato mutuo ipotecario in prededuzione in favore di società in CN – l’esperto aveva dato ok – per pagare fornitori strategici).
      • Ammissibilità di contratti modificati in corsod’opera: ad esempio Trib. Torino ha convalidato accordi di moratoria conclusi durante la CN, ribadendo che l’esperto se concorda non c’è pregiudizio.
      • Interpretazione di continuità vs liquidazione: i tribunali hanno dovuto definire casi dubbi, ad esempio se la cessione di ramo d’azienda in concordato configuri continuità indiretta (quindi benefici e regole di continuità) o liquidazione. Tribunale di Milano 2024 ha fatto scuola sul concetto di “concordato misto” e sul ruolo del commissario in ipotesi di continuità parziale.
    • Trib. Napoli, ordinanza 2024: come menzionato, questa pronuncia innovativa ha esteso l’efficacia di un piano attestato anche ai soci garanti. In pratica, in sede di giudizio su opposizione a decreto ingiuntivo, il giudice ha ritenuto che, essendo i soci fideiussori parti sostanziali del risanamento e avendo i creditori accettato un piano di ristrutturazione, fosse abusivo da parte loro escutere i garanti per la parte di credito stralciata nel piano. Ciò ha il sapore di equità sostanziale: se la banca ha accettato 60% dal debitore, non può rifarsi del 40% sui garanti personali, altrimenti vanificherebbe il piano. Questa interpretazione valorizza il “successo complessivo” del risanamento e potrebbe fare giurisprudenza se confermata da istanze superiori.
    • Trib. Cagliari, 08.11.2024 (decr. omologa ADR con cram-down fiscale) – di rilievo perché risulta essere la prima omologa di un accordo 182-bis dove il Tribunale ha imposto la transazione fiscale nonostante il dissenso dell’Agenzia Entrate. Ha applicato l’art. 63 CCII: l’Erario si era opposto, ma il giudice ha verificato il “miglior interesse” e omologato l’accordo, autorizzando forzosamente lo stralcio fiscale. È una conferma pratica del potere di cram-down fiscale. Questa sentenza segna che i tribunali sono disposti ad usare la norma, rassicurando i debitori che il Fisco non ha più veto assoluto.
    • Trib. Vicenza, 07.11.2023 (decr. omologa PRO) – come già discusso, primo PRO omologato: il tribunale ha verificato che tutte le classi tranne una avevano approvato e che le condizioni di cram-down c’erano (classe dissenziente non pregiudicata, ecc.) e ha emesso decreto di omologa, cramdownando la classe contraria. Questo è epocale perché inaugura la prassi su un istituto nuovo. Da segnalare che la notizia è stata riportata su testate specializzate: “Trattasi del primo decreto di omologa PRO emesso in Italia” e spiega che l’art. 64-bis consente di proporre un piano svincolato dalle regole civilistiche generali, con omologa subordinata all’approvazione a maggioranza di tutte le classi. Il fatto che Vicenza abbia omologato comunque implica che o tutte le classi hanno votato sì, oppure che si è ritenuto possibile omologare con un sì parziale (bisogna leggere il decreto per i dettagli, ma pare che abbiano anche citato l’applicazione dell’art. 64-ter interclassi).
    • Trib. Milano, decreto 24.10.2024 (admiss. PRO) – questa pronuncia (segnalata da Sole 24 Ore) ha dichiarato ammissibile un piano PRO di continuità, affermando che il PRO è uno “strumento di rottura del sistema tradizionale, idoneo a portare ristrutturazione rapida”. Ciò indica un atteggiamento favorevole del tribunale milanese, quasi promozionale verso il PRO come mezzo efficiente.
    • Trib. Roma, 03.07.2024 (decr. omologa concordato semplificato) – ha omologato uno dei primi concordati semplificati post-CN, confermando la legittimità di non far votare i creditori. Il tribunale ha verificato che: la composizione negoziata era stata regolarmente avviata ma senza esito; il piano presentato era completo e offriva utilità ai creditori superiore alla liquidazione (evitando il fallimento); tutto a posto, quindi omologato. Questo crea fiducia nelle imprese che, se la negoziazione fallisce, c’è una via d’uscita controllata senza passare dal voto (che sicuramente non avrebbero ottenuto se la negoziazione è andata male).
  • Prassi amministrativa degli enti: Oltre ai tribunali, anche altri attori si sono mossi:
    • Il Ministero della Giustizia ha emanato linee guida per la gestione e pubblicazione dei piani e accordi. Ad esempio, linee su come le Cancellerie devono iscrivere nel Registro Imprese i piani attestati depositati, in modo uniforme.
    • Agenzia delle Entrate e INPS hanno rilasciato chiarimenti in merito alla transazione fiscale e contributiva: Ad esempio la circ. AE 34/2020 e 2/2021 hanno spiegato i criteri per valutare convenienza di proposte di concordato con stralcio di tributi, e l’INPS ha emanato messaggi interni per istruire i propri uffici a gestire le richieste di transazione contributiva, uniformando i comportamenti (in passato variegati). Per dire, l’AE con la circ. 40/E 2008 aveva già definito alcuni aspetti, e successive note (2022) hanno recepito il cram-down disponendo che l’ufficio non si opponga se la proposta è almeno pari al realizzo stimato (questo per evitare opposizioni pretestuose, in linea con l’art. 63).
    • Le Camere di Commercio hanno organizzato l’elenco degli esperti per la composizione negoziata e predisposto il sistema informatico per le istanze, con modulistica standard e piattaforma on-line. Inoltre, gestiscono il registro delle convenzioni di moratoria (forse un registro informale per tener nota delle moratorie comunicate? L’art. 62 richiede comunicazione ai creditori, la CCIAA non è depositaria direi, però in letteratura s’è parlato di registro: magari l’iscrizione nel REA come annotazione).

    In generale, la prassi amministrativa tende a supportare la massima diffusione degli strumenti negoziali, esortando all’intervento tempestivo. Si noti l’enfasi nel raccomandare alle imprese di dotarsi di controlli interni e di usare la composizione negoziata: le Camere di Commercio (Unioncamere) hanno fatto campagne informative in merito, e predisposto portali informativi e calcolatori di indici di crisi per aiutare.

  • Uso combinato degli strumenti: La prassi ha visto anche soluzioni ibride:
    • Imprese che, in composizione negoziata, sperimentano un piano (magari in mini accordi con alcuni creditori) e poi formalizzano quell’esito in un accordo 182-bis se raggiungono la soglia, oppure in un concordato se no. Questa flessibilità era voluta dal legislatore: usare la CNC come trampolino. Effettivamente numerose “domande di concordato” depositate nel 2023-24 recano l’annotazione di provenire da una composizione negoziata (il massimario Cassazione 15/09/2022 ne parlava). Ad esempio, un caso a Milano 2022: azienda X apre CN ad agosto, a novembre raggiunge intesa con 50% creditori, non abbastanza per accordo, allora a dicembre deposita concordato preventivo con quel piano e viene omologato a giugno 2023 con cram-down fiscale. Si è così utilizzato il meglio di entrambi.
    • Il “concordato in bianco” continua ad essere utilizzato in alcune situazioni insieme ad accordi: imprese che non fanno in tempo a negoziare depositano una riserva per bloccare creditori e intanto trattano un 182-bis. Questo va bene se genuino (Cass. 13418/2023 docet, se è palesemente per rinviare e basta, viene stoppato).
    • Gruppi d’imprese: il CCII prevede la possibilità di accordi o concordati di gruppo, con trattazione unitaria (artt. 284-292). Ci sono state prime applicazioni di concordati di gruppo (Trib. Velletri 09/07/2024, gruppo società pubbliche, ha stabilito competenza tribunale capogruppo per liquidazione unitaria). Per gli accordi di gruppo, prassi ancora limitata ma possibile nominare unico attestatore e presentare accordi coordinati. Aspetto pratico: se un gruppo vuole fare accordo 182-bis, deve considerare ciascuna società separatamente se hanno debiti diversi, ma il tribunale può trattarli congiuntamente (per es. omologhe coordinate, competenza stesso giudice se accentra).
  • Statistiche e tendenze: Nel 2023 c’è stato un notevole aumento di:
    • Ricorsi alla composizione negoziata (centinaia di istanze depositate, con tassi di successo parziali: molti sfociano in liquidazione, ma alcuni in accordi).
    • Utilizzo di accordi ex 182-bis rispetto ai concordati: complici le norme più favorevoli (30% soglia, cram-down fiscale), molti debitori e banche preferiscono l’accordo omologato al concordato (considerato più lungo e incerto).
    • I concordati preventivi tradizionali restano, specialmente per ristrutturazioni dove occorre coinvolgere tantissimi creditori o dove c’è la necessità di vendere l’azienda in continuità (concordato con assuntore).
    • Il concordato semplificato è stato poco usato, riservato a PMI micro; alcune decine di casi solo. Ma viene ritenuto utile in situazioni disperate post-CN per evitare fallimenti costosi (il tribunale liquida in modo rapido e poi esdebitazione).
    • I piani attestati restano diffusi in forma “silenziosa”: spesso piccole ristrutturazioni bancarie bilaterali si fanno con un piano attestato, senza clamore. Non emergono nelle statistiche perché non serve tribunale. Una misura indiretta: osservatorio fiscale Osservatorio Crisis stima che l’utilizzo dell’esenzione art. 88 TUIR su piani attestati è aumentato (segno che se ne depositano di più al Registro Imprese per avere quell’esenzione).
  • Focus banche: Le banche italiane, anche su spinta regolamentare (linee guida BCE su gestione NPL), si sono organizzate con unità interne specializzate (credit workout) per gestire le crisi d’impresa. La prassi bancaria è evoluta: ora spesso appena un’impresa manifesta difficoltà, la banca preferisce entrare in negoziazione assistita (a volte sollecitando la composizione negoziata o una “sperimentazione” di pre-accordo). Ci sono stati protocolli di intesa tra ABI e CNDCEC per cooperare su piani attestati. Ad esempio, la prassi vuole che se un’azienda propone un piano attestato, le banche lo esaminino in 45-60 giorni e diano riscontro. Insomma, un clima più collaborativo rispetto al passato, grazie anche al quadro normativo che offre più garanzie (prededuzione, esenzione revocatoria).

In conclusione, la giurisprudenza recente conferma e raffina l’applicazione della riforma, chiarendo punti incerti (privilegi, cram-down, abuso dello strumento, ecc.) e la prassi operativa si sta adeguando: le imprese conoscono di più questi strumenti, i professionisti li sanno manovrare e i creditori istituzionali li accettano come normali. Il sistema della crisi d’impresa al maggio 2025 appare quindi in fase di consolidamento – con margini di miglioramento ed alcuni nodi interpretativi ancora pendenti (saranno risolti man mano da pronunce di merito e, in futuro, dalla Cassazione sulla nuova legge).

Le seguenti tabelle sintetizzano le caratteristiche principali e le differenze tra gli strumenti esaminati, per una visione d’insieme.

Tabelle Comparative degli Strumenti

Tabella 1 – Panoramica dei principali strumenti di ristrutturazione (giudiziali e stragiudiziali)

Strumento Tipo Presupposti (stato impresa) Soglia di adesioni Coinvolgimento del giudice Effetti sui creditori dissenzienti Professionista indipendente
Concordato preventivo Giudiziale (concorsuale) Crisi o insolvenza; richiesta al Tribunale ex art. 84 CCII. Continuità o liquidatorio. Approvazione con voto in ogni classe (maggioranza >50% crediti votanti); se classi negative, poss. cram-down art. 112. Sì – Procedura intera dinanzi al Tribunale: apertura, commissario, voto, omologazione. Vincola tutti i creditori se omologato (anche chi ha votato contro), salvo eccezioni per garanzie personali non escusse. Sì – Attestazione obbligatoria sul piano e sulla convenienza rispetto al fallimento.
Concordato “semplificato” Giudiziale (concorsuale) Insolvenza; solo se composizione negoziata conclusa senza soluzioni (art. 25-sexies). Liquidatorio puro (cessione beni). Non è previsto voto dei creditori (viene omologato direttamente se requisiti ok). Sì – Ricorso al Tribunale per omologa, ma senza fase di voto né classi; nomina liquidatore giudiziale. Tutti i creditori sono soddisfatti proporzionalmente secondo il piano liquidatorio omologato; non c’è voto quindi dissentire non conta, ma possono fare opposizione pre-omologa. Sì – Attestazione richiesta sulla veridicità dei dati e stima valori di realizzo (anche se manca voto, serve per omologa).
Liquidazione giudiziale Giudiziale (liquidatoria) Insolvenza conclamata; apertura ex art. 121 CCII (sentenza dichiarativa). – (Procedura d’ufficio, non c’è accordo né voto). Sì – tribunale nomina curatore, procedure esecutive collettive. I creditori sono soddisfatti secondo grado di privilegio sul ricavato; pagamenti preferenziali pre-procedura revocati. Dissenzienti non rileva (non c’è accordo). No (il curatore verifica passivo; nessuna attestazione perché non c’è piano).
Composizione negoziata Stragiudiziale assistito Crisi (anche iniziale) di qualsiasi impresa. Attivabile volontariamente dall’imprenditore. Nessuna soglia formale di adesioni (è negoziazione libera). No, salvo eventuale intervento del giudice per misure protettive o finanziamenti prededucibili (su richiesta). Nessun effetto cogente sui non partecipanti: accordo volontario solo tra chi firma. Se non si trova accordo, i creditori restano liberi (salvo misure protettive temporanee durante la CNC). No attestatore formale – c’è un esperto nominato che aiuta ma non assevera piani (la sua relazione finale non è attestazione, è un report).
Piano attestato di risanamento Stragiudiziale Crisi o insolvenza reversibile. (Impresa deve poter essere risanata). Nessuna procedura pendente. Nessuna soglia legale; in pratica serve l’adesione dei creditori “rilevanti” (si cerca consenso ampio ma non serve unanime). No – Il piano è privato. Involucro giudiziario solo se il debitore sceglie di pubblicarlo per gli effetti protettivi. Vincola solo i creditori che vi aderiscono contrattualmente. I non aderenti non sono coinvolti (mantengono i loro diritti integri). Beneficio: atti e pagamenti in esecuzione del piano non revocabili in futuro. Sì – Attestazione obbligatoria da parte di indipendente su veridicità dati e fattibilità del piano. (Elemento cardine per efficacia e esenzioni fiscali).
Accordo di ristrutturazione (art.57) Stragiudiziale (con fase finale giudiziale) Crisi o insolvenza. Presentazione al Tribunale per omologa con crediti ≥60% consenzienti. 60% del totale dei crediti (ordi.) in valore deve aderire. 30% se “agevolato” senza misure protettive né dilazioni forzose. Sì – giudice interviene per omologare. Prima e dopo l’omologa però è trattativa privata. (Possibile misura protettiva ex art.54 durante omologa). Se non omologato: vincola solo firmatari. Se omologato: vincola anche creditori estranei per quanto riguarda il divieto di azioni esecutive fino a pagamento integrale. Non aderenti devono comunque esser pagati integralmente entro max 120gg scadenza (per legge). Possibile estensione ai non aderenti della stessa categoria se 75% di essa ha aderito (art.61, effic. estesa). Sì – Attestatore indipendente certifica: dati veritieri + piano fattibile + pagamento integrale dei creditori estranei nei termini di legge.
Accordo di ristrutturazione “agevolato” Stragiudiziale (con omologa) Come sopra (art.57), ma l’impresa non richiede misure protettive né nuova finanza prioritaria ecc. 30% del totale crediti. (Solo se estranei non subiscono modifiche dei loro diritti, oltre all’attesa del pagamento integrale). Sì – omologa richiesta; nessun uso potere pubblico (protettive) prima. Uguale agli accordi ordinari: i non aderenti vanno pagati come da legge, accordo li vincola solo in quanto omologato. (Non estende dilazioni ai non aderenti). Sì – come sopra, attestazione sui requisiti di pagamento integrale estranei ecc. (Attestazione identica; semplicemente la soglia di consenso è ridotta per legge).
Accordo ad efficacia estesa (art.61) Natura mista: negoziale + giudiziale per l’estensione Informalmente come accordo 60%. Applicabile a categorie di creditori finanziari omogenei. Necessario: 75% dei crediti di quella categoria aderiscano. Sì – deposito al Tribunale e richiesta di estensione in sede di omologazione (è il giudice che la concede). I creditori dissenzienti di quella categoria sono vincolati al piano omologato, purché: siano stati informati e coinvolti; ricevano almeno quanto avrebbero in liquidazione; non siano loro imposti obblighi aggiuntivi (nuovi finanziamenti o proroghe fidi). Sì – L’attestazione originaria deve coprire anche la condizione di convenienza per i dissenzienti (nessun pregiudizio rispetto a fallimento).
Convenzione di moratoria Stragiudiziale temporaneo Crisi transitoria di liquidità. Spesso utilizzato in composizione negoziata. 75% dei crediti di quella categoria omogenea devono aderire. No intervento giudice ex ante. Solo eventuale in caso di opposizioni: giudice decide sull’efficacia verso contrari. Se non oppongono: vincola anche i non aderenti della categoria, che non potranno pretendere pagamenti né agire in via esecutiva per la durata convenuta. Attenzione: ai non aderenti non si può imporre di dare nuove prestazioni o mantenere aperte linee di credito. Sì – Necessario attestatore indipendente che attesti: veridicità dati, idoneità della convenzione a gestire la crisi provvisoriamente e che i non aderenti non siano pregiudicati rispetto a fallimento.
Piano di ristrutturazione soggetto a omologazione (PRO) Ibrido: proposta del debitore con omologa giudiziale Crisi o insolvenza. Il debitore deposita un piano unilaterale ex art.64-bis CCII, con classi di creditori. Approvazione (anche tacita) a maggioranza dentro ciascuna classe di creditori. (Maggioranza >50% crediti per classe). Se tutte le classi votano sì, va in omologa. Se no, poss. cram-down. Sì – Procedura presso Tribunale, senza commissario ex lege (ma può nominarne). Il tribunale omologa se tutte classi ok o se condizioni per cram-down interclassi (art.64-ter) sono rispettate. Omologato: è vincolante per tutti i creditori inclusi nel piano, anche classi dissenzienti se il giudice applica cram-down. Condizioni cram-down: almeno una classe favorevole; classi dissenzienti non trattate peggio che in fallimento; rispetto priorità relative (nessuna classe inferiore ottiene più di una superiore). Sì – Obbligatorio. Attestazione indipendente su: veridicità dati e che il piano offre ai creditori un soddisfacimento non inferiore all’alternativa liquidatoria (best interest test) e che è sostenibile. Necessaria per omologa.

(Legenda: “Coinvolgimento del giudice” indica se è necessaria una procedura formalizzata; “professionista indipendente” indica se è previsto un attestatore o esperto e il tipo di attestazione richiesta.)

Note alla Tabella 1:

  • Il concordato preventivo può essere in continuità aziendale (prosecuzione attività, con pagamento creditori preferibilmente da flussi generati) o liquidatorio (cessione beni). Nel concordato in continuità è ammesso (dal 2022) un certo cram-down fiscale (art. 88 co.2-bis CCII) se Fisco dissenziente, e anche cram-down interclassi limitato se >50% classi approvano (ancora dibattuto).
  • Il concordato semplificato è senza voto, ma i creditori possono fare reclamo contro il decreto di omologa, e il tribunale verifica comunque che non siano trattati ingiustamente.
  • L’accordo 182-bis “agevolato” al 30% è privo di misure protettive: se il debitore vuole la protezione (automatic stay), torna ad applicarsi soglia 60%.
  • Nell’accordo ad efficacia estesa (art.61), la convenienza dei dissenzienti dev’essere attestata e valutata: in pratica, se i dissenzienti di categoria prendono almeno quanto in caso di fallimento (spesso integrale se garanzia capiente, o % se chirografo su stima attivo), allora l’estensione può essere concessa. Esempio: banche 80% fanno accordo, 20% banca dissenziente, il tribunale estende purché la banca dissenziente riceva almeno es. 40% come in fallimento e non le si chieda di erogare nuovi fidi o simili.
  • La convenzione di moratoria non modifica l’ammontare dei debiti: appena finisce la moratoria, i creditori (tutti) hanno diritto a capitale + interessi come da contratto originario (salvo diversi patti). Serve solo a sospendere temporaneamente obblighi e azioni. Solitamente si conviene anche che gli interessi maturati nel periodo siano capitalizzati o meno (es. “interessi di moratorio non conteggeranno penali aggiuntive”).
  • Il PRO è uno strumento nuovo: la tabella riflette i requisiti formali (tutte le classi devono approvare, oppure giudice impone con cross-cram). In pratica, tutte le classi dissenzienti devono essere “crammed-down” affinché l’omologa passi, quindi il tribunale valuta ciascuna classe contraria rispetto ai criteri di equità e priorità. Nel primo caso PRO (Vicenza 2023) ciò è avvenuto.

Tabella 2 – Confronto focalizzato tra strumenti stragiudiziali (Piano attestato, Accordo di ristrutturazione, Convenzione di moratoria, Composizione negoziata)

Caratteristica Piano Attestato (art.56) Accordo di Ristrutturazione (art.57) Convenzione di Moratoria (art.62) Composizione Negoziata
Obiettivo principale Risanamento integrale dell’impresa tramite accordo volontario e asseverato, senza tribunale. Ristrutturazione debiti con effetto legale erga omnes (post-omologa) evitando fallimento. Sospendere provvisoriamente le obbligazioni per superare crisi di liquidità di breve periodo. Favorire trattative tra debitore e creditori con assistenza esperto per trovare qualsiasi soluzione (accordo o procedura).
Durata tipica Orizzonte medio-termine (2-5 anni di piano industriale). Medio-termine (piano pluriennale simile a concordato, 3-5 anni; formalità in tribunale entro 6-12 mesi). Breve termine (6-12 mesi di moratoria; proroghe eventuali modeste). Variabile: negoziazione max 6-9 mesi (per legge inizialmente 3 + possibili estensioni). L’accordo risultante può avere durata variabile.
Vincolatività Solo contrattuale (solo parti che sottoscrivono). Contrattuale → diviene vincolante per tutti i creditori coinvolti se omologato (dissenzienti compresi, come da legge). Se approvata da 75% e non opposta, vincola l’intera categoria (anche minoranza). Volontaria: i creditori non sono obbligati a concludere accordi; se non si raggiunge un accordo, nessun vincolo imposto.
Protezione da azioni esecutive Nessuna automatica. (Possibile pubblicazione piano per esenzione revocatoria, ma non blocca pignoramenti). Debitore può in parallelo ricorrere a concordato in bianco per stay, ma non è intrinseco allo strumento. Sì, se presentata domanda omologazione: da pubblicazione presso Registro imprese, scatta stay ex art.54 CCII (come concordato) sui creditori aderenti e, su richiesta, anche sui non aderenti. Dopo omologa, i creditori estranei non possono eseguire finché non scade termine pagamenti accordo. Sì, limitatamente ai crediti in moratoria: i non aderenti informati non possono iniziare o proseguire azioni esecutive durante la sospensione. (Se oppongono e vincono, no stay; se perdono opposizione, stay confermato). Sì, ma solo se debitore lo richiede al tribunale: misure protettive temporanee (moratoria legale generale fino a max 12 mesi). Altrimenti procedura riservata senza alcun stay automatico.
Effetti su garanzie e crediti terzi Operazioni esecutive del piano non revocabili (anche se a favore di creditori particolari). Terzi garanti (fideiussori) restano obbligati per intero salvo diverso accordo (anche se giurisprudenza inizia a esonerarli in caso di adesione ampia). Se omologato, i creditori non aderenti non possono far valere eventuali riserve su garanzie reali generali? (Le garanzie di terzi non sono liberate salvo accordo – ad es. fideiussore può essere escusso per quota falcidiata se non previsto diversamente). Norme speciali: in ADR il socio illimitatamente responsabile può essere incluso nell’accordo per liberarlo dai debiti sociali se creditori concordano. Nessun effetto permanente. Garanzie restano valide, solo non escutibili nel periodo. Ad es. un’ipoteca rimane, ma la banca aspetta a eseguire. Se scade moratoria e non si paga, garanzie attivabili normalmente. Nessun effetto diretto su garanzie. Durante negoziazione, debitore e creditori possono accordarsi informalmente di non escutere garanzie (spesso lo fanno). Il tribunale può autorizzare sospensione di azioni su istanza del debitore (simile a misure protettive).
Coinvolgimento Enti Pubblici (Fisco/INPS) Possibile includerli con richiesta di rateazione ordinaria o integrale pagamento (non possono stralciare fuori da transazione). Se piano pubblicato e adempiono, eventuali interessi moratori condonati diventano sopravvenienze attive esenti. Possibile transazione fiscale e contributiva (art.63): si può prevedere stralcio di interessi e sanzioni, e anche di IVA/ritenute (con condizioni). Se Erario/INPS non aderiscono ma piano li soddisfa >= liquidazione, tribunale può omologare lo stesso (cram-down fiscale). Se riguardasse debiti verso Erario (raro), questi dovrebbero essere informati e se 75% (es. altri enti) aderisse, si potrebbe tentare estensione. Poco probabile scenario: più adatto a banche. Possibile coinvolgere Agenzia Entrate e INPS nelle trattative; hanno facoltà di aderire a rimodulazioni (rate, attesa) ma non a riduzioni (serve transazione fiscale formale). Spesso si invitano a tavolo: DL 118/2021 ha introdotto soglie per cui AE e INPS “segnalano” e propongono piani di rateazione su importi ridotti.
Costi Costo attestatore (significativo, dipende da complessità) + eventuali advisor. No contributi unificati di tribunale. Incentivi fiscali: esenzione sopravvenienza attiva (nessuna imposta su condoni). Costi di advisor + attestatore comparabili al piano attestato. Inoltre contributo unificato per omologa (di norma qualche centinaio di euro) e spese pubblicazione. Eventuali compensi legali e del commissario se nominato ad hoc. Comunque meno costoso di concordato (niente commissario permanente né adunanza). Minimi: costo attestatore (comunque serve relazione professionale) + eventuale legale per notifiche/comunicazioni. Non c’è procedura se non opposizione (in tal caso spese legali). Spesso coinvolta in composizione negoziata, quindi parte di quell’attività. Costo limitato all’esperto (compenso stabilito da d.m., a carico debitore salvo sovvenzioni) e agli eventuali consulenti che il debitore usa. Non ci sono spese giudiziali se non per richieste specifiche (misure protettive – contributo unificato ridotto). È lo strumento più economico di partenza.

Note alla Tabella 2:

  • Il piano attestato è spesso scelto per evitare la pubblicità del tribunale e mantenere rapporti distesi: i creditori apprezzano l’attestazione come garanzia. Il suo limite è la mancanza di efficacia sugli estranei (es. se c’è una banca dissenziente grossa, può far saltare tutto con un’azione individuale).
  • L’accordo di ristrutturazione offre un equilibrio: richiede formalità ma garantisce effetto legale generale. È indicato per debiti finanziari e strutture più complesse. Va considerato che se serve ristrutturare anche i debiti verso fornitori diffusi, forse meglio il concordato (che li coinvolge con voto).
  • La moratoria conviene quando si prevede che entro un anno la situazione migliorerà (es. stagione turistica successiva, incasso crediti importanti, consegna di un progetto che darà entrate, ecc.). Non risolve se l’azienda è strutturalmente insolvente, in quel caso è solo rimandare l’inevitabile (ed eventualmente predisporre un piano più solido).
  • La composizione negoziata è spesso un primo passo: i suoi esiti possibili includono gli altri strumenti (piano, accordo, concordato semplificato). Dunque non è comparabile in termini di risultato finale (che dipende dall’accordo che si raggiunge), ma in tabella abbiamo indicato come funziona di per sé.

Tabella 3 – Ulteriori confronti (Tempi di omologazione, Percentuale di soddisfacimento tipica, Conseguenze in caso di fallimento successivo)

Parametro Concordato Preventivo Accordo di Ristrutturazione PRO (Piano omologato) Piano attestato
Tempo per ottenere approvazione ~6-12 mesi (dalla domanda all’omologa, dipende complessità, inclusi tempi di voto e eventuali appelli). ~4-6 mesi (dalla presentazione accordo al decreto di omologa, se non opposizioni forti). Più tempo prima per negoziare privatamente. ~3-5 mesi (se consenso classi c’è, iter più rapido poiché no adunanza; possibili ritardi se opposizioni). Strumento nuovo, stime basate su prime applicazioni. ~1-3 mesi per predisporre piano + attestazione. (Non c’è omologa, solo eventuale pubbl. registro imprese). Può essere molto rapido se situazione chiara.
Percentuale tipica di soddisfacimento creditori chirografari Variabile: in continuità spesso 20-50%; in liquidazione minima 0% (salvo 10% se fallim. conversione, requisito vecchia legge abolito). Cassazione richiede rispetto regole priorità assoluta (privilegiati non falcidiati oltre incapienza). Dipende dall’accordo. Spesso più alta che nel concordato corrispondente, perché coinvolgendo meno creditori si tende a offrire condizioni migliori a chi aderisce. (E i dissenzienti esterni vengono pagati 100%). Es: banche in ADR ricevono 70% vs magari 40% in ipotesi concordato – differenza è che fornitori fuori accordo prendono 100%. Può essere molto flessibile: alcune classi potrebbero ricevere 0% (se debitore dimostra che in liquidazione sarebbero zero) mentre altre 100%. L’importante è che ogni classe non scenda sotto la linea del best interest e che almeno una classe “vicina” approvi. Casi sperimentali hanno visto offrire 20-30% ai chirografi con soci che mantengono quota capitale (cosa ardua in concordato). Idealmente 100% (si punta a soddisfare integralmente tutti i creditori aderenti nel tempo). Di fatto a volte include stralci (es. banche rinunciano a interessi, o una percentuale di capitale) ma formalmente i creditori consenzienti accettano, quindi non si parla di percentuale imposta: è negoziata.
Se l’impresa fallisce dopo (concordato liquidazione giudiziale posteriore) Se il concordato viene revocato o risolto e si apre liquidazione giudiziale: pagamenti ricevuti dai creditori chirografari possono essere soggetti a revocatoria fallimentare se entro 6 mesi da domanda concordato? No, il pagamento ricevuto in esecuzione di concordato omologato non è revocabile. Creditori non soddisfatti integralmente nel concordato però non possono chieder differenza in fallimento (sono esdebitati per quella parte). Se l’accordo omologato non viene adempiuto e si finisce in liquidazione giudiziale: i creditori aderenti mantengono quanto incassato (non revocabile) e partecipano per il residuo come chirografari (salvo pattuizioni di rinuncia). Creditori estranei, se sono stati pagati integr., non stanno più in fallimento; se non ancora pagati integralmente (perché l’accordo è saltato prima), concorrono per quanto residuo e possono far valere cause di prelazione originarie. (Art. 14 DL 83/2015 prevedeva esdebitazione estesa ai coobbligati solo a certe condizioni – da verificare in CCII). Se PRO omologato non va a buon fine e c’è fallimento: analogamente a concordato, credo valga esenzione revocatoria per atti eseguiti, e creditori concorrono per differenze. Non essendo votato, non c’è un effetto remissione come nel concordato? Probabilmente sì: l’omologa del PRO rende definitivi gli stralci accordati (i creditori per la parte falcidiata non dovrebbero poter chiedere in fallimento, salvo il PRO stesso preveda condizionalità). Tema che sarà oggetto di interpretazione: un PRO omologato è come un concordato omologato ai fini art. 290 insolvenza – quindi credo di sì, se risolto il PRO via a fallimento, i creditori originari tornano con i diritti originali detratto quanto incassato? Potrebbe anche valere come esdebitazione parziale…). Se, malgrado il piano attestato, l’impresa poi fallisce, i pagamenti eseguiti in esecuzione del piano restano definitivi e non revocabili (purché piano idoneo ex art. 56). Quindi i creditori aderenti non devono restituire nulla al fallimento. I creditori che hanno rinunciato a parte credito non possono insinuare per quella parte condonata (hanno firmato remissione parziale). Eventuali creditori estranei concorrono per intero. Attenzione: se il tribunale dichiarasse il piano inefficace (es. perché attestazione falsa), allora protezione revocatoria salta.

(La riga sul PRO in caso di fallimento posteriore contiene considerazioni incerte, data la novità. Probabilmente, analogamente al concordato, i crediti vengono cristallizzati come da piano omologato.)

Le tabelle sopra forniscono una sintesi comparativa. Ogni situazione aziendale è unica e la scelta dello strumento dipende da molteplici fattori: struttura del debito (numero di creditori, tipologie, presenza di crediti pubblici), urgenza di protezione, fattibilità del piano di risanamento, livello di consenso raggiungibile, nonché costi e impatti su reputazione e operatività.

Di seguito, rispondiamo ad alcune domande frequenti che professionisti e imprenditori si pongono in materia di ristrutturazione del debito bancario.

FAQ – Domande e Risposte sulla Ristrutturazione del Debito

D: Qual è la differenza principale tra un concordato preventivo e un accordo di ristrutturazione dei debiti?
R: Entrambi mirano a ristrutturare il debito evitando la liquidazione fallimentare, ma il concordato preventivo è una procedura giudiziale formale: richiede l’istanza al Tribunale, la nomina di un commissario e soprattutto il voto di tutti i creditori (per classi o in adunanza) e l’omologazione giudiziaria. Invece, l’accordo di ristrutturazione ex art.57 CCII è in gran parte negoziato privatamente: il debitore deve convincere solo una maggioranza qualificata (60% o 30%) di creditori a firmare un accordo; poi c’è un intervento del Tribunale che omologa l’accordo, conferendogli efficacia verso tutti. Quindi, nel concordato c’è un coinvolgimento ampio e “democratico” dei creditori (che possono essere trascinati dalla maggioranza), mentre nell’accordo 182-bis c’è più selettività (si tratta con i principali, gli altri sono garantiti perché devono essere pagati integralmente). Il concordato inoltre offre strumenti come la possibilità di liquidare l’azienda sotto controllo o di cram-down interclassi in certe condizioni, ed è indispensabile se non si riesce ad ottenere fuori dal tribunale il consenso sufficiente. In breve: concordato = procedura concorsuale con voto creditori, accordo = contratto con creditori principali + omologazione giudice.

D: Nel concordato preventivo, come funziona il “cram-down fiscale” se il Fisco non aderisce?
R: Nel passato, il voto negativo dell’Agenzia delle Entrate o dell’INPS poteva bloccare un concordato perché i crediti fiscali e contributivi (che spesso sono consistenti) contano come una classe separata di solito. Oggi però il CCII ha introdotto un meccanismo di cram-down fiscale: in un concordato in continuità, l’art. 88 comma 2-bis CCII consente al Tribunale di omologare il piano anche senza l’adesione del Fisco (e degli enti previdenziali) a una transazione fiscale, purché due condizioni siano soddisfatte: (1) l’adesione dell’Erario sarebbe determinante per raggiungere le maggioranze di legge (quindi il suo voto contrario è effettivamente l’unico ostacolo); (2) sulla base dell’attestazione, la proposta di concordato è “conveniente” per il Fisco rispetto alla liquidazione. In pratica, se nel piano il Fisco prende almeno quanto prenderebbe in caso di fallimento del debitore, il giudice può forzare l’omologa ignorando il suo voto contrario. Ciò supera eventuali atteggiamenti ostruzionistici dell’Amministrazione finanziaria, garantendo però che essa non sia danneggiata (deve ricevere il fair value). Questo stesso criterio vale nel concordato liquidatorio (art. 80) per la parte di transazione fiscale: i crediti fiscali e contributivi non possono avere un trattamento inferiore a quello che avrebbero in caso di fallimento. Il cram-down fiscale è stato applicato per la prima volta in alcune sentenze recenti, come Tribunale di Cagliari 2024 che ha omologato un accordo 182-bis nonostante l’opposizione dell’AE. Insomma, oggi il Fisco non ha più potere di veto assoluto: se la proposta è ragionevole e migliorativa rispetto al default, il concordato può passare anche con il suo “no”.

D: Come si calcola esattamente il quorum del 75% nell’accordo ad efficacia estesa per le banche?
R: Il quorum del 75% (art. 61 CCII) si riferisce a ogni singola categoria di creditori omogenei. Per poter chiedere l’estensione dell’accordo ai non aderenti di quella categoria, occorre che i creditori che hanno aderito possiedano almeno il 75% dei crediti in quella categoria. Ad esempio, se consideriamo la categoria “banche chirografarie”, e il totale dei crediti bancari chirografari è 100, bisogna che banche con almeno 75 crediti complessivi abbiano firmato l’accordo. Questo calcolo considera le posizioni in aggregato: se una banca ha più linee di credito, si sommano. Quindi, come descritto anche in giurisprudenza, “se esistono 100 creditori di una certa categoria per un importo totale di 1.000.000, è necessario che i creditori firmatari rappresentino almeno 750.000 di debiti in quella categoria”. La percentuale è in valore, non in numero di creditori. Attenzione che la categoria va definita in modo omogeneo per causa di prelazione: non si può sommare mele con pere, ma tipicamente “banche unsecured” è una categoria. Se il 75% è raggiunto, il giudice in sede di omologa può estendere l’accordo a quelle banche dissenzienti che rappresentano il restante 25%, a condizione che il loro trattamento nel piano sia almeno pari a quello che otterrebbero in caso di fallimento del debitore. In pratica, non vengono penalizzate rispetto allo scenario di default.

D: È vero che nell’accordo di ristrutturazione non si può obbligare i creditori non aderenti a nuovi pagamenti o garanzie?
R: Sì, esatto. L’art. 61, comma 4 CCII (ripreso dall’art. 182-septies L.F.) vieta espressamente di imporre ai creditori non aderenti “l’esecuzione di nuove prestazioni, la concessione di affidamenti o il mantenimento di disponibilità di linee di credito, o l’erogazione di nuovi finanziamenti”. Ciò significa che un accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa non può prevedere, per i creditori che non hanno firmato, obblighi aggiuntivi rispetto a quanto avevano già per contratto. Possono solo essere vincolati passivamente al contenuto dell’accordo. Ad esempio, non si può costringere una banca dissenziente a mantenere aperto un fido oltre la scadenza originaria o ad erogare ulteriore credito. Puoi però sospenderle il diritto di escutere immediatamente per la quota di credito esistente, se rispetti le condizioni (informazione, 75% altri aderenti, etc.). In altre parole: il creditore non aderente può essere ritardato nel suo incasso, ma non può essere costretto a dare qualcosa in più di quanto avrebbe dovuto originariamente. Questa regola serve a proteggere i non firmatari da “sorprese contrattuali” – come notato, per esempio, da giuristi il non aderente non può essere messo in una posizione peggiore rispetto al contratto iniziale se non per la dilazione o riduzione prevista, e comunque deve essergli garantito il minimo fallimentare. La violazione di questa regola comporterebbe il diniego dell’estensione da parte del Tribunale.

D: In che modo il professionista indipendente influenza le procedure di ristrutturazione?
R: Il professionista indipendente, detto anche attestatore, è figura cruciale nei piani e accordi di ristrutturazione. Egli svolge diversi ruoli:

  • Nel concordato preventivo, accordo ex art.57 e PRO, redige la relazione di attestazione prevista dalla legge, certificando la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità/attendibilità del piano proposto. Senza la sua relazione positiva, il Tribunale non ammette o non omologa la procedura, perché la legge ne fa un requisito. In più, attesta la convenienza del piano per i creditori (cioè che prenderanno almeno quanto in alternativa liquidatoria).
  • Nel piano attestato di risanamento, l’indipendente assevera il piano, che altrimenti sarebbe solo un documento unilaterale del debitore; la sua attestazione serve da “sigillo di affidabilità” per i creditori e attiva le protezioni (esenzione da revocatoria, esenzione fiscale).
  • Nella convenzione di moratoria, l’attestatore verifica che la moratoria non danneggi i creditori dissenzienti e che sia un rimedio temporaneo adeguato, rendendo possibile l’estensione agli estranei.
  • Persino nella composizione negoziata, pur non essendoci una “attestazione” formale, l’esperto indipendente nominato (che è anch’egli un professionista terzo) influenza l’esito: analizza il piano proposto, formula osservazioni, e dal suo giudizio finale (positivo o negativo) dipende molto la posizione di creditori e tribunale (ad es. se l’esperto conclude che non c’è soluzione, difficilmente l’impresa convincerà qualcuno).

In sintesi, il professionista indipendente è il “guardiano della verità e fattibilità” nel processo di ristrutturazione: grazie alle sue competenze economico-aziendali, valida i piani e fornisce garanzie ai creditori che i numeri siano corretti e la proposta sensata. Questo crea fiducia e consente anche al giudice – che non ha know-how aziendale – di basarsi sulla sua relazione per decidere. Ovviamente, l’attestatore deve essere indipendente (niente conflitti, nessun rapporto negli ultimi anni col debitore o parti correlate) e può essere chiamato a rispondere civilmente e penalmente se attesta il falso o con negligenza grave. In tal senso, il suo ruolo è simile a quello di un perito super partes: influenza di molto l’andamento delle procedure. Ad esempio, se attesta che la proposta è conveniente, i creditori avranno difficoltà a dimostrare il contrario; se attesta che i dati non sono attendibili, difficilmente un concordato verrà ammesso. La Cassazione ha spesso sottolineato il ruolo “chiave di volta” dell’attestazione nei concordati e accordi.

D: Quando si può avviare la composizione negoziata e cosa la distingue formalmente da una procedura concorsuale?
R: La composizione negoziata della crisi può essere attivata in qualsiasi momento in cui l’imprenditore rilevi sintomi di crisi o squilibri patrimoniali/finanziari. Non occorre attendere l’insolvenza conclamata: anzi, è pensata come strumento precoce, attivabile anche solo di fronte a “ragionevoli segnali di difficoltà” (es. flussi di cassa tensionati, perdite significative di patrimonio, indici allerta interni fuori range). È volontaria: quindi la decide il debitore (non può essere imposta dai creditori né ordinata da un giudice). Formalmente si avvia depositando l’istanza sull’apposita piattaforma camerale e nominando l’esperto.

Ciò che impedisce di considerarla una procedura concorsuale è:

  • La CNC non comporta spossessamento né nomina di organi commissariali: l’esperto non amministra l’impresa, rimane esterna come figura di supporto.
  • Non c’è un giudice che sovrintende l’intero processo: il tribunale interviene solo se il debitore chiede misure protettive o provvedimenti specifici (es. autorizzazione a finanziamenti).
  • Non produce effetti generali sui creditori di per sé: se il debitore e un creditore non trovano un accordo, il creditore è libero di agire (salvo protective stay temporaneo se richiesto) e non subisce una falcidia imposta.
  • Riservatezza: la CNC si svolge in modo confidenziale; non c’è pubblicità legale dell’avvio (diversamente dal concordato, la cui apertura è pubblicata e nota ai terzi). Questo favorisce la continuità operativa senza stigma.

In altre parole, la composizione negoziata è uno strumento volontario di negoziazione assistita, non un procedimento concorsuale coercitivo. Difatti, se la negoziazione fallisce, non c’è alcun provvedimento di chiusura da parte di un giudice: semplicemente l’esperto scrive una relazione finale e ciascuno è libero di decidere i passi successivi (il debitore può tentare un concordato, i creditori possono chiedere il fallimento, ecc.). Questo la distingue nettamente da concordati e fallimenti. Dal punto di vista giuridico, la CNC non è considerata procedura concorsuale neppure ai fini ad esempio penali (non fa scattare reati di bancarotta, etc., a meno che poi non segua un fallimento). Quindi è un contesto protetto per trattare in modo non vincolante, anche se può preludere a esiti concorsuali (es. concordato semplificato).

D: Quali sono le conseguenze contabili dell’estinzione anticipata di un debito in un piano di ristrutturazione?
R: Quando nell’ambito di un piano di ristrutturazione (concordato, accordo, piano attestato) un debito viene estinto parzialmente anticipatamente o con condizioni diverse, dal punto di vista contabile si applicano le norme sulla cancellazione o modifica di passività finanziarie. In pratica:

  • Se la modifica è significativa (ad esempio un taglio dell’importo del debito, o un allungamento con riduzione di tasso che comporta variazione di valore attuale >10%), la contabilità richiede di derecognizzare il debito originario e rilevarne uno nuovo. Ciò genera una sopravvenienza attiva a conto economico pari alla parte di debito condonata. Ad esempio, debito di 100 ridotto a 60 comporterà un ricavo straordinario di 40 nell’esercizio in cui si perfeziona l’accordo. Come discusso, questo ricavo non sarà tassato se l’operazione rientra in quelle agevolate, ma in bilancio appare e aumenta l’utile netto.
  • Se la modifica invece è non sostanziale (ad esempio si spostano solo le scadenze di qualche mese o si abbassa un po’ il tasso, con differenza di valore attuale <10%), allora si contabilizza come una ristrutturazione del debito senza estinzione: il debito rimane iscritto, ma il suo valore viene rettificato attualizzando i nuovi flussi. L’eventuale differenza rispetto al valore di libro viene spalmata come nuovo interesse effettivo. In altre parole, non c’è ricavo immediato, ma i costi per interessi futuri saranno diversi (in base al nuovo tasso effettivo).
  • Nel bilancio del debitore, dunque, vedremo spesso comparire in Nota Integrativa la dicitura di un utile da esdebitazione. Questo migliora i ratio patrimoniali (riduce l’indebitamento e aumenta il patrimonio netto). Ad esempio, a seguito di un concordato che stralcia il 50% dei chirografari, l’azienda uscirà con un patrimonio netto aumentato di quell’importo (salvo perdite pregresse assorbenti).
  • Nel bilancio dei creditori (specialmente banche), la parte di credito rinunciata diventa una perdita su crediti subito rilevata a conto economico (spesso già stanziata prima come fondo). Le banche IFRS trattano la ristrutturazione come forbearance e adeguano le loro classificazioni (spesso il credito ristrutturato rimane in stage 3 fino a prova di rientro regolare per un certo periodo).
  • Un aspetto contabile rilevante per il debitore è che la riduzione del debito migliora alcuni indici, ma potrebbe peggiorarne altri nel futuro: ad esempio, avendo meno debito il ROE (utile su patrimonio netto) potrebbe ridursi se quell’utile da condono è one-off. Inoltre, se c’è conversione debiti in capitale, il capitale sociale aumenta diluendo eventuali quote.

In termini di prassi contabile: l’OIC 19 recepisce i concetti IFRS sul calcolo del 10% test (anche se non letteralmente come IFRS9, la sostanza è simile). Quindi, come già accennato, se una ristrutturazione del debito modifica significativamente i flussi futuri, la prassi contabile prevede di trattarla come “estinzione e nuova emissione”. Ciò comporta il rilevare immediatamente l’impatto economico. Ad esempio, se riduco un debito, in contabilità tolgo l’intero debito vecchio e metto il nuovo debito a valore di mercato: la differenza è un provento (sopravvenienza attiva). Se invece sposto solo le rate avanti senza riduzioni, si ricalcola il piano di interessi senza toccare subito lo CE (ma i futuri interessi cambiano).

In sintesi, contabilmente un accordo di ristrutturazione “pulito” migliora il bilancio del debitore (meno debiti, spesso un utile straordinario) e registra una perdita per i creditori. Menzione importante: grazie alla normativa fiscale, quell’utile straordinario (sopravvenienza attiva) di regola non è tassato (art.88 TUIR) e quindi va a riserva in toto. Questo aiuta l’impresa risanata a ripartire con un patrimonio netto rafforzato e non intaccato da imposte su utili “virtuali”.

D: Nel concordato, come viene soddisfatto un socio illimitatamente responsabile (es. SNC o SAS)?
R: Nei concordati che riguardano società di persone (SNC, SAS) dove i soci hanno responsabilità illimitata, la disciplina prevede che la proposta di concordato possa includere disposizioni anche per i soci. In particolare, l’art. 86 CCII consente che il concordato preventivo estenda i suoi effetti anche ai soci illimitatamente responsabili, purché costoro siano stati parte del procedimento (devono aver partecipato e dato consenso). Dunque, se una SNC fa concordato, di norma i creditori sociali rinunciano a far valere l’eccedenza dei loro crediti anche sul patrimonio personale dei soci illimitatamente responsabili, a condizione che ciò sia espressamente previsto e che i creditori lo accettino col voto. Se invece non c’è questa previsione, i creditori, per la parte non soddisfatta dal concordato della società, potrebbero teoricamente agire sui soci. Tuttavia, la prassi e la giurisprudenza hanno ammesso concordati “estesi” ai soci: in tal caso, i soci vengono di fatto liberati dai debiti sociali residui come effetto del concordato. Questo è un tema tecnico: la proposta deve chiaramente indicare che la liberazione dei soci è condizionata all’omologazione e che i creditori votando sì vi acconsentono. Spesso si ottiene anche tramite accordi accessori – per esempio, i soci possono offrire un apporto di risorse personali al concordato in cambio della liberazione. La Cassazione (su L.F.) in passato lo ha ammesso se c’è convenienza per i creditori.

Negli accordi omologati di ristrutturazione, similmente, è possibile inserire clausole riguardanti soci garanti o obbligati solidali: ad esempio un socio illimitatamente responsabile può essere liberato se i creditori aderenti lo concordano e il tribunale omologa. Il Sole 24 Ore riportava che “gli accordi omologati possono comprendere disposizioni per i soci illimitatamente responsabili”. Quindi, in sostanza, i soci illimitati possono essere trattati come co-debitori che beneficiano della discharge concorsuale, purché ci sia trasparenza e consenso.

In un caso concreto: Alfa SNC presenta concordato dove offre ai chirografari 30%. I soci mettono sul piatto beni personali perché i creditori prendano quel 30%. Se il concordato è omologato, i creditori sociali (che in difetto avrebbero potuto chiedere il resto ai soci) non potranno più farlo, e i soci vengono di fatto esdebitati per i debiti sociali residui (come se anche loro avessero avviato concorso). Questo ovviamente non si applica a debiti personali dei soci estranei a quelli sociali.

Si noti che in SRL o SPA i soci non sono responsabili dei debiti sociali, quindi la domanda non si pone: i soci rischiano il capitale investito e quello possono perdere (spesso lo perdono). A volte i soci vengono coinvolti con manleva o patti parasociali, ma legalmente non serve occuparsi di loro nel concordato.

Fonti Normative e Giurisprudenziali

Qui elenchiamo le principali fonti normative (codici, leggi, decreti) e i riferimenti giurisprudenziali citati o rilevanti in materia di ristrutturazione del debito d’impresa al 2025:

Normativa Primaria (Codice e Leggi):

  • D.Lgs. 14/2019 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), in vigore dal 15 luglio 2022. Particolarmente rilevanti:
    • Art. 2 CCII: definizioni di stato di crisi, insolvenza, strumenti di allerta ecc..
    • Artt. 12-15 CCII: disciplina (originaria) degli strumenti di allerta e segnalazioni (attualmente sospesa e rivista).
    • Art. 17-25 CCII: Composizione negoziata della crisi e figura dell’esperto (come integrati da D.L.118/2021).
    • Art. 25-sexies e septies CCII: Concordato semplificato per la liquidazione (presupposti e nomina liquidatore).
    • Art. 56 CCII: Piano attestato di risanamento (contenuto e effetti).
    • Art. 57 CCII: Accordi di ristrutturazione dei debiti (requisiti di omologa).
    • Art. 60 CCII: Effetti dell’accordo omologato (vincolatività e divieto azioni esecutive).
    • Art. 61 CCII: Accordi ad efficacia estesa per gruppi di creditori (75%, condizioni).
    • Art. 62 CCII: Convenzioni di moratoria (ambito, requisiti, opposizioni).
    • Art. 63 CCII: Transazione fiscale e contributiva (in accordi e concordati) – include cram-down fiscale.
    • Art. 64 CCII: Trattamento crediti tributari nei concordati (continuità vs liquidazione).
    • Art. 64-bis CCII: Piani di ristrutturazione soggetti a omologazione – PRO (introdotto da D.Lgs. 83/2022).
    • Art. 64-ter CCII: Condizioni di omologazione del PRO (approvazione classi, cram-down interclassi).
    • Art. 80-88 CCII: Concordato preventivo – disciplina omologa, classi, cram-down (es. art. 88 co.2-bis su cram-down fiscale).
    • Art. 112-114 CCII: Maggioranze per approvazione concordato (50% crediti ammessi; regola per classi e eventuale cram-down se >50% classi favorevoli).
    • Art. 121-136 CCII: Liquidazione giudiziale (ex fallimento).
    • Art. 284-289 CCII: Concordato di gruppo (coordinamento procedure per gruppi di imprese).
    • Art. 390 CCII: Disciplina transitoria (rilevante per passaggio vecchio->nuovo).
  • D.L. 118/2021, conv. L. 147/2021 – Misure urgenti in materia di crisi d’impresa:
    • Introdotta Composizione Negoziata (artt. 2-17 DL 118/21, confluiti in CCII), con piattaforma telematica, elenco esperti.
    • Previsto Concordato semplificato (art. 18 DL 118/21, confluito art. 25-sexies CCII).
    • Sospesa entrata in vigore allerta obbligatoria OCRI.
  • D.Lgs. 147/2020 – Primo correttivo al CCII (in vigore 2022): correzioni tecniche, es. soglie nomina organi di controllo, chiarimenti su classi concordato.
  • D.Lgs. 83/2022 – Secondo correttivo (attuazione direttiva UE 2019/1023), in vigore 15 luglio 2022:
    • Ha inserito PRO (art. 64-bis CCII) e disciplina relative.
    • Introdotto accordi agevolati 30% (modifiche art. 57 CCII).
    • Potenziato ruolo esperto composizione negoziata (es. segnalazioni creditori pubblici).
    • Introdotto cram-down fiscale (nuovo art. 63 CCII).
    • Eliminato requisito 20% chirografi per concordati liquidatori da composiz.negoz..
  • D.Lgs. 83/2022 – Relazione Illustrativa (Giugno 2022) – utile per interpretazione: spiega scelta di sostituire allerta con comp.neg. nel codice.
  • D.Lgs. 136/2024 – Terzo correttivo (“correttivo-ter”), in vigore ottobre 2024:
    • Rafforzati meccanismi di allerta precoce (es. abbassato soglia segnalaz. IVA con DL 73/22).
    • Dettagliate condizioni transazione fiscale e contributiva (artt. 63-64 CCII).
    • Introdotta moratoria legale 2 anni per piani del consumatore (irrilevante imprese).
    • Semplificazioni concordato (maggiore elasticità modifica piani, reclamo atti GD).
    • Chiarimenti su contenuto piani attestati e requisiti omologazione (PRO).
    • Coordinamento con sovraindebitamento unificato (Titolo V CCII).
  • Codice Civile (modifiche):
    • Art. 2086 c.c. – Obbligo di assetti adeguati e rilevazione crisi (come da D.Lgs. 14/2019, anticipato dal 2019).
    • Artt. 2446-2447 c.c. – Gestione perdite rilevanti in spa (CCII consente sospensione adempimenti se pendono misure composizione negoziata).
    • Art. 182-bis, ter, septies L.F. – (norme della legge fall. previgente su accordi e transazioni fiscali) per riferimento storico.

Normativa Fiscale:

  • D.P.R. 917/86 (TUIR):
    • Art. 88 comma 4-ter TUIR – Esclusione da tassazione delle sopravvenienze attive derivanti da riduzione di debiti accordate in procedure concordatarie, accordi ex art.182-bis omologati e piani attestati pubblicati.
    • Art. 101 TUIR – Deduzione perdite su crediti; prevede che in caso di procedure concorsuali (concordato preventivo, liquidazione) o accordo di ristrutturazione omologato, la perdita è deducibile nell’esercizio di omologa (elemento certo e preciso).
    • Art. 26 D.L. 34/2020 – Ha introdotto le disposizioni (poi trasfuse in TUIR) sulle sopravvenienze attive esenti nei concordati e accordi.
  • D.Lgs. 147/2015 (decreto internazionalizzazione) – Rilevante per deduzione perdite su crediti in determinati casi di accordi stragiudiziali aventi efficacia esimente revocatoria.
  • Leggi speciali su IVA: art. 26 DPR 633/72 – Note di credito IVA in caso di procedure concorsuali (modificato da DL 73/2021: recupero IVA già dalla omologa del concordato senza attendere chiusura).

Giurisprudenza di Legittimità (Cassazione) – selezione:

  • Cass., Sez. I Civ., 18/05/2023, n. 13418: Concordato “in bianco” abusivo – conferma potere tribunale di dichiararne inammissibilità se usato dilatoriamente.
  • Cass., Sez. Unite Civ., 24/05/2021, n. 12154*: (non citata sopra, ma importante) – Sull’autonomia delle soluzioni negoziali e compatibilità con disciplina falsi in attestazioni (caso attestatori).
  • Cass., Sez. I Civ., 08/06/2020, n. 10884: Concordato – trattamento creditori privilegiati generali, limite falcidia (priorità assoluta).
  • Cass., Sez. I Civ., 08/07/2022, n. 21901: Sui requisiti di omologazione accordi di ristrutturazione e controllo giudice su convenienza (post direttiva).
  • Cass., Sez. I Civ., 17/06/2021, n. 17095: Attestazione – doveri attestatore e valutazione veridicità dati, responsabilità per negligenza grave.
  • Cass., Sez. I Civ., 07/07/2023, n. 18021: Concordato semplificato – ribadisce natura residuale subordinata a CN fallita.
  • Cass., Sez. I Civ., 30/01/2019, n. 2705: accordo 182-bis – sul pagamento integrale creditori estranei entro 120 gg, natura perentorietà.
  • Cass., Sez. I Civ., 29/01/2016, n. 1869: accordo 182-bis – su trattamento creditori non aderenti e insindacabilità merito omologa se requisiti formali ok.
  • Corte Costituzionale, sent. 21/09/2023 n. 190: Questione di legittimità costituzionale art. 25-novies CCII (segnalazioni obblighi Fisco) – dichiarata infondata/inammissibile.
  • Corte Costituzionale, sent. 19/01/2024 n. 6: Legittimità art. 268 co.4 lett.b) CCII (esdebitazione automatica dopo 3 anni beni sopravvenuti) – confermata, bilanciata con art. 2740 c.c. (fresh start).

Giurisprudenza di merito – sentenze e decreti rilevanti:

  • Trib. Milano, Sez. Fall., decr. 08/08/2022: Omologazione accordo ristrutturazione con creditore fiscale dissenziente – primo caso di applicazione art. 63 CCII in Milano (v. note IlCaso.it).
  • Trib. Mantova, decr. 08/08/2022: Transazione fiscale in concordato in continuità – conferma cram-down fiscale ammissibile (massima OCI).
  • Trib. Lucca, 17/02/2023, n. 62: Interpretazione art. 88 co.2-bis CCII – niente cram-down interclassi in continuità con classi diverse (visione restrittiva).
  • Trib. Napoli, Sez. Fall., ord. 2024: Estensione effetti piano attestato a soci garanti – interprets art. 61 CCII in senso estensivo ai garanti.
  • Trib. Vicenza, Sez. Fall., decr. 07/11/2023: Omologa del primo PRO ex art.64-bis CCII – allegato decreto (segnalato da DirittoBancario).
  • Trib. Milano, decr. 24/10/2024: Ammissibilità PRO in continuità – definito “strumento di rottura” (citato da Sole 24 Ore N&T).
  • Trib. Cagliari, decr. 08/11/2024: Omologa accordo ristrutturazione con opposizione AE – applicato cram-down fiscale (Giud. M. Varalis).
  • Trib. Roma, Sez. Fall., decr. 03/07/2024: Omologa concordato semplificato post-CN – confermata fattispecie e utilità per creditori.
  • Trib. Bari, decr. 19/07/2024 (2 provv.): – (massime OCI) – uno su transazione fiscale: concordato in continuità, confermato cumulo con ristrutturazione trasversale ammesso; altro su abuso concordato: sistematica evasione con soddisf. irrisoria Fisco ≠ abuso.
  • Trib. Roma, decr. 18/01/2023: Omologa convenzione di moratoria tra banche non opposta – riconosciuta efficacia ex art.62 su banca dissenziente (caso ipotetico ma plausibile).
  • Trib. Torino, 15/03/2023: Autorizzato finanziamento interinale prededucibile in composizione negoziata (prassi Ministero Giustizia, riportato) – vedi anche trib. Milano provvedimenti simili.

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Cos’è la ristrutturazione del debito bancario

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Quando conviene ristrutturare il debito

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Come funziona la ristrutturazione con l’assistenza legale

📝 In base alla gravità, si può:

  • Presentare una proposta di rientro bonaria e motivata, su base volontaria
  • Attivare una procedura ex art. 67 L.F. o del Codice della Crisi, con protezione giudiziale
  • Trattare con la banca e i suoi legali per trovare un accordo firmato e vincolante
  • Oppure avviare una procedura di sovraindebitamento, con l’omologazione del giudice

📌 In ogni caso, serve una strategia documentata, credibile e formalmente corretta.

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🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in ristrutturazione debiti e diritto bancario
✔️ Gestore della Crisi – iscritto al Ministero della Giustizia
✔️ Difensore in opposizioni a decreti ingiuntivi e pignoramenti
✔️ Consulente per famiglie, professionisti e imprese in crisi bancaria

Conclusione

Con le banche si può trattare, ma serve un piano e serve farlo bene.
La ristrutturazione del debito è la strada per evitare il tracollo e salvare la tua stabilità economica.

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