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‘Università, intelligenza artificiale e nuova politica’


Sale sul palco della ventesima edizione del Festival dell’Economia di Trento la prof.ssa Giovanna De Minico, Ordinaria di Diritto Costituzionale nonché membro del board AGCOM per l’IA e Responsabile Legale del Partenariato ‘IA Fair’ tra imprese e università.

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Nell’ambito dell’evento annuale del gruppo24Ore, che per quest’anno aveva come headline ‘Rischi e scelte fatali. L’Europa al bivio’, la prof.ssa De Minico è stata protagonista (assieme all’ex Presidente della Corte Costituzionale, Franco Gallo) di un panel su ‘Università, intelligenza artificiale e nuova politica’: come cambierà il nostro modo di apprendimento, di sviluppo della coscienza, di rapportarci con la politica e con la giustizia? Nell’incertezza di come evolverà l’IA, bisogna comunque iniziare a darsi delle regole e un primo passo al livello mondiale lo ha fatto l’Unione Europea la scorsa estate, con un regolamento in materia. Tuttavia, questo primo importante tentativo ha avuto, secondo la docente “una pericolosa curvatura privatistica”: già, di base, “dietro l’IA ci sono i soldi delle grandi imprese, che non hanno alcun interesse che ci sia il controllo dello Stato o della Commissione Europea”.

Il sistema di controlli “interviene sempre a cose ormai fatte”

In più, si aggiunge il problema dei controlli: in sede di discussione, Italia, Francia e Germania avevano fatto pressioni affinché si propendesse per l’autoregolamentazione. In buona sostanza: “io privato creo la macchina e la metto sul mercato, senza che ci sia il controllo di un soggetto terzo, possibilmente pubblico. Basta la mia autodichiarazione che ho rispettato le norme precauzionali poste”. E se non è vero? “Io intanto metto la macchina sul mercato, poi vienimi a cercare”.

I controlli, infatti, andrebbero realizzati solo ex post e non più dalle Autorità indipendenti (cioè non sottoposte al governo), come inizialmente si era detto, ma da autorità nazionali: “l’ottima Meloni ha capito che l’intelligenza artificiale è il futuro strumento della politica. E allora perché mai lasciare la politica nelle mani delle Autorità indipendenti?”, commenta la prof.ssa De Minico, sottolineando come tutto ciò costituisca “un grave rischio per l’indipendenza”. Anche lo Stato, infatti, è committente dell’Intelligenza artificiale, che viene usata in diversi settori pubblici (dalla sanità alla difesa). Come si può essere, allora, “liberi di mente” da chi ti paga, se poi chi ti paga è anche chi ti controlla? E comunque, il seppur “faraonico” – come lo ha definito la docente – sistema di controlli previsto dall’UE interviene sempre dopo, a cose ormai fatte, “quando la macchina già opera, quando il danno l’ha già realizzato”.

E chi è responsabile per i danni causati dell’IA? “Rimaniamo col cerino in mano – risponde la prof.ssa De Minico – Il politico dirà che la decisione l’ha presa la macchina e non si può rispondere per fatto altrui. D’altro canto, la macchina non potrà mai risponderne: la responsabilità è connessa all’essere consapevoli di ciò che si fa e l’IA non ha una sua coscienza”. Quindi chi paga? “Il danno ce lo teniamo e si spalma su tutti noi”, conclude. Sul tema, infatti, l’Europa resta ambigua: inizialmente “avevamo una discreta proposta di direttiva sul tema”.

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Poi, a febbraio, c’è stato un incontro tra il Vicepresidente USA, J.D. Vance, e la Presidente della Commissione UE, dove si sono confrontati sul tema e, alla fine, la Von der Leyen ha ritirato la proposta. Un evento giudicato “negativissimo” dalla prof.ssa De Minico: “significa che tutta questa cultura europea di rule of law che vantiamo fa acqua da tutte le parti, perché davanti al potente ritiriamo un’arma importante”.

La macchina “ci spegne la libertà”

Tra gli scopi del Regolamento Europeo sull’Intelligenza Artificiale si legge “promuovere la diffusione di un’intelligenza artificiale antropocentrica”. Significa che l’evoluzione dell’IA “dovrebbe avere a cuore lo sviluppo della libertà, cioè la possibilità di optare tra più cose avendo la consapevolezza di quello che stiamo facendo, potenziando la nostra capacità di capire. Più capiamo, più siamo liberi, meno capiamo, meno siamo liberi”. E qui iniziano i problemi.

Il primo, secondo la prof.ssa De Minico, è che “crediamo che la macchina sia nelle mani dell’uomo, ma non è così”. Si nutre dei dati presenti in rete, che non sempre possono essere controllati, e li elabora e li rimescola, fino ad arrivare a conclusioni “di cui ignoriamo totalmente il processo logico”. Non abbiamo idea di come abbia raggiunto il risultato o di che fonti si sia servita.

Talvolta il responso è corretto, altre volte contiene pregiudizi e discriminazioni… ma ci agevola nel lavoro, lo velocizza e lo alleggerisce e qui si apre una riflessione sull’uso nei luoghi di formazione: perché uno studente dovrebbe rinunciare a farsi scrivere un tema dall’IA? Perché un insegnante dovrebbe rinunciare al chatbot che prepara la lezione al posto suo? Perché dovremmo voler lavorare di più? E poi perché non dovrebbe accettare l’esito dell’IA e andare a verificare le fonti? Si chiede la prof.ssa De Minico.

La risposta è nell’art. 33 della Costituzione, che sancisce la libertà di insegnamento, la libertà del docente “di andare dove lo portano il cuore e la mente”. La lezione “deve variare in ragione del pubblico, in ragione di cosa i ragazzi si aspettano da noi. Questa domanda fondamentale la chat non se la pone” e se un insegnante continua a non farsi sostituire è perché fa il suo lavoro “per incentivare l’apertura di mente, per generare il caos”. Tutto questo la macchina non lo fa: “ti dà una certezza e non vuole che questa sia scalfita, perché la certezza è il suo punto di forza e, soprattutto, il suo punto economico, dato che dietro ci sono i soldi. Non c’è il desiderio di imparare, di farci capire”. In sostanza, conclude: “ci spegne la libertà”.
Giulia Cioffi
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Ateneapoli – n. 10 – 2025 – Pagina 26



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