Il contratto di apprendistato è pensato appositamente per i giovani e per avvicinarli concretamente al mondo dell’occupazione. È una specie di via di mezzo tra lavorare e studiare: l’azienda ti assume, ti paga (anche se meno rispetto a un lavoratore “normale”), ma nel frattempo ti forma, cioè ti insegna un mestiere o una professione. In pratica: lavori, impari, e prendi uno stipendio.
Attenzione però al rispetto di tutte le regole in materia, perché l’apprendistato prevede un obbligatorio periodo di formazione e, se quest’ultimo manca, è carente o non corrispondente alle originarie pattuizioni delle parti, la conseguenza sarà duplice: nullità del contratto e conversione automatica e retroattiva del rapporto di lavoro in tempo indeterminato ordinario.
Lo ha recentemente ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza 6990/2025. Ma cosa hanno chiarito i giudici di piazza Cavour e perché la decisione è di portata generale e orientamento per la generalità dei lavoratori e datori di lavoro?
La violazione delle regole sull’apprendistato
Il giudice d’appello aveva respinto il ricorso contro la sentenza di tribunale, con cui era stata dichiarata la nullità del contratto di apprendistato e della sua proroga e la conversione dello stesso in ordinario lavoro subordinato, con mansioni riconducibili al quarto livello Ccnl pubblici esercizi.
Al contempo, in secondo grado la magistratura aveva condannato la società datrice al pagamento delle differenze retributive, dichiarando anche la nullità del licenziamento per superamento del periodo di comporto – nel frattempo inflitto alla lavoratrice – e imponendo alla stessa società datrice il reintegro in ufficio.
Confermandosi la sentenza di primo grado, in corso di causa era emerso che la lavoratrice non aveva ricevuto – durante il periodo di apprendistato – gli insegnamenti specifici e funzionali al conseguimento della qualifica professionale.
Ci si riferisce cioè a quella formazione teorica e professionalizzante (sia interna all’azienda che esterna, presso enti accreditati) dettagliata nel cosiddetto Piano Formativo Individuale – PFI, il documento che rappresenta la manifestazione concreta della causa tipica dell’apprendistato.
Non poteva che derivarne, spiegano i giudici della Corte d’appello, la trasformazione del contratto di apprendistato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
La conversione ben si giustifica, se pensiamo che, a fronte dell’impegno formativo, legge e Ccnl assegnano all’azienda vari benefici per l’attivazione di un contratto di apprendistato. Ad esempio la possibilità di sotto-inquadramento retributivo dell’apprendista o le agevolazioni contributive.
Violare gli obblighi formativi significa esporsi alle conseguenze indicate da una costante giurisprudenza della Cassazione. E ciò vale anche dopo le semplificazioni normative introdotte con il d. lgs. 81/2015 (art. 41 e seguenti) attuativo del Jobs Act.
Scatta il miglior trattamento economico al lavoratore
Il ricorso presso la Suprema Corte da parte della società datrice non ha cambiato l’esito. La Cassazione ha infatti valutato positivamente le conclusioni logiche dei giudici d’appello che avevano disposto la trasformazione dell’apprendistato in tempo indeterminato “classico”.
In termini pratici, il lavoratore può quindi beneficiare integralmente del trattamento giuridico ed economico previsto dagli accordi collettivi per questo contratto, a partire dalla data di avvio del rapporto di lavoro. C’è una costante giurisprudenza che lo ribadisce.
Dal punto di vista strettamente giuridico, secondo l’orientamento consolidato dei giudici di piazza Cavour, e ribadito dalla sentenza 6990/2025 che richiama precedenti provvedimenti della Cassazione come l’ordinanza 16595/2020, la mancata o insufficiente erogazione della formazione comporta la nullità del contratto di apprendistato, per assenza della sua causa tipica.
Viene meno l’elemento formativo che lo qualifica e lo giustifica ed è per questo che ripetutamente la giurisprudenza ha continuato a sottolineare che l’elemento formativo non può ridursi a un banale adempimento formale o documentale.
In breve, se manca la formazione teorica e pratica così come definita nel citato Piano Formativo Individuale e inserita nel contratto, non ci sono dubbi: con qualsiasi tipo di apprendistato, il contratto è invalidato e si trasforma in lavoro subordinato ordinario e a tempo indeterminato. Ecco perché anche la Cassazione ha dato ragione alla lavoratrice.
Diritti del dipendente (finto) apprendista e obblighi del datore
Di volta in volta, sarà compito del lavoratore agire legalmente per ottenere la conversione del rapporto in ordinario contratto a tempo indeterminato, con tutte le conseguenze in termini di trattamento economico, normativo e previdenziale.
In particolare, se in giudizio emergono prove delle negligenze del datore di lavoro, il lavoratore avrà diritto a ricevere anche le differenze di stipendio tra il compenso di apprendista e la retribuzione disposta dal Ccnl per il livello di inquadramento corrispondente alle mansioni in concreto svolte o alla qualifica conseguibile.
Inoltre una delle conseguenze più rilevanti, ma spesso sottovalutate, della violazione dell’obbligo formativo riguarda la regolarizzazione contributiva.
Infatti, se il contratto viene dichiarato nullo e convertito in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ordinario, il datore di lavoro perde il diritto alle agevolazioni contributive previste per l’apprendistato.
Di conseguenza, l’azienda può essere obbligata a pagare all’Inps la differenza tra i contributi ridotti, versati durante il (finto) rapporto di apprendistato, e i contributi ordinari previsti per un lavoratore qualificato.
Il recupero può essere accompagnato da interessi di mora e sanzioni civili per omissione o evasione contributiva. Nei casi più gravi possono seguire anche accertamenti ispettivi.
Come evitare contestazioni e cause legali
Il datore di lavoro deve essere in grado di dimostrare di aver fatto la formazione.
Dovrà munirsi di tutta la documentazione che attesti le effettive attività di apprendistato e smonti le accuse del lavoratore fin dall’inizio. Sarà perciò necessario:
- redigere un dettagliato Piano Formativo Individuale (PFI) coerente con il Ccnl di riferimento e recante la firma dell’apprendista;
- attivare la formazione disposta dal contratto collettivo, sia interna (sul lavoro) che esterna (corsi regionali, enti formativi);
- tenere traccia della formazione svolta con la conservazione di registri, firme di presenza, attestati, programmi dei corsi;
- nominare un tutor aziendale che segua l’apprendista e lo accompagni nel percorso formativo;
- rispettare le ore di formazione previste dalla legge o dal contratto collettivo;
- non usare l’apprendista come manodopera ordinaria, perché deve esserci davvero un percorso di crescita e apprendimento;
- dare al lavoratore copia del contratto e del Piano Formativo (preferibile una firma per ricevuta);
- aggiornarsi sulle normative regionali e conservare tutta la documentazione per almeno un quinquennio per possibili ispezioni o contenziosi.
Il caso giudiziario ricorda ancora una volta che è meglio prevenire che curare. Una scrupolosa e attenta gestione dell’apprendistato, fin dall’inizio e per tutta la sua durata, eviterà guai legali e migliorerà anche l’immagine dell’azienda.
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